A proposito di Racconti pandemici

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A proposito di Racconti Pandemici,                                      a cura di Antonio Polselli

Questo libro non si legge…Questo libro si soffre…

Quando Antonio Polselli, nel chiedermi un mio racconto, mi manifestò il suo progetto – quello di costruire un libro raccogliendo contributi diversi sull’esperienza fatta da ognuno in questi anni di morbo generale – io non potei fare a meno di pensare alla peste fiorentina del Trecento e a quei dieci giovani, fra ragazze e ragazzi, che, ritiratisi sulle vicine colline, impresero a novellare  per dieci giorni di fila, ciascuno una novella al giorno. Ma mi sbagliavo.

Antonio non voleva replicare il Boccaccio, non voleva racconti di fantasia, favole e divertimenti. Voleva fatti di cronaca vissuta, roba dura, segnata dal dolore e dal lutto, per recuperare e documentare il segno che il Covid-19 ha lasciato in ciascuno di noi, nel presupposto che ogni racconto potesse cogliere e presentare un aspetto particolare, individuale e specifico, della generale sofferenza di questi anni pandemici.

Suppongo che egli abbia tenuto presente l’incipit dell’Anna Karenina  tolstojana: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo». I diktat del morbo sono generali: distanziamento, mascherine, lavaggio delle mani, quarantene e separazioni, e, ancora, ospedali, terapie normali o intensive, morte. Ma, impattando con le singole persone, ognuna di queste occorrenze produce disagi, sofferenze e dolori diversi. Perciò ognuno, raccontando la propria vicenda, dà una visione specifica della pandemia, in modo da formare nell’insieme un universo sfaccettato e complesso dell’esperienza che abbiamo tutti vissuto.

Il libro che ne è scaturito, questi Racconti pandemici, frutto dei contributi in prosa o in versi di trentanove autori, 20 donne e 19 uomini, è perciò, se non un quadro compiuto, almeno la tavolozza dei colori. Può fornire al lettore i materiali necessari e molteplici perché si formi una rappresentazione completa della vita diversamente vissuta da ciascuno in questi anni di malattia.

Perciò va letto tutto, dalla prima all’ultima pagina distesamente. Non se ne può fare un riassunto, e io non riesco a indicarne una linea di sviluppo, una chiave di lettura. Probabilmente è la stessa conformazione del libro che non lo vuole. Se si escludono gli arricchimenti canonici di un volume (Prefazione, Introduzione, Postfazione, Appendice), l’unica struttura della materia è costituita dall’ordine strettamente alfabetico in cui sono collocati, non già gli argomenti evocati, ma gli autori delle prose e delle poesie.

Ne risulta una rassegna multiversa di casi sofferti, sperimentati, subiti. Va letta tutta, ripeto, punto per punto. Se non se ne può fare un riassunto, è pure impossibile e, comunque, sarebbe ingrato segnalare alcuni scritti e trascurarne altri, perché tutti offrono spunti di riflessione importanti.

Mi limito perciò a qualche considerazione su due elementi che costituiscono la cornice ma anche il fondamento ultimo del libro: la Prefazione e le Appendici. Nella prima, Vittorio Cotesta, dopo aver presentato da par suo un sintetico saggio sulla recente letteratura riguardante l’attuale pandemia, si cimenta nella descrizione plausibile del mutamento a cui probabilmente ci porterà questo Covid-19. Sarà un mutamento profondo e definitivo, di quelli che si dicono “assiali”, capaci cioè di instaurare nel mondo un nuovo paradigma ideale e sociale, o sarà solo un adattamento dell’attuale forma di pensiero e di pratica quotidiana che va sotto il nome di “modernità”?

La risposta a questa  domanda, ci  dice Cotesta,  non   può   essere   data nell’immediato. Ci vuole il tempo lungo, un’epoca. Al presente possiamo soltanto osservare i mutamenti settoriali già in corso, nel campo della politica, dell’economia e della religione. E sono, quelle di Cotesta, osservazioni importanti che colgono fenomeni fondamentali della nostra vita e danno a questa Prefazione un pregio e un valore assoluti.

Altrettanto importanti le Appendici, fra le quali brilla la preghiera di Papa Francesco per la fine della pandemia. Il corpo principale è costituito da osservazioni e riflessioni dello stesso Polselli, che qui si firma Polan.

Vengono analizzati, di volta in volta, il lessico, le metafore, gli esotismi, le immagini, tutte le novità linguistiche e iconiche, che si sono prodotte o diffuse a causa del Covid-19. In tal modo si viene a rimarcare l’importanza della parola e della comunicazione.

Così mi è più chiaro il senso del volume. È la parola che vince. Il verbo che, secondo Giovanni, sta in principio qui sta a dominare l’universo pandemico, sia nei testi di chi l’ha vissuto e lo vive ancora, sia nell’analisi degli studiosi.                                          Il morbo non scompare ma resta prigioniero del nostro discorso. Il parlare, il raccontare, il discorrere sono la vita che prevale sul silenzio della morte.

Alberto Alberti

 


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