ARICCIA – Nella serata del 22 maggio Fabio Vecchioni, residente a Lanuvio, di ritorno da una passeggiata insieme alla compagna, vedendo una donna seduta al parapetto di un ponte di Ariccia e con il cappuccio a coprire la faccia, l’ha convinta a non suicidarsi. Il tutto è avvenuto in pieno giorno, mentre le persone attraversavano il ponte in un senso e nell’altro.

“Io e la mia compagna tornavamo da una lunga passeggiata. Una bella giornata di sole, un sacco di gente in giro, mezzogiorno passato. Ho visto questa figura seduta sul parapetto, il cappuccio a coprire la faccia, il viso rivolto verso il vuoto. La gente continuava a camminare, senza prestarle particolare attenzione. Ma qualcosa di questa figura ha richiamato la mia attenzione. Forse perché erano passate giusto 24 ore dalla tragedia del giovane ragazzo genzanese che si era tolto la vita allo stesso modo. Non so dire ma è suonato in me un campanello d’allarme, un sesto senso, perché qualcosa della scena non tornava. E quando mi sono reso conto che questa persona stava piangendo, ho capito che mi trovavo di fronte ad una situazione delicatissima.”

L’augurio del protagonista è che l’amministrazione e i professionisti competenti si facciano maggiormente carico di un controllo più scrupoloso dell’area e un appello a tutti a prestare attenzione alle persone che si trovano in momenti di fragilità psicologica.

“Non sono alla ricerca di encomi. Non mi interessano i complimenti, non cerco la notorietà. Mi preme soltanto fare luce su una situazione di disagio importante e sulla pericolosità di un luogo che è da sempre stato il polo d’attrazione per gesti disperati. E oggi, dopo il periodo di sacrifici e paura che abbiamo vissuto, sono tante le persone in difficoltà da un punto di vista psicologico.”

“Nessuno si è accorto di nulla. E così è stato fintanto che non sono arrivate ambulanza e forze dell’ordine. È questa la cosa che trovo inconcepibile. Continuo a pensare a cosa sarebbe potuto accadere se non avessi rallentato e guardato quella figura seduta sul muretto, se non mi fossi reso conto che stava piangendo. La vita di un essere umano non può e non deve dipendere dall’empatia e dalla prontezza di un passante. Le fragilità vanno prese in carico da professionisti e credo che un luogo come il ponte andrebbe presidiato e controllato da personale in grado di gestire questo tipo di situazioni, a maggior ragione dopo che si è appena verificato un suicidio, perché purtroppo non è raro che ne seguano altri. Non sono uno psicologo ed è innegabile che la signora fosse in uno stato di particolare fragilità legato alla perdita del lavoro, ma dalle sue parole ho avuto l’impressione che il problema centrale fosse il vuoto che le si era fatto attorno nell’ultimo periodo, la grande solitudine ed il bisogno di essere confortata.”


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