Caravaggio Cialtronesco

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Il film firmato da Michele Placido con uno “Scamarcione” decisamente nel ruolo oltre che di effetto a confronto dell’altro gigante cinematografico dicasi Pirandello (La stranezza di R. Andò) è cosa modesta, concertato all’insegna di un realismo per nulla neo bensì molto post realistico giacché coinvolge ambiente o situazioni popolareschi con pennellate alquanto scontate nonostante la fotografia a forti tinte, una malavita da manuale quando non artificiosa, soprattutto una resa del malaffare e del male di vivere da “letteratura” bettole e prostitute comprese. Non basta il ghigno o il cipiglio del pur bravo Scamarcio a rendere il travaglio umano e artistico di quel genio, a rendere drammatica come di fatto è stata l’evoluzione/involuzione dell’artista di cui si ricostruisce con cura il percorso comunque molto dall’esterno più che dall’interno restituendone l’esteriorità del malavitoso suo malgrado, della sofferenza fisica e psichica, delle provvidenziali contraddizioni che peraltro nel Caravaggio come in ogni grande artista collimano con la catarsi mediante una sofferta benché geniale ispirazione creativa. Insomma le tinte forti e sconvolgenti, la dinamica del “di sotto in su”, le luci e ombre della straordinaria produzione caravaggesca rischiano di impantanarsi nel didascalico come, ad esempio, la “Morte della Vergine” una delle opere più moderne e al tempo stesso dissacranti e spiritualissime per la quale sappiamo che l’artista s’ispirò a una prostituta annegata nel Tevere. Tutto documentato tutto vero a nostro giudizio però manca il colpo d’ala della regia: tradurre il marciume e il mal di vivere nel palpito di una folgorazione, omologare le luci e le ombre, coniugare le tonalità discrete e quella affocate in una gamma o geografia cinematograficamente convergente e divergente, in un discorso e un pensiero dialettico, nella logica dei contrari e dei contrasti squisitamente caravaggeschi tali da significare che il male di vivere te lo porti come una bandoliera appuntato all’occhiello della giacca o camicia fino al momento in cui esalando l’ultimo respiro percepisci la sensazione di aver vissuto nonostante tutto così come deve essere accaduto al Caravaggio. Potremmo classificare il film “mediocre” nel senso dantesco del termine cioè nel mezzo tra uno sforzo (ri)creativo del regista pur apprezzabile e un risultato per lo più “scolastico”, infatti, i giovani alunni e non farebbero bene a vederlo per essere una interessante lezione. Nota a margine: non c’è confronto rispetto alla fallimentare operazione del “Dante” filmico assolutamente didascalico e insulso, un gigante degradato a un pigmeo laddove il gigante Caravaggio se la cava sia pure per il rotto della cuffia! (gimaul)

 


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