Critica e Autocritica in una Sentita ” Esternazione”

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Il seguito di “Esterno notte” di Marco Bellocchio è ancor più agguerrito e potente del precedente apparendo il regista “crudelmente” lucido, riflessivo-riflettente-seducente, una di quelle opere generalmente dette della maturità (non è certo il caso del grande regista!), in questo film raffinatamente analitico, critico e autocritico soprattutto riguardo ai brigatisti dei quali sembra aver voluto sottolineare le contraddizioni, la spavalda ingenuità mista a tracotanza. Una “critica della ragion  pura” la sua  delle Brigate rosse tra ideologia e fraintendimenti della politica, velleitarismo e astrattezza cui fa da cassa di risonanza la “critica del giudizio” riguardo la DC , una critica decisamente più dura dell’altra, impietosa e senza sconti di cui il magistrale piano sequenza di Fabrizio Gifuni( Aldo Moro),alcuni minuti da mozzafiato per contenuto e interpretazione, rimarrà impresso nella memoria di quanti avranno visto il film: una tirata tutta d’un fiato contro l’indecenza e il non senso di quanti (pseudo compagni di partito) allora preventivarono e decretarono senza colpo ferire la morte di Moro, quei presunti fottutissimi amici  che lo pugnalarono alle spalle di cui la tirata. Stavolta Bellocchio ha usato i guanti da pugile mirando a denunciare a gambe tese la ipocrisia, l’ambiguità e i subdoli giochi di potere o di corridoio Andreotti compreso sapientemente evidenziato di scorcio, una controfigura inquietante, sospetta e malefica. Il film è sotteso da una energia nervosa e inquietante che viene trasmessa allo spettatore sul filo di una partitura spinosa e intricata in cui gli sguardi e i gesti sono più eloquenti delle parole. Bellissima la figura di Eleonora Moro interpretata superbamente da Margherita Bui centrando l’alta dignità della moglie dello statista nonché il dolore corrosivo dell’incubazione e manifestazione di un’agonia dilaniante e progressiva. Uno psicodramma per un verso, una tragedia annunciata e poi consumata per l’altro, un film sofferto come può accadere per ogni opera d’arte frutto di profonde lacerazioni, di una immedesimazione equivalente a  una ferita a morte; un magistrale De profundis sottolineato nel finale dall’improvvisa esplosione dell’incipit della Messa da requiem di Verdi.  Alla violenza inumana dei brigatisti  fa contrasto quel senso e sentimento della pietas che non è soltanto il conforto della fede e ogni derivato di esso –la bella figura del sacerdote, la comunione di Moro nella cella-  ma anche l’amore dei propri cari, l’impotenza della chiesa (il Papa), il filo angoscioso del dubbio, la pacata serenità della visita al cimitero dell’isola tiberina in avanscoperta che si rivelerà una triste premonizione. Un film necessario che riapre una delle più dolorose pagine della storia della politica italiana, che a tutt’oggi testimonia quei “sotterranei del Vaticano” di cui A. Gide ossia lo scoperchiamento di tanti sarcofaghi contenenti altrettanti scheletri. Un Bellocchio “arrabbiato”, elegantemente insultante, artisticamente esuberante addirittura poetico nell’ adombrare il dolore nonché la fatica di essere uomini dabbene,d’onore come fu Aldo Moro.

P.S. Da quel vecchio, inguaribile uomo di scuola quale sono ritengo che il film sia una illuminante lezione di storia perciò dovrebbe essere proposto con determinazione ai giovani, alle scuole dove,purtroppo, continua a registrarsi un “interno notte” colpevoli, ovviamente, i vertici : a quando il cinema nelle scuole? E’ stato ventilato o sbaglio?! Per fortuna Università Roma Tre attiverà una sezione del DAMS a Latina, evviva!                                  (gimaul)


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