Livorno, 11 ottobre 2024 – È il giorno dopo il terremoto che ha scosso la giunta labronica, il giorno dopo il Lenzi-gate, per usare uno stucchevole suffisso giornalistico. Il giorno in cui si raccolgono i cocci e si metabolizzano i danni della tempesta appena passata, si cerca di capire quali conseguenze proietterà sul futuro.
È il giorno dopo le dimissione dell’ormai ex-assessore Simone Lenzi a seguito della bufera per i post social (scritti su X, n.d.r.) che hanno squarciato le tranquille acque della giunta di Palazzo Civico. Oltre cinque anni di inusuale quiete politica, assessori e primo cittadino hanno sempre lavorato compatti o quantomeno sono stati molto bravi a non mostrare le crepe interne alla città, panni sporchi lavati sempre in casa. Quando però la crepa diventa nazionale le dimissioni sono l’unica arma per combattere la débâcle generale, “chi sbaglia paga e i cocci sono suoi”, è stata questa la filosofia che ha accompagnato l’assessore alla porta. E infatti oggi il fu assessore era atteso in Comune per liberare il suo ufficio, con le deleghe alla cultura avocate al sindaco Salvetti in attesa, forse, del nome giusto. Nella conferenza “finale”, è evidente negli occhi della giunta il rammarico per la vicenda personale, tuttavia il primo cittadino la definisce “la sola strada percorribile“.
Finisce così la vicenda politica di Simone Lenzi all’assessorato alla cultura, che Salvetti ha sempre considerato una punta di diamante del suo mazzo e di cui ha orgogliosamente rivendicato tanti successi, su tutti la mostra su Modigliani e il Mascagni Festival. E gira in queste ore la lettera inviata da Lenzi a Salvetti, in cui si nota il rammarico non privo di disappunto: «Rigetto però con forza e rispedisco al mittente l’accusa ridicola di omofobia, di transfobia e di qualunque altra fobia, perché, sia chiaro, io non ho paura di nulla -scrive Lenzi nella sua lettera- soprattutto di nessuna sacrosanta libertà umana, a partire da quella di esprimere la propria sessualità come meglio si crede, nel rispetto di tutti. E se non sono bastate tutte le delibere che ho convintamente votato, in questi anni, in favore della comunità LGBTQ+, allora ancora più volentieri firmo le mie dimissioni, perché, alla fine della giostra, la mia libertà di espressione e di pensiero non si inginocchierà mai sull’altare di questa ipocrisia». Una chiosa che lascia pochi spazi interpretativi, in un campo di battaglia in cui la giovanile del partito (i Giovani Democratici) non si è risparmiata dagli attacchi in campo aperto. Non è arrivata alcuna difesa da parte di “Protagonisti per la città”, la Lista di coalizione da cui proviene Lenzi, una posizione quantomeno singolare. Poi un pesante attacco alla sinistra, colmo della ferita inflitta all’ex assessore: «Mi dimetto perché alla sinistra, che avevo visto sin qui come la roccaforte di ogni libertà, la libertà più autentica non interessa affatto», il riassunto di una spaccatura che sembra in grado di lasciare qualche contraccolpo rilevante. Poi un augurio, che suona come un lapsus e che probabilmente è voluto, Lenzi fa gli auguri alla sua “successora”. Ma di nomi ancora non si è parlato, a chi si riferisce? Forse è fantapolitica, forse sono trame di palazzo.
Non sono mancate le difese delle opposizioni, dal Consigliere in quota Lega Carlo Ghiozzi, al dinosauro (inteso per il curriculum politico, non per altro) della politica Taradash. Il capogruppo della Lega Ghiozzi ha difeso Lenzi senza se e senza ma: «Personalmente mi dispiace che si sia dovuto dimettere per questo motivo; in questo modo viene meno la libertà di pensiero e di critica. Già erano arrivate le scuse per i modi e termini pesanti con cui aveva manifestato il proprio parere sull’opera e su altri argomenti affini: era più che sufficiente», parole che stupiscono poiché arrivano dallo scranno di parte opposta.
Oggi è un altro giorno, le deleghe della cultura sono in mano al sindaco Salvetti e ancora non è dato sapere se ci saranno appetiti da sfamare o solo una poltrona bruciata nel tritacarne dei social.
La domanda è aperta, senza risposta, senza una risposta giusta: si può cancellare una storia (giusta o sbagliata, condivisa o meno) politica, umana e artistica per tre post? Si può affidare il percorso di una vita a poche righe online? Oggi, fino a che punto siamo capaci di tollerare un errore?
Sui social è già cominciato il giudizio di Cassazione, da quegli stessi social che hanno fagocitato Lenzi per post vecchi di mesi. Ma domani finirà e dopodomani lo avremo scordato.
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