Gesù di Nazaret

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Gesù di Nazaret. Cosa volle – Chi fu                                                                     di Gerhard Lohfink

Occorrono anni di costanza e di pazienza per arrivare alla vera conoscenza di Gesù. (Carlo Maria Martini)

 Nel corso della storia dell’umanità numerosi sono stati i libri scritti su Gesù di Nazaret. Molti autori si sono soffermati sulla prismatica personalità del profeta considerato come un uomo carismatico, un rivoluzionario sociale radicale, un taumaturgo di successo, un assistente sociale filantropico, un geniale rabbi. Gandhi ha scritto: «Era un uomo completamente innocente, sacrificò sé stesso per il bene degli altri, nemici compresi, e divenne così il riscatto del mondo».

Per il teologo tedesco Gerhard Lohfink, autore del saggio Gesù di Nazaret. Cosa volle – Chi fu (Editrice Queriniana), Gesù è stato un ebreo storicamente vissuto in Israele. Utilizzando il metodo puramente storico, basato sui fatti veri della vita, sulle azioni e sulle parole autentiche di Gesù, l’autore nei 21 capitoli del testo pone in risalto, nei primi dodici capitoli, cosa volle Gesù, e nella seconda parte chi fu, come messo in evidenza nel sottotitolo del libro.

Per Lohfink, professore di esegesi neotestamentaria all’Università di Tubinga, la storia è fatta di eventi interpretati e la conoscenza storica ordina e interpreta il caos sterminato dei fatti. Ogni fatto raccontato è già interpretazione, e gli storici sono una comunità di interpreti. Dal punto di vista teologico il popolo di Dio è una comunità narrante e interpretante alla luce della fede. L’interpretazione del mondo e della storia è un fenomeno fondamentale senza il quale l’uomo non può affatto comprendere la realtà. Non esiste, infatti, alcuna conoscenza della realtà senza modelli interpretativi.

Tutto ciò vale anche per Gesù di Nazaret che sarebbe inconcepibile senza il popolo di Dio, senza Israele, dove è vissuto e può essere adeguatamente compreso solo partendo dalla fede e dalla memoria religiosa del popolo di Dio. Gesù senza le tradizioni di Israele è impensabile e incomprensibile. Nella chiesa antica ci sono state diverse interpretazioni cristologiche di Gesù, basta pensare alle grandi controversie che caratterizzarono i famosi primi concili di Nicea (325 d.C.) e di Calcedonia (451 d. C).

L’autore nel primo capitolo si occupa dell’annuncio del regno di Dio proclamato nella itinerante vita pubblica da Gesù con la predicazione del “già ora” e “non ancora” perché l’uomo mediante la sua conversione tarda ad arrivare. Il regno di Dio, predicato da Gesù, non viene senza subire persecuzioni e sacrifici, infatti richiede al popolo disponibilità e dedizione di Gesù fino alla morte. Il regno di Dio non ha solo il suo tempo (kairos) ha anche il suo luogo (topos) che è il popolo di Dio visibile e tangibile nel mondo.

Con Abramo, iniziatore di una nuova società, caratterizzata dalla non violenza e libertà, dalla pace e salvezza, vi è un nesso e una profonda relazione tra regno di Dio e popolo di Dio. Il regno di Dio deve avere un popolo e Gesù agì nel contesto del suo popolo costituito dalle dodici tribù di Israele. Secondo l’evangelista Luca il regno di Dio è già presente, è già qui «in mezzo a voi», dentro voi, nell’intimo, nell’anima, nei cuori degli uomini. Il popolo di Dio, che attualizza il regno di Dio nel modo del già e non ancora, è disperso tra i popoli, vive in esilio e viene radunato, nei quattro angoli della terra, da Dio per tornare unificato e salvo nel paese (Israele) con un cuore e uno spirito nuovo. Dio agisce verso i popoli del mondo attraverso il popolo di Dio, che alla fine dei tempi diventerà una nuova società.

L’autore si sofferma sull’inizio dell’attività pubblica di Gesù, come viene riportato dai Vangeli di Marco, Matteo e Giovanni. Secondo i tre evangelisti la chiamata dei discepoli alla sequela di Gesù è l’evento concreto, visibile e tangibile del loro racconto. «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». Essere discepoli di Gesù significa condividere il destino di Gesù, contrassegnato dalla non violenza e dalla pace, e porsi al servizio del regno di Dio.

Secondo i Vangeli è possibile diventare discepoli solo se si è scelti da Gesù il più delle volte con la chiamata «Vieni dietro a me» o «Seguimi». Gesù, tra un gran numero di discepoli che svolgono un ruolo decisivo, ne ha scelti dodici che sono mandati in missione per predicare il Vangelo. Accanto a questi dodici ci furono molti seguaci, simpatizzanti, “aiutanti occasionali”, accompagnatori, “compagni di viaggio”, tra cui anche delle donne. Per Lohfink non è possibile parlare di Gesù senza parlare del suo linguaggio, creativo e preciso, conciso e tagliente, del suo stile perfetto, del suo modo di proporre in parole pertinenti la realtà del regno di Dio.

I detti e le parole di Gesù, espressi con metafore, immagini ardite e parabole ineguagliate, caratterizzati da una straordinaria competenza linguistica, erano brevi, articolati e formulati in modo da poter essere facilmente ricordati, lasciavano trasparire un’accurata osservazione delle cose e delle persone, volevano soprattutto scuotere. Gesù racconta le sue parabole in modo realistico con amore per i dettagli e con esattezza delle condizioni sociali della società del suo tempo. Fu un maestro per i detti brevi e incisivi e nel narrare racconti originali con immagini e parabole.

Secondo l’autore Gesù non ha solo parlato, ma anche agito mediante piccoli gesti, simboli e segni. Infatti ha abbracciato i bambini, lavato e asciugato i piedi, guarito i malati (lebbrosi, ciechi…) toccandoli. I gesti di Gesù si traducono in azioni simboliche formali che accompagnano la sua vita pubblica e che inaugurano la sua “passione”.

Tutta la vita pubblica di Gesù è punteggiata non solo di parole, di gesti, ma anche di segni, di prodigi, di azioni straordinarie, di miracoli fra la gente semplice (cacciate di demoni, guarigioni compiute sui malati, sugli emarginati, risurrezioni di morti, tempesta placata, moltiplicazione dei pani…) come viene testimoniato, oltre che dai Vangeli, dallo storico ebreo Flavio Giuseppe nella sua opera Antichità giudaiche.            I miracoli, che sono i segni dell’avvento del regno di Dio, comportano la dimensione della fede e una conversione profonda; e Gesù rifiuta di compiere qualsiasi miracolo che abbia lo scopo di legittimarlo.

 Accanto alla predicazione della salvezza e all’azione di prodigi esiste anche nella vita di Gesù il tema del giudizio finale (parte integrante dell’argomento del regno di Dio) presente nei detti e nei discorsi dei Vangeli sinottici e nella tradizione giovannea. La proclamazione del regno di Dio e l’annuncio del giudizio sono intimamente connessi fin dall’inizio. I discorsi aspri e duri di giudizio di Gesù si riferiscono sempre a Israele e alla sua conversione e a cambiare il corso della storia.

L’autore, nel corso della stesura del testo, si chiede quale importanza ebbe la Scrittura per Gesù e come si comportò con essa in qualità di maestro, predicatore e profeta, quale ruolo la Scrittura svolse nella predicazione e nella vita pubblica. Gesù deve aver conosciuto a memoria passi decisivi della Torah e dei profeti e i Salmi per la preghiera quotidiana Il libro di Isaia ebbe una notevole importanza per il pensiero e la vita pubblica di Gesù che ebbe un modo, personale e genuino, di accostarsi alla Sacra Scrittura.

Gesù non è venuto per abolire la Torah ma per portarla a compimento e i due principali comandamenti, enunciati nel discorso matteano della montagna, si riferiscono all’amare Dio e il prossimo, il fratello, il connazionale e addirittura i nemici. Il primo comandamento, riguardante l’unicità e la sovranità unica di Dio, sta al centro del suo modo di pensare e di agire unito al comandamento dell’amore verso il prossimo. Con tutta la sua vita Gesù ha vissuto la Torah e l’ha confermata interpretandola.                (prima parte)


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