Il Buongiorno Dell’Amico. Non c’è più religione

Il caso dell'Rsa di Pontremoli dove il Vescovo vuole decurtare gli stipendi di 250 euro

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Il Vescovo Giovanni Santucci

Buongiorno lettori, leggo una notizia su Il Tirreno, cronaca della Lunigiana che mi fa trasecolare e che, per me, non è solo un fulmine a ciel sereno, come icasticamente ben ha rappresentato la situazione Alessio Menconi, della Segreteria Funzione Pubblica CGIL di Massa Carrara, a proposito di una vertenza che riguarda la RSA Galli Bonaventuri di Pontremoli gestita dall’omonima Fondazione. A 25 dipendenti, prevalentemente donne il Vescovo della Diocesi di Massa Carrara e Pontremoli, Presidente della suddetta Fondazione che gestisce anche il Pensionato S. Anna, bisognoso di ristrutturazione, ha chiesto di contribuire, in tempi di austerità, con una decurtazione di stipendio di 250 €.

In estrema sintesi, gli antefatti: causa covid-19, nella primavera 2020, la RSA ed il pensionato, che possono accogliere quasi una cinquantina di ospiti, sono stati oggetto di contagi tra il personale ed i pazienti. Data l’emergenza, la Casa della Salute della Lunigiana ha provveduto a sopperire alle carenze temporanee d’organico. La Fondazione ha nel frattempo deciso di accendere un mutuo consistente, di 1.2 milioni di €, per ristrutturare il patrimonio immobiliare gestito a Pontremoli. Il Coronavirus, con la diminuzione di ospiti e di giornate di degenza, ha perso ovviamente redditività. Quando sono stati disvelati i problemi, la Fondazione, reclamando la propria solidità, ha rifiutato, come sembra, la C.I.G. proposta dai delegati sindacali interni e dalla categoria CGIL della Camera del Lavoro di Massa Carrara. Ad inizio del 2021, non una folgorazione sulla via della Cisa, ma il fulmine a ciel sereno del citato, in premessa, sindacalista CGIL Alessio Menconi, è arrivata a “tramortire” i 25 dipendenti della centenaria Fondazione.

Se il Vescovo ed i dirigenti della Fondazione, fanno sapere che vogliono mantenere aperte le RSA ristrutturale, ma causa “crisi di liquidità”, se i lavoratori non accetteranno di decurtarsi gli stipendi (che vanno da poco più di mille € a 1.300 il mese) per due anni di 250 € in media, il 30 gennaio 2021 si rischia la chiusura di “baracca e burattini”. Conoscendo di persona il sindacalista Alessio Menconi, so che ha fatto benissimo a scrivere al Vescovo, che ho conosciuto, successivamente al settembre 2019, e che in occasione della presentazione di un mio libro “In mio nome, mai più”, mi fece recapitare da Don Luca Franceschini  una lettera con lusinghiere parole, in merito alla fede di mio zio omonimo, vittima di deportazione in un lager nazista. Va trovata una soluzione dignitosa, non comminata una pena da purgatorio, se non infernale per i 25 dipendenti! Faccio appello alla Camera del Lavoro ed al suo Segretario Generale Paolo Gozzani affinché si attivi nei confronti del Vescovo Giovanni Santucci, per comporre equamente la vertenza, chiedendo la solidarietà, in caso di lotta, a tutte le categorie pubbliche e private. Ricorrere, nel gennaio 2021, a forme di sciopero, sarebbe un ulteriore impoverimento dei bilanci familiari di lavoratori in crisi. Danni economici a livello umano, incomparabilmente più gravi, di quelli che posso capitare ad un solida Fondazione, in crisi momentanea di liquidità. Sostengo, con cuore puro da pregiudizi e colmo di solidarietà, che è un peccato mortale, in epoca coronavirus, far pagare una crisi aziendale a lavoratori che si sono prodigati oltre misura nel momento più acuto della pandemia. Ricordo al Segretario della Camera del Lavoro ed a Sua Eccellenza il Vescovo, una frase attribuita al Priore di Barbiana:

Lo sciopero è un’ arma […]. Somiglia alla spada dei cavalieri medievali che veniva consacrata sull’altare in difesa dei deboli e degli oppressi. Se era cristiana quella spada lo sarà di più lo sciopero, arma incruenta. […] Ma se c’è poi uno sciopero che ha in più il profumo del sacrificio cristiano è lo sciopero di solidarietà.”

Ricordo a me stesso di aver letto Lettera ad una professoressa di Don Milani. La lettura di tale libro alimentò, più che il libretto rosso di Mao, il mio spirito sessantottardo che si compendia, ancora oggi, in un’ inesausta sete di giustizia sociale. Tra le frasi memorabili, cito la seguente :

Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”.

Concludo quella che può apparire una mia invettiva, sottolineando che sarei curioso di conoscere il suo pensiero sulla vertenza pontremolese, lui, autore del volume sulle  tre T: Terra, Techo, Trabajo (Terra, tetto, lavoro).


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