Il Dio inerme. Storia di don Andrea Santoro

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Il Dio inerme                                                                        Storia di don Andrea  Santoro Andrea Santoro                      di Francesco Castelli

Il vantaggio di noi cristiani sta nel credere in un Dio inerme, in un Cristo che invita ad amare i nemici, a servire per essere “signori” della casa, a farsi ultimo per risultare il primo.                          don Andrea Santoro 

Ancora un altro libro su don Andrea Santoro, il prete fidei donum ucciso il 5 febbraio 2006 in Anatolia, poiché la vicenda umana di questo personaggio continua ad attrarre credenti e non per il suo cammino spirituale, a suscitare interesse umano, culturale e religioso e a porre interrogativi esistenziali non soltanto fra coloro (tanti) che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di condividere con lui  preghiere e azioni concrete nelle diverse realtà parrocchiali di Roma e nei pellegrinaggi in Terra Santa e in Turchia.

Il merito dello storico Francesco Castelli, autore del saggio Il Dio inerme, Storia di don Andrea Santoro (Edizioni San Paolo, 2020), è riscontrabile nella stesura di una puntuale biografia, ricostruita con rigore scientifico e competenza professionale, di un sacerdote impegnato sul versante ecclesiale e sociale nelle periferie romane e in terra turca (Terra Santa degli Apostoli). Un libro che, fin dalle prime pagine, catalizza in maniera sorprendente e suggestiva la curiosità del lettore e lo spinge all’approfondimento di una ulteriore conoscenza del protagonista e della sua storia umana e sacerdotale.

Nell’Introduzione l’autore, nel porsi interrogativi inerenti al perché un prete stimato e amato dalla sua gente si fosse trasferito in Medio Oriente e quale messaggio volesse dare con questa scelta radicale e cosa intendesse costruire, dichiara di volere raccontare la storia di don Andrea, amico del Medio Oriente, avvalendosi del carteggio personale, del diario privato, delle fonti pastorali, e soprattutto delle testimonianze dei familiari e delle persone che lo hanno conosciuto e frequentato da vicino.

Don Andrea ha vissuto il periodo della sua formazione in seminario a Roma tra inquietudini, crisi e “turbolenze” interiori in un’epoca di rilevante fermento religioso determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano II e dall’esigenza, avvertita da più parti, di cambiamento culturale ed ecclesiale. Il giovane studente seminarista in questo periodo vive la significativa esperienza nella borgata romana fra le baracche dell’Acquedotto Felice, accanto a don Roberto Sardelli e agli immigrati che si trovano in disagiate condizioni di vita, all’appassionata ricerca di un nuovo modo di pensare la vita pastorale.

Il primo incarico sacerdotale di don Andrea, come vicario parrocchiale, avvenne nella comunità dei Santi Marcellino e Pietro (1970-1971). Dopo una breve parentesi trascorsa per motivi di salute in Toscana, al suo rientro a Roma don Andrea ha modo di incontrare il cardinale vicario Ugo Poletti, con il quale ha da subito un rapporto di grande apertura e dal quale riceve l’incarico di trasferirsi nella parrocchia della Trasfigurazione nel quartiere di Monteverde Nuovo (1972-1980).

Sono anni fondamentali per comprendere il delinearsi del profilo pastorale del giovane sacerdote che è in profonda sintonia con la comunità parrocchiale, con i laici, con gli altri preti (in particolare con il parroco don Viscardo Lauro) e con la città in pieno fermento post-conciliare, poiché «l’impegno del cristiano non era dissociato da quello del cittadino… Il cristiano anzi doveva partecipare attivamente al cambiamento profondo delle strutture sociali». Don Andrea s’inserisce in un gruppo di giovani preti impegnati (etichettati come preti rossi) anche socialmente, che partecipano attivamente al convegno “sui mali di Roma”. In questo periodo don Andrea si rende protagonista di un’azione coraggiosa in difesa delle madri argentine di Plaza de Mayo che sono da lui accompagnate in delegazione dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Il suo ministero pastorale, in questa fase, è accompagnato dal desiderio di studi per completare e approfondire la sua formazione culturale, iscrivendosi all’Università La Sapienza d Roma e poi presso l’Università Lateranense rispettivamente per i corsi di Filosofia, di Psicologia e di Teologia.                                                                                                                           Nel ricostruire il cammino umano e spirituale di don Andrea, l’autore del libro si è avvalso di preziose fonti, del diario e di altri scritti (custoditi nell’Archivio  “don Andrea Santoro), dove traspaiono le sue fragilità e inquietudini, le sue sensazioni e idee, le sue speranze e difficoltà, le sue irrequietezze e “grovigli” interiori.

In questo clima, per ritrovare serenità di animo, di mente e di cuore, e soprattutto se stesso, nel silenzio e  nella riflessione, nella meditazione e nella preghiera, nasce la richiesta dell’anno sabbatico (1980-1981) per recarsi in Terra Santa.

Al rientro il cardinale Poletti gli affida il compito di fondare la nuova parrocchia (Gesù di Nazareth)  a Verderocca, un quartiere in costruzione nella periferia della città. Il suo radicale impegno pastorale e spirituale, morale e sociale conosce momenti alti e bassi di fiducia nelle azioni svolte e, talvolta, di delusione per i risultati ottenuti. Le annotazioni sul diario sono la fonte principale per l’autore nel delineare il complesso cammino interiore di don Andrea, caratterizzato da fasi di gioia e di buio, di slanci e di frenate, nonostante l’incoraggiamento e il sostegno del Cardinale Poletti e dell’esaltante visita del papa Giovanni Paolo II.

Don Andrea nell’azione pastorale è una persona fragile e generosa, ma tenace e coraggiosa, che riflette e s’interroga continuamente e aspira a una vita missionaria per annunciare il Vangelo e per stare accanto agli ultimi. Come parroco nella comunità dei Santi Fabiano e Venanzio si accorge che il mondo sta cambiando poiché, accanto ai tradizionali fedeli vi sono persone non credenti e altri che credono in altre religioni.

Di fronte a questo nuovo scenario, don Andrea avverte un impegno diversificato in parrocchia e matura l’idea di dimettersi da parroco e andare in missione in Turchia. Dopo aver trascorso un periodo sabbatico di riflessione, e dopo varie esperienze di impegno con i terremotati, con gli ultimi della Comunità Nuovi Orizzonti fondata da Chiara Amirante, ottiene dal cardinale Ruini di trasferirsi in Anatolia, come prete fidei donum.                    All’interno del progetto pastorale, che don Andrea ha in mente e nel cuore, nasce la Finestra per il Medio Oriente, un’associazione che intende aprire un dialogo, un confronto di conoscenza tra mondi, culture e religioni diverse. A settembre del 2000 parte per la Turchia, una nazione dai mille volti, piena di fascino, una Terra santa colma di storia religiosa per il cristianesimo delle origini.

La sua attività pastorale dapprima a Urfa, vicino a Harran, villaggio da cui partì Abramo, e poi a Trabzon, sul mar Nero, è prevalentemente religiosa con un forte impegno sociale in uno spirito di collaborazione e di rispetto reciproco con i musulmani tenendo sempre conto che Abramo è il padre comune di ebrei, cristiani e musulmani, delle tre religioni. Nei primi mesi di soggiorno in terra turca, a Urfa, don Andrea, attraverso un lavoro interiore scopre e vive la differenza cristiana caratterizzata dall’amore gratuito, dall’apostolato della bontà, da un Dio inerme. Il suo stile di vita è caratterizzato dalla volontà di farsi vangelo nell’inserimento della vita quotidiana attraverso l’amicizia, la cordialità con persone del luogo, con i vicini di casa senza mai pensare ad attuare alcuna forma di proselitismo.

In questo periodo, nel tentativo di costruire un ponte culturale e religioso tra Oriente e Occidente, don Andrea, umile testimone della vita cristiana, diventa sempre più un uomo di dialogo tra culture e mentalità, abitudini e religioni diverse e riflette con maggiore attenzione sulla necessità di essere fedele al Vangelo, di superare le divisioni e di mirare all’unità religiosa.

Nel gennaio del 2003 su richiesta del vescovo Franceschini don Andrea, come parroco, si trasferisce a Trabzon nella chiesa di Santa Maria, dove svolge l’attività pastorale soltanto per una esigua minoranza di persone attuando la liturgia della porta, sempre aperta, per creare occasioni di incontro, di conoscenza e di condivisione. S’interessa di ecumenismo e di pace allacciando rapporti con il mondo musulmano e dialogando civilmente e religiosamente con i musulmani. Nella sua attività pastorale e sociale, prodigandosi molto, si prende cura dei disagiati, dei bisognosi e delle numerose donne che praticano la prostituzione, una vera piaga sociale.

Durante la guerra del Golfo in Iraq e di fronte agli scontri di civiltà don Andrea, dopo aver subìto aggressioni, minacce, insulti e altre forme di ostilità, prende consapevolezza che i cristiani dovrebbero rinnovare il loro credo in un Dio inerme, fatto uomo, vulnerabile che invita ad amare i nemici, in un Dio che attira con l’amore e non domina con la violenza e il potere.

Alla domanda chi sia stato veramente don Andrea si può tranquillamente rispondere che è stato un uomo religioso inquieto e zelante alla ricerca di nuovi metodi di evangelizzazione, che ha voluto convertire se stesso «diventando Vangelo per gli altri», un testimone ed un evangelizzatore di un Dio inerme.                     Un uomo libero, uno scrittore, un poeta, una persona vera “travagliata” che si è speso tutto, fino al martirio, alla ricerca di una spiritualità nuova in una società ormai secolarizzata. Pertanto è condivisibile l’auspicio del cardinale Angelo De Donatis che nella Prefazione ha scritto «Ciascuno possa sentirsi illuminato, accompagnato e guidato dalla sua vicenda terrena».


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