La Vetrata Artistica Italiana

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 La Vetrata artistica Italiana  

 Tra luce, colore, trasparenze e spiritualità  

di Sergio Salvatori  

La storia del vetro e della sua lavorazione, si perde nella notte dei tempi. Oggi  sappiamo che l’invenzione del vetro non si deve ai Fenici, ma c’è da dire che a partire  dal VII secolo a.C. fiorì nelle città fenice un gran numero di botteghe artigiane del  vetro, anche perché la sabbia delle coste della Fenicia si mostrò particolarmente  adatta al processo di vetrificazione, grazie alla sua particolare composizione  chimica. Nell’ II millennio, gli Egiziani avevano già elaborato una loro tecnica  produttiva e individuato le sostanze (silice, carbonato di calcio, alcali di sodio e di  potassio, ecc.) che, fuse insieme nello stesso momento, davano origine alla pasta  vitrea. In origine il vetro non era trasparente. Il perché si ricava dall’arretratezza  tecnologica dell’epoca, che non conosceva forni in grado di raggiungere temperature  molto elevate da permettere questo processo. Il colore naturale del vetro era azzurro,  o azzurro tendente al verdastro; per ottenere altre colorazioni, si aggiungevano gli  ossidi di metalli, come ad esempio: l’ossido di rame faceva ottenere un blu intenso,  mentre l’ossido di ferro, secondo la percentuale variabile, otteneva un vetro tendente  al verde o al giallo. La tradizione artigianale fenicia trovò poi dei continuatori, se non  addirittura degli innovatori in epoca romana. I Romani, infatti, occuparono un ruolo  di primo piano nella storia del vetro, che per moltissimo tempo non ebbero rivali  nelle tecniche di lavorazione. Fu fabbricato all’inizio in varietà multicolore, prodotto  in seguito con una tecnica più ricercata, nelle officine alessandrine al tempo di  Adriano. Plinio il Giovane, descriveva che già nel 25 d.C. era diffuso tra i Romani,  l’uso di decorare le terme, con vetri colorati montati su telai di legno ed inseguito di  metallo, per una maggiore durabilità, infatti, il legno nel tempo risultò essere un  materiale più deperibile. La vetrata trovò il suo massimo sviluppo nella Cattedrale  godica del Nord, che simbolicamente aspirava ad una maggiore spiritualità: “Ricerca  di Dio verso l’alto”; unitamente dall’architettura abbandonò ogni pienezza di masse,  ed ebbe il compito di ricoprire i vuoti assai vasti, e di creare con il gioco suggestivo  dei colori, un’atmosfera affascinante, che cantò per mezzo di figurazioni e concezioni  simboliche l’epopea cristiana. In Italia, invece, abbiamo esempi validissimi nella  nobiltà di questa arte, sicuramente all’altezza di quella nordica. Le vetrate della  Basilica Superiore di Assisi, devono considerarsi le più antiche sopravvissute in  Italia, (che risalgono alla metà del Duecento) l’arte di Giotto vi regna sovrana. La  vetrata del Duomo di Siena fu disegnata da Duccio da Buoninsegna, finalizzata da  maestri vetrai (che non sono stati identificati) e poi dipinta a grisaglia (particolare  pittura che si esegue sul lato interno delle vetrate) dallo stesso Duccio; dimostra in  questo lavoro, già la sua indipendenza dalla tradizione vetraria d’Oltralpe. E’ l’unica  opera di questo tipo di Duccio di Buoninsegna, nonché una delle poche vetrate 

realizzate da maestri di scuola senese. La grande vetrata nell’abside del Duomo di  Orvieto, finita (1334) di Lorenzo Maitani, è tratta dall’insegnamento del grande  Simone Martini. Altre si trovano a Siena e a Pisa, bellissime a Firenze in S. Croce;  alcune di queste ultime, per la superiorità di fattura, si rivelano eseguite da Giotto,  oltre che disegnate. Ancora in S. Croce, ci sono opere di Taddeo Gaddi e Maso di  Banco. In Santa Maria Novella, troviamo il rosone della facciata di Andrea da  Firenze, nel quale, in fantastica ghirlanda di linee e fascinosi colori, vediamo  rispecchiarsi e trionfare assoluto il gusto dei motivi dell’arte italiana, che da allora  andrà ad espandersi e portare il suo contributo nel mondo. Il Vasari trasportò nelle  vetrate la “grottesca” ottenuta con motivi leggeri per mezzo di grisaglia e giallo  d’argento su vetri trasparenti con qualche colore vivace; divennero così ornamento  prezioso di piccoli ambienti profani, come le finestre della Biblioteca Laurenziana di  Firenze. A Roma sono invece da segnalare le due rilevanti opere del francese  Guillaume de Marcillat, nella Chiesa di Santa Maria del Popolo, degli inizi del secolo  XVI. Roma, infatti, non ha una tradizione consolidata nel campo della lavorazione  artistica del vetro. Bisogna aspettare gli inizi del Novecento, perché nella città di  Roma fu rilanciata la tecnica della vetrata, in un periodo di gloria per le arti  decorative, come in Europa e negli Stati Uniti. Il romano Cesare Picchiarini nella sua  autobiografia, scrive: “La vetrata, questa diletta ancella della luce”. E’ in questo  modo che Picchiarini descrive la vetrata artistica, quella realizzata con un mosaico di  vetri colorati legati a piombo. Cesare Picchiarini nella sua opera Bibliografica: “Tra  vetri e diamanti (Amatrice 1935) Appunti di vita, tra mestieri e d’arte”, scrive nel  testo le fasi salienti della sua attività, in questo modo, l’artista ci ha dato la possibilità  di ricostruire la sua vita, altrimenti sconosciuta. Il Mastro vetraio Cesare Picchiarini  (1871/1943) vince il concorso per realizzare tutte le vetrate della Sinagoga romana  (1903), e lavora con il disegnatore canadese Arthur Ward (tra le realizzazioni: le  vetrate con lo “Stemma delle Api” per la Chiesa dell’Aracoeli -1912). Inizia (1904)  collaborazione con il laboratorio di Giulio Cesare Giuliani in Via Giulia a Roma  (1910) collabora con Bottazzi, Cambellotti, Grassi e Paschetto, e con loro, nasce un  sodalizio artistico, che lascerà tracce profonde ed importanti, dalle vetrate del Casino  delle Civette a Villa Torlonia (1913/1920), alle vetrate per le numerose Chiese  romane. Realizza (1926) vetrate per la Chiesa del Monte Tabor in Palestina. Presso  l’Istituto di San Michele a Ripa di Roma, insegna dal (1924) e per breve tempo nella  neonata Scuola della Vetrata (dove diventa Maestro Picchio”). L’insorgere di disturbi  nervosi sempre più frequenti verso la fine del 1929, costringe Picchiarini, ad  abbandonare l’attività, alla quale dava innumerevoli successi professionali. Il suo  Laboratorio di Piazza San Salvatore in Lauro, fu ceduto a Giulio Cesare Giuliani,  che, grazie a tale acquisto, entrò in possesso di una grande quantità di bozzetti, molti  di questi ancora oggi esistenti, che portano il timbro della loro provenienza. Cesare  Picchiarini, il Maestro delle Vetrate d’Arte, ci lascia (1943) nella sua casa di Via  Crescenzio, dove visse insieme alla sorella Mariannina.  

Informazioni. Bibliografia: “Tra Vetri e diamanti”. La vetrata artistica a Roma  (1912 – 1925). Edizioni Carte Segrete 1991.  

  1. Mancini – Le vetrate italiane – Milano 1955

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