Sonnino – Grazie agli scavi archeologici, alle esplorazioni speleologiche e alle analisi geologiche avvenute nella Grotta La Sassa nei Monti Ausoni, nel comune di Sonnino (Latina), gli scienziati stanno scrivendo numerose pagine inedite della preistoria d’Italia.

Pagine che ci raccontano dell’evoluzione tettonica e del “paesaggio archeologico” del Basso Lazio, una tra le regioni più ricche di preistoria in Europa – si pensi ai sensazionali rinvenimenti dell’uomo di Ceprano e dei Neandertaliani nel vicino Circeo.

Una sintesi delle scoperte avvenute a La Sassa è stata recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Quaternary Science Reviews. Lo studio è stato condotto da Luca Alessandri dell’Università di Groningen (Paesi Bassi) e dal latinense Luca Cardello dell’Università di Sassari, insieme ai loro collaboratori delle università di Roma Sapienza e Tor Vergata e di Napoli Parthenope.

Il confronto tra le varie discipline ha permesso di comprendere che i resti paleontologici e archeologici contenuti negli strati potevano essere utilizzati per datare l’evoluzione della forma della grotta. La datazione tramite Carbonio 14 dei depositi sul fondo della grotta, ottenute campionando le ossa di uomini e di animali, hanno contribuito a ricostruire l’evoluzione della forma della grotta. Il suo aspetto originario, un’unica grande stanza lenticolare, già nel corso del Pleistocene superiore (circa 34 mila anni fa) si era modificato in una serie di stanze più piccole disposte “a scaletta” verso il basso.

Nel frattempo, lo stillicidio continuo dell’acqua aveva formato stalattiti, stalagmiti e altre concrezioni che avevano progressivamente ridotto lo spazio disponibile. Questo processo fu innescato dalle attività delle faglie. Queste ultime sono del tutto simili per forma a quelle rintracciate in superficie, lunghe anche alcuni chilometri, di cui tuttavia gli scienziati non avevano potuto stabilire finora quanto fossero “giovani”. Il riconoscimento di queste faglie come recenti è un elemento di assoluta novità per una regione poco nota per la sua capacità di provocare terremoti.

Gli archeologi hanno scoperto che La Sassa, tra l’età del Rame e la prima età del Bronzo (circa 4000 anni fa), venne utilizzata come luogo di sepoltura per le tribù che abitavano l’area al bordo dell’Appennino per più di mille anni. Successivamente, le deposizioni di resti umani cessarono ma, circa 3000 anni fa, la grotta continuò ad essere frequentata per compiere rituali, probabilmente legati agli antenati che vi erano stati seppelliti.

Infine, in un ramo difficilmente accessibile della grotta, venne deposto un bimbo di circa un anno, ultimo essere umano ad aver trovato eterna dimora nella grotta, insieme ad un poppatoio in ceramica che rappresenta l’ultimo atto d’amore nei suoi confronti da parte dei suoi genitori.

Lo studio dei materiali recuperati in grotta è ancora in corso e ci permetterà a breve di conoscere la loro origine genetica, dieta e provenienza culturale.


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