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S’ode a destra un ministro in dimissione,a sinistra un Conte in remissione, rappresentazione di “un’umile e profonda compunzione del male a cui la remissione degli uomini [dell’uomo] non poteva riparare”(Manzoni). Degli altri,per carità,non parliamone più (non fanno più notizia). Il ministro della Istruzione per un solo giorno avrebbe dovuto pensarci prima come,del resto, tanti altri suoi costellati. Delle due una,o hai le competenze o ti levi dai piedi. Da un lato,il bel gesto -si fa per dire- potrebbe significare la presa di coscienza: non avere il polso né le competenze per gestire una “pu-pazza” quale è la scuola italiana (mi pare che sia stato direttore o rettore in Africa? Paese vergine!),quindi un atto di umiltà. Dall’altro, l’approssimazione tipica degli stellati etc. La Concita De Gregorio ha elogiato il bel gesto,con esso l’eroico attore,lei come tanti non sanno della scuola mostrandosi,nel campo, “scrutinaparole” e gente di (presunto)pensiero (!). Personalmente ritengo che colui se davvero aveva le competenze richieste, avrebbe dovuto proseguire e perseguire nel suo incarico evitando di buttarla in commedia (i fondi,le risorse etc.): non sapeva quale fosse la situazione? Non ci credo,dunque, delle due -buona coscienza e gesto inutilmente plateale- io propendo per la seconda: ancora una volta, per gli stellati,”il fine è la meraviglia”(!),leggi la pipì per aria come nel caso di Fioravanti. Col senno di poi,nell’andata di recupero o tempi supplementari, non è poi andata male: è una vita che predico che nel regio monastero umbertino di viale Trastevere non hanno mai capito che il (cosiddetto) ministro della P.I.(per me sempre e ancora Pubblica Istruzione!) avrebbe dovuto essere affiancato da una “persona di scuola” vedi preside o dirigente o docente particolarmente illuminato. Insomma,da chi vive quotidianamente la vita della scuola. Non peregrina la distinzione o separazione dei ruoli -due ministri (università e ricerca, scuole )-,anche in questo caso per una necessaria competenza e frequenza dello e nello specifico.
Purtroppo,si procede per tentativi, come è sempre stato nella nostra scuola,sempre più un vuoto a perdere.
Il grande Carlo Collodi,col suo “Pinocchio”(1881-1883), ha ancora tanto da insegnare in e sul merito: la scuola come la cultura sono indispensabili per diventare migliori,per capire chi siamo a prescindere da quel che sembriamo. Per non mistificare e imbrogliare noi stessi. Per guardare in faccia la realtà senza rinunciare ai sogni o alle favole,anch’essi necessari per vivere. Per il suo umorismo scettico Collodi è plausibilmente influenzato da Leopardi (che amava moltissimo) circa la visione lucida della vita e del destino dell’uomo moderno. Inserendosi nella prospettiva critica di una complessità di significati tutt’altro che scontati. Pensando a dei lettori in grado di leggere tra le righe,di cogliere cioè polisensi e allusioni a una vasta gamma di esperienze. Mi piace sottolineare ciò per avvertire che uno dei meriti maggiori del bellissimo,poetico film di Matteo Garrone sono proprio questa lettura e questa percezione: avere restituito un intellettuale e un poeta del XX secolo anziché del XIX,esattamente come Leopardi: entrambi modernissimi,spietati e spudorati nell’andare “oltre la siepe”. Nel saper restituire criticamente l’aspetto “razionale” del libro, la dimensione di quell’ “oltre in tutte le cose”. Esteticamente, formalmente,artisticamente e concettualmente un film davvero consolatorio per l’anno che verrà: l’autore (Garrone) può immaginarsi nelle vesti di “un venditore di almanacchi”, senz’altro bene auguranti ma comprensibilmente allarmanti. La vita è sogno,d’accordo, abbiamo bisogno di sognare purché il sogno avvenga a occhi aperti (vedi l’Infinito di Leopardi, la fabula di Pinocchio). Commovente e struggente l’interpretazione di Benigni, un E.T. fantastico il burattino extra umano, tra il rossiniano e il mozartiano la “partitura”; straordinari tutti gli altri interpreti. Un film necessario ossia di prima necessità (a differenza, col vostro permesso, delle Star Wars!). Un film grazie al quale veniamo “poeticamente” traghettati dal male di vivere (l’anno vecchio e quelli immediatamente precedenti) alla gioia di vivere. Sulle ali di una (gramsciana) fantasia concreta.(gmaul)
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