L’analisi di Franco Brugnola, ex direttore amministrativo, sul fenomeno del caporalato in agricoltura.

Il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sul fenomeno del caporalato in agricoltura approvato dalle Commissioni riunite XI (lavoro pubblico e privato) e XIII (agricoltura) della Camera dei deputati il 12 maggio 2021 ha scritto che «Il fenomeno del «caporalato» rappresenta una forma di sfruttamento lavorativo che interessa diversi settori produttivi (quali, in particolare, i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura), ma che si manifesta con particolare forza e pervasività nel settore dell’agricoltura […]. Lo sfruttamento si sostanzia in forme illegali di intermediazione, reclutamento e organizzazione della manodopera»,
Il settore agricolo è quello in cui incide maggiormente questo fenomeno anche a causa, almeno in parte, della sua stagionalità.
La maggioranza dei lavoratori agricoli non ha un contratto di lavoro regolare ed è facile preda del caporalato.
La predetta indagine afferma anche che lo sfruttamento si sostanzia in forme illegali di intermediazione, reclutamento e organizzazione della manodopera, che determinano il costituirsi di rapporti nell’ambito dei quali i lavoratori sono sottoposti a condizioni degradanti, in violazione della disciplina prevista per la loro tutela, approfittando del loro stato di bisogno.
In questo ambito si inseriscono pratiche, anche sofisticate, di sfruttamento della manodopera, spesso migrante, programmate e organizzate da imprenditori che agiscono in forma criminale.
Secondo il sesto rapporto dell’Eurispes sulle agromafie il caporalato sarebbe parte di una rete criminale che si incrocia perfettamente con la filiera del cibo, dalla produzione al trasporto, alla distribuzione e alla vendita.
Il caporalato non si limita a sfruttare il lavoro dei lavoratori agricoli ma si preoccupa anche di offrire un letto per dormire a costi
Tenuto conto delle carenze del trasporto pubblico nelle aree rurali la rete della malavita organizzata organizza anche questo servizio per sfruttare ulteriormente i lavoratori agricoli.
Ho avuto occasione di assistere a Latina ad un processo che vedeva come imputati proprio due persone che avevano organizzato un servizio di reclutamento e di trasporto di lavoratori extracomunitari da un luogo di raccolta fino alle imprese agricole e solo grazie ad un rapporto molto dettagliato di un ispettore del lavoro è stato possibile arrivare alla condanna di queste persone.
Con la legge 199 del 2016 oltre a riformulare il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro previsto dall’art. 603-bis del codice penale è stata introdotta una nuova formulazione della fattispecie penale, punita con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore reclutato. Restano sanzionati con le pene più gravi precedentemente previste (la reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro) i fatti commessi mediante violenza o minaccia, per i quali è anche previsto – da una diversa disposizione – l’arresto obbligatorio in flagranza.
Molto interessante è anche la previsione che, in caso di condanna, sia disposta la confisca obbligatoria delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere il reato, che siano il prezzo, il prodotto o il profitto del reato ovvero, in caso di impossibilità, la cosiddetta confisca per equivalente, consistente nella confisca di beni di cui il reo abbia la disponibilità, anche indirettamente o per interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato.
A questo proposito, specialmente dopo l’entrata in vigore della legge 199 del 2016 recante Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo il Comando Carabinieri per la tutela del lavoro ha incrementato l’attività di contrasto all’intermediazione e allo sfruttamento del lavoro on risultati molto positivi.
Al riguardo personalmente condivido la proposta contenuta nel citato documento della Commissione d’indagine per organizzare delle task force a livello provinciale coinvolgendo anche altri organi di vigilanza come quelli delle aziende sanitarie locali dato che spesso allo sfruttamento dei lavoratori si aggiunge anche l’utilizzo di prodotti fitosanitari non autorizzati in Italia o il loro utilizzo senza gli specifici Dispositivi di Protezione Individuale.
Interessante è la disposizione contenuta sempre nella legge 199 del 2016 con cui è stata rafforzato la Rete del lavoro agricolo di qualità, istituita dall’articolo 6 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, rivedendone in più punti la disciplina.
Ma dal punto di vista della prevenzione si sarebbe potuto fare di più come auspicato dal rappresentante della Confederazione Agricoltori Italiani nel corso di una delle numerose audizioni tenute dalla Commissione.
Nel documento della Commissione tra gli interventi per contenere il caporalato è stato previsto anche di introdurre misure premiali nell’ambito dei Programmi di Sviluppo Rurale per indurre gli imprenditori ad offrire servizi quali alloggi e trasporto.
A questo proposito desidero rammentare esiste già una disposizione al riguardo che è rappresentata dal r.d. 1265 del 1934 (Testo unico delle leggi sanitarie) in gran parte ancora in vigore che all’art. 224 stabilisce quanto segue: «I proprietari di fondi coltivati mediante l’opera temporanea di operai avventizi, non aventi abitazione stabile nel Comune o nei Comuni dove i fondi sono posti, hanno l’obbligo di provvedere gli operai di ricoveri rispondenti alle necessità igieniche e sanitarie, tenuto conto delle condizioni e della natura della località. Nel caso di inadempimento si provvede di ufficio…».
Se questa norma fosse stata rispettata dai Sindaci probabilmente oggi non saremmo qui a parlarne.
Sarebbe opportuno che questa disposizione venisse attuata al più presto anche se per la sua attuazione probabilmente occorre intervenire sul regolamento edilizio di ogni ente locale e sul Piano di utilizzazione aziendale (PUA) prevedendo ad esempio dal punto di vista urbanistico, la possibilità di trasformare vecchie stalle o altri edifici in abitazioni per dare un alloggio idoneo ai lavoratori.
In questo modo verrebbe risolto contestualmente il problema della casa e quello del trasporto.

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