Il concetto di «infinito» nella scienza, nella filosofia e nella letteratura

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La parola infinito – aggettivo o sostantivo – deriva dal latino in (non) e finitus (da finis, fine, punto  che segna il termine dello spazio e del tempo), e indica qualcosa che non ha fine, che è indeterminato, interminabile, immenso. In matematica il simbolo dell’infinito è la leminiscata (dal latino lemniscus, nastro ornamentale usato nell’antica Roma per le corone, che è anche quello che si compone quando ci si allaccia le scarpe con le stringhe), che corrisponde al numero otto 8 rovesciato . Questo nome gli fu assegnato dal matematico olandese Daniel Bernoulli (1770 – 1782), che divenne famoso anche per il paradosso di San Pietroburgo che descrive un gioco d’azzardo – nel lancio di una moneta: testa o croce – con una vincita media di valore infinito.

Lo scienziato tedesco Albert Einstein (1879 – 1955) asseriva ironicamente che Solo due cose sono infinite, l’universo e la stupidità umana, e non sono sicuro della prima.

Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899 – 1986) nel saggio Altre inquisizioni (1952) scriveva che C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’etica; parlo dell’Infinito, mentre il poeta Giacomo Leopardi (1798 – 1837) si tuffava con la mente ne L’infinito con questi ultimi versi: Così tra questa/ Immensità s’annega il pensier mio:/ E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Saranno stati il fascino di questo canto leopardiano e la maturità raggiunta in età adolescenziale, durante le notti d’estate, osservando la volta celeste, che brulicava di miriadi di stelle tremolanti, a proiettare la mia fantasia, oltre la rude realtà in cui vivevo quotidianamente, e a far nascere in me la fine idea di arte produttiva che identificai con quel che stavo studiando in quel tempo in Platone (428/427 – 348/347 a.C.) che nel Simposio sosteneva che: Ogni atto per cui qualcosa passa dal non essere all’essere è poiesis … e i loro artisti sono tutti poietai. Cioè la poiesis è connessa con la creatività, la poiesis è creatività. E l’infinito che stava attorno a me, dando ampio spazio all’immaginazione, non presentando barriere, né vincoli di alcuna natura concreti o astratti, stimolava la mia inventiva. L’infinito, in definitiva, era ed è poiesis, paragonabile ad un pozzo senza fondo dove si può mettere di tutto secondo il logos, cioè secondo un discorso interiore razionale, dove dal non essere si passa all’essere. Nel romanzo Sul sentiero dell’origano selvatico (Aracne ed., collana Ragno riflesso, 2020) ho asserito che: La Poesia è passione, è fuoco che arde dentro e che dà vigore a chi la scrive o a chi la legge interiorizzandola emotivamente. La Poesia è musica dell’anima. La Poesia è cogliere l’attimo emotivo che diventa eternità. La Poesia è sentirsi in sintonia con la natura. Tanti, tantissimi rifuggono dalla poesia per superficialità e perché non comprendono il suo valore che è sconvolgimento dello status quo, è intimità che si esteriorizza instaurando un rapporto empatico con gli altri; perché la Poesia è liberazione; perché la Poesia è un atto rivoluzionario che unisce il sé al mondo sconvolgendolo; perché la Poesia è un moto dell’inconscio che tramite i ricordi esprime un’intensa emotività interiore che trasforma le immagini immateriali insite nella mente del poeta in immagini reali e in affettazioni polimorfe; perché la Poesia è un gioco fantastico che il poeta intraprende con le proprie chimere per trarne carezze che gli possano conferire conforto e diletto; perché la Poesia è sintesi tenera e appassionata dei continui moti dell’animo sentiti, attimo dopo attimo …. Aggiungendo che …  Poeta è colui che svela la propria potenza immaginifica con la stessa semplicità con cui la madre allatta il proprio bambino. E, come una madre, Poeta è colui che nutre chi si abbevera alla sue dolci parole o alle sue rime accorate. … Secondo lo scrittore ceco Milan Kundera nel libro “L’arte del romanzo” (Piccola Biblioteca Adelphi,1988) per il poeta scrivere significa abbattere il muro dietro cui si nasconde qualcosa che è stata sempre lì. Quel muro altro non è che lo steccato che divide la vita vissuta dall’interiorità umana che si può abbattere con la poesia, poesia che è un gioco di parole che sgorgano sincere con particolari ritmi e suoni che destano emozioni in chi le ascolta al pari del poeta che le ha scritte. In effetti, la poiesis era stata già connessa alla grande capacità di astrazione dei filosofi presocratici, in particolare degli antichi atomisti greci, come Democrito (460 – 370 a.C.) e, circa un secolo più tardi, come Epicuro (341 – 270 a.C.), che avevano con il loro pensiero partorito il concetto di atomo (essere) e quello di vuoto (non essere), dove gli infiniti atomi possono muoversi e generare infiniti mondi, tra cui anche il nostro. Quindi avevano concepito il concetto di infinito che verrà poi espresso nel poema De rerum natura dal poeta latino epicureo Lucrezio (I sec. a.C.): non può esserci nessun estremo di nessun corpo se non esiste al di là qualcosa che lo limiti, così che appaia un punto oltre il quale non può andare la natura dei sensi … .E … Dato che l’universo, oltre i limiti di questo nostro mondo, è infinito, la mente si chiede cosa ci sia oltre, fino a dove essa riesce a spingersi con la sua intelligenza. Ma l’ignoranza delle cause porta gli uomini a riferirli all’arbitrio degli dei e a sottomettersi al loro potere.

L’idea degli infiniti mondi venne ripresa, circa quindi secoli più tardi, con i noti risvolti tragici, dal filosofo Giordano Bruno (1548 – 1600) nel dialogo De infinito, universo e mondi(1584): Di maniera che non è un sol mondo, una sola terra, un solo sole; ma tanti son mondi quante veggiamo circa di noi lampade luminose, le quali non sono più né meno in un cielo ed un loco ed un comprendente, che questo mondo, in cui siamo noi, è in un comprendente, luogo e cielo. Ma se infiniti sono i Mondi e le galassie, l’uomo non può essere il privilegiato del creato.

In effetti, oggi, se chiedessimo a chicchessia la definizione di “infinito” non si avrebbe una risposta univoca, tant’è che le sue definizioni e interpretazioni sono molteplici. Nell’Enciclopedia Treccani si sottolinea che il concetto di infinito acquista varie accezioni che dipendono dal contesto culturale in cui si opera: nel linguaggio comune  significa «infinite volte, senza limiti, per lunghissimo tempo … Nel pensiero filosofico-scientifico, esso ha oscillato tra le due definizioni formulate da Aristotele: L’infinito potenziale (o infinito sincategorematico; ndr: cioè parte di un discorso che assume significato solo all’interno di un contesto), ciò di cui si può prendere sempre e solo una parte, non sostanza quindi ma processo, la cui esistenza è implicata dalla non esauribilità delle grandezze sottoposte alle operazioni dell’aggiunta di una parte sempre nuova e della divisione in parti sempre nuove (tale nozione è fondamentale nell’analisi matematica, in quanto l’infinito è qui oggetto di calcoli positivi come limite di certe operazioni sulle grandezze e sui numeri); e l’infinito attuale  (o infinito categorematico; cioè di parola o di espressione che ha significato di per sé), che sarebbe invece una qualità o sostanza, considerato spesso con sospetto per le difficoltà e le contraddizioni che sembrava comportare (per esempio, le antinomie concernenti la parte e il tutto nelle classi infinite, cioè i cosiddetti paradossi dell’infinito …) e comunque inteso come una vera grandezza, anche se di tipo particolare, caratteristica degli insiemi infiniti studiati dalla moderna teoria degli insiemi».  Infatti, quest’ultima definizione rientra tra i concetti matematici e trova la sua interpretazione nella teoria degli insiemi, in quanto è riferito ad un insieme, che ha la potenza (cioè la quantità degli elementi) di infinito quando esiste una corrispondenza biunivoca con un suo sottoinsieme. Ad esempio, l’insieme dei numeri naturali N (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, …) è costituito da due sottoinsiemi propri, quello dei numeri pari P (2, 4, 6, 8, 10, 12, 14, 16 …) e quello dei numeri dispari D (1, 33, 5, 7, 9, 11, 13, …). Se, ora, si pone la corrispondenza tra l’insieme N e il suo sottoinsieme proprio P risulterà che, ad ogni elemento n di N, corrisponderà, nel sottoinsieme P, uno ed uno solo elemento 2n (cioè il suo doppio) e, viceversa, dato un elemento 2n del sottoinsieme P ad esso corrisponderà, nell’insieme N, uno e uno solo elemento n (cioè la sua metà). Gli insiemi N e P sono equipotenti, cioè hanno lo stesso numero di elementi, ovvero i numeri naturali N sono “tanti quanti” sono i numeri pari: un paradosso dell’infinito! Simile discorso può essere fatto tra l’insieme N e il suo sottinsieme D.  L’equipotenza come operazione di confronto tra due insiemi gode della proprietà riflessiva (ogni elemento di un insieme dato è in relazione con se stesso), di quella simmetrica (assegnata una coppia di elementi di un insieme dato risulta che il primo è in relazione con il secondo e il secondo con il primo)  e di quella transitiva (dato un insieme, se un primo elemento è in relazione con un secondo elemento e questo con un terzo elemento, allora il primo elemento è in relazione con il terzo). (La locuzione “uno e uno solo” sta ad indicare l’unicità e l’esistenza).

Nella geometria dei frattali – termine usato, nel 1975, dal matematico polacco Benoit Mandelbrot (1924 – 2010) nel libro “Les Objects Fractals: Forme, Azard et Dimension”. I frattali sono elementi contenuti nella “Teoria del caos” – la curva di Koch esprime una lunghezza infinita in uno spazio finito, tant’è che applicando tale geometria al corpo umano si ha una lunghezza infinita – basti pensare alla lunghezza dei capillari sanguigni -, che occupa uno spazio in uno spazio circoscritto, qual è il corpo umano.

Il filosofo olandese Baruch Spinoza (1632 – 1677) nell’Etica fu il primo filosofo che, in epoca moderna, ne affrontò il significato sostenendo che il concetto di infinito è la possibilità della ragione di auto-generarsi in modo autonomo avendo come base le leggi eterne sue proprie.

Francesco Giuliano


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Giuliano Francesco, siciliano d’origine ma latinense d’adozione, ha una laurea magistrale in Chimica conseguita all’Università di Catania dopo la maturità classica presso il Liceo Gorgia di Lentini. Già docente di Chimica e Tecnologie Chimiche negli istituti statali, Supervisore di tirocinio e docente a contratto di Didattica della chimica presso la SSIS dell’Università RomaTre, cogliendo i “difetti” della scuola italiana, si fa fautore della Terza cultura, movimento internazionale che tende ad unificare la cultura umanistica con quella scientifica. È autore di diversi romanzi: I sassi di Kasmenai (Ed. Il foglio,2008), Come fumo nell’aria (Prospettiva ed.,2010), Il cercatore di tramonti (Ed. Il foglio,2011), L’intrepido alchimista (romanzo storico - Sensoinverso ed.,2014), Sulle ali dell’immaginazione (NarrativAracne, 2016, per il quale ottiene il Premio Internazionale Magna Grecia 2017), La ricerca (NarrativAracne – ContempoRagni,2018), Sul sentiero dell’origano selvatico (NarrativAracne – Ragno Riflesso, 2020). È anche autore di libri di poesie: M’accorsi d’amarti (2014), Quando bellezza m’appare (2015), Ragione e Sentimento (2016), Voglio lasciare traccia (2017), Tra albori e crepuscoli (2018), Parlar vorrei con te (2019), Migra il pensiero mio (2020), selezionati ed editi tutti dalla Libreria Editrice Urso. Pubblica recensioni di film e articoli scientifici in riviste cartacee CnS-La Chimica nella Scuola (SCI), in la Chimica e l’Industria (SCI) e in Scienze e Ricerche (A. I. L.). Membro del Comitato Scientifico del Primo Premio Nazionale di Editoria Universitaria, è anche componente della Giuria di Sala del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2018 e 2019/Giacarlo Dosi. Ha ricevuto il Premio Internazionale Magna Grecia 2017 (Letteratura scientifica) per il romanzo Sulle ali dell’immaginazione, Aracne – NarrativAracne (2016).