La vera storia di un aborto negli anni ’60: l’importanza della Legge 194 e quello che ancora manca

In questa intervista una Donna dipinge per noi la più profonda tra le sue ferite, ci racconta la dolorosa storia dell'aborto clandestino che è stata costretta ad affrontare negli anni '60 in un paesino tra le campagne della Toscana, offrendoci la possibilità di capire insieme la Legge 194, una legge che può e deve difendere la vita, e quanto ancora siamo lontani dalla sua piena attuazione.

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Immagine da uRadio

PISA – 24 aprile 2021

Quella del 22 maggio 1978, n. 194, è indubbiamente una delle leggi più dibattute, difese od osteggiate del nostro tempo, trova ancora oggi numerosi oppositori, che molto spesso ne ignorano il contenuto e si accaniscono contro di essa in nome della difesa della vita umana, nonostante questa sia, prima di ogni altra cosa, una legge per la tutela della vita e della salute della donna, della stessa maternità, come espresso a chiare lettere nell’articolo 1: “Lo  Stato  garantisce  il  diritto  alla  procreazione  cosciente e responsabile,  riconosce  il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione  volontaria  della  gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.  Lo  Stato,  le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i  servizi socio-sanitari,  nonché  altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.”
La 194 nacque a seguito della sentenza n. 27 della Corte Costituzionale, che nel 1975 dichiarò l’illegittimità dell’art. 546 del Codice Penale nella parte in cui puniva la donna consenziente che praticasse un aborto, anche nei casi in cui fosse stata accertata la pericolosità della gravidanza per la salute fisica e mentale della stessa, in assenza dei criteri dello stato di necessità elencati nell’Art. 54 del Codice Penale.
Come molti sanno, la Legge 194 definisce le modalità dell’Interruzione Volontaria della Gravidanza, distinguendo le circostanze in cui si renda necessaria nei primi 90 giorni o nei successivi; un aspetto dirimente che invece non tutti conoscono è il contenuto dell’art. 5, spesso dimenticato anche dai medici stessi: vige l’obbligo per il consultorio o per la struttura socio-sanitaria, oltre che a garantire i necessari accertamenti medici, di dialogare con la donna e, qualora lei lo consenta, con il padre del concepito, in merito alle ragioni che hanno portato a richiedere l’IVG, specie quando queste derivino “dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante”, in modo da metterla a conoscenza dei propri diritti, degli aiuti e interventi di carattere sociale cui può fare ricorso e in generale, “di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”, in modo tale che questa possa prendere una decisione esaustivamente informata e giusta per se stessa.
Prima della legge 194, l’Interruzione Volontaria di Gravidanza nel rispetto della dignità, della volontà e della salute della donna, non esisteva, così come non esistevano la possibilità di confrontarsi con un medico allo scopo di essere adeguatamente informata e sostegni economici o sociali che potessero offrirle un’alternativa praticabile: tutto ciò che esisteva era l’aborto clandestino, fatto di procedure brutali, dolorose, pericolose e talvolta letali, nel più totale silenzio, nella vergogna; l’unica possibilità per una donna di decidere per se stessa era rischiare la propria vita.
Purtroppo la piaga dell’aborto clandestino non ha ancora abbandonato il nostro paese, prima di parlare di quanto ancora siamo lontani dalla piena realizzazione di un diritto che dovrebbe essere garantito per ciascuna donna, è opportuno però riflettere sul passato, un passato che è ancora presente in numerose situazioni di degrado e inciviltà, persino nella nostra regione, un passato che ci viene disegnato nitidamente da Laura (N.d.A. nome di invenzione), che coraggiosamente ha deciso di rilasciarci questa intervista pur nel rispetto del proprio anonimato.

Laura è una donna di 75 anni, vive in un piccolo paese tra Pisa e Cascina ed è sposata con Matteo (N.d.A. nome di invenzione), dal 1962. Nella vita ha sempre lavorato, sia per conto proprio cucendo vestiti o facendo la commessa, sia successivamente gestendo un’attività insieme al marito. Nel 1963 è nato il primo figlio, a quel tempo i coniugi vivevano ancora con i genitori della donna per risparmiare e Matteo faceva due lavori per portare più soldi possibile a casa; le cose andavano bene, pur non nella piena prosperità, quando, nel 1964, Laura scoprì di essere di nuovo incinta: ne parlò con il marito, il quale pur riconoscendo di non vivere in una condizione agiata, fu d’accordo con lei nel portare avanti la gravidanza, stringendo un po’ la cinghia; purtroppo, però, quando Laura comunicò la notizia alla madre e alla suocera, tutte le sue certezze crollarono. Le due donne erano fermamente contrarie ad avere un’altra bocca da sfamare. Memori dei tempi duri trascorsi durante la guerra, raccontarono a Laura quanto fosse terribile soffrire la fame, la terrorizzarono, le intimarono di non parlare a nessun altro della gravidanza, compresi suo padre e le sue sorelle, e di abortire. Laura e Matteo erano molto giovani in un periodo storico e in un contesto di campagna, in cui era stata loro inculcata la massima obbedienza ai “vecchi”, che avevano sui ragazzi un’influenza tale da non permettere loro di sviluppare una propria indipendenza, persino nell’autodeterminazione. La diciannovenne cadde in una sorta di abisso di disperazione e si affidò totalmente alla madre e alla suocera, in un continuo tormento di vergogna e disgusto verso se stessa, senza poter chiedere consiglio o conforto ad anima viva. Accadde così che un giorno, Laura si recò a casa della suocera, dove la attendeva la balia (così chiamavano l’ostetrica), che aveva fatto nascere il suo primo bambino e che si occupava anche degli aborti.

Chi ti accompagnò quel giorno a casa di tua suocera?
“Mio marito, uscimmo di casa, come due stupidi, totalmente disorientati, piangendo, prendemmo la macchina e andammo là”.

Cosa accadde una volta arrivati?
“Lei mi fece spogliare e sdraiare sul letto di mia suocera, eravamo da sole in quella camera, prese una siringa molto grande, ricordo che conteneva tantissimo liquido, mi fece aprire le gambe e inserì l’ago all’interno della mia vagina, facendo l’iniezione ben in profondità. Dopo la pagai ed è andò via senza avermi spiegato cosa mi avesse somministrato.”

Tornaste a casa? Come ti sentivi?
“Sì. Stavo male, fu terribile. Terribile. Ero distrutta, ancora oggi, nonostante sia vecchia, provo quel dolore, la vergogna, la solitudine, la confusione.”

Come reagì il tuo corpo?
“Faceva male. Perdevo sangue, ma il peggio doveva arrivare. Qualche settimana dopo, ero a lavoro, iniziai a sentire dei crampi e a perdere tantissimo sangue. Mio marito mi portò a casa e nel tragitto riempii di sangue il sedile della sua macchina, divenne rosso. Mia madre mi disse di urinare all’interno di un recipiente invece che nel gabinetto, lo feci e quando mi alzai vidi tantissimo liquido rosso e qualcosa di solido, un grumo, all’interno. Non potei guardare oltre. Non so come sono sopravvissuta dopo quell’emorragia senza andare in ospedale. Nei mesi successivi mi capitò di avere le mestruazioni ogni 2 settimane, o almeno credo lo fossero, riuscii ad andare dalla mia ginecologa che mi inviò all’ospedale Santa Chiara. Lì mi fecero un raschiamento. Anche quello fu terribile, era il terzo giorno di Pasqua, fui l’ultima, intorno alle 14-15 del pomeriggio, mi scoppiava la testa e non capii che cosa avessero raschiato via dalla mia pancia. Dopo pian piano andò meglio.”

Psicologicamente quando ti sei sentita meglio? Chi ti rimase vicino?
“Nessuno mi è stato vicino. Se avessero voluto starmi vicino non mi avrebbero spinta a farlo. Psicologicamente non è passato. Neanche oggi.”

Ti sei sentita obbligata ad abortire?
“Sì. Mi obbligarono. Mi sentii pentita di ciò che avevo fatto immediatamente, i sensi di colpa non mi hanno mai abbandonata. Non ci hanno mai abbandonati. Mia madre, mia suocera, andavano in chiesa, erano cattoliche, eppure mi hanno portata ad abortire, era un continuo logorarmi, dirmi che non avevo cervello, che c’era la miseria. Quello che ho passato mi ha creato enormi problemi psicologici anche decenni dopo, persino con i figli che ho avuto in seguito, altri due, mi ha lasciato una cicatrice che non se ne andrà mai. Il silenzio, la vergogna, la brutalità, le sofferenze fisiche. Ci ripenso, come mio marito, ne parliamo insieme, spesso piangiamo.”

Pensi che parlare con qualcuno, con un medico, prima di quel giorno, avrebbe potuto cambiare le cose?
“Sì. Il problema più grave per me fu che a quel tempo la regola, la legge, era stare zitte, accettare in silenzio quello che le vecchie ti dicevano, avevo a malapena 19 anni. Se avessi potuto parlarne almeno con mio padre o con un medico o con chiunque, se ci fosse stata almeno una persona a sostenerci, non l’avrei fatto. Mia madre non voleva che parlassi. Mi intimò di stare zitta.”

Abbiamo chiesto a Matteo se avesse qualcosa da dire in merito a quel terribile periodo della loro vita:
“Continuo a darmi la colpa per quanto accaduto, vorrei aver preso e bruciato quel letto. Avrei dovuto dire che un bambino non avrebbe portato miseria, che avrei sfamato anche lui. Eravamo giovani ma dovevo comunque fermare quella barbarie, avevo due lavori, ce l’avrei fatta, anche Laura lavorava, dovevamo andarcene. Non mi perdonerò mai.”

Quanto accaduto a Laura, continua a succedere oggi, nonostante le pene previste per chi compia una IVG al di fuori delle modalità previste dalla legge. Sia nel caso di donne che decidano autonomamente di interrompere la gravidanza, sia per donne che vengano spinte in quella direzione senza una piena consapevolezza, in alcune realtà la strada resta la medesima: interventi attuati da macellai, nel totale disinteresse verso le basilari norme igieniche e la tutela della vita umana, privi di consenso adeguatamente informato e senza alcuna assistenza medica e psicologica.
Oltre alla piaga della clandestinità, permangono numerose difficoltà anche per l’attuazione della legge 194 all’interno della sanità pubblica e dei consultori, oltre alle vergognose carenze in ambito di educazione sessuale, in merito all’utilizzo di metodi contraccettivi e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.
Secondo i dati Ars Toscana del 2018, le interruzioni volontarie di gravidanza sono in calo nella nostra regione, così come in Italia, resta però un tasso di abortività (7.3 per 1000) più elevato rispetto alla media nazionale (6,5 nel 2016), inoltre il tasso delle donne straniere è superiore a quello delle italiane, prevalentemente Cinesi (26,1%), Rumene (18,8%), Albanesi (12,7%) e Nigeriane (7,2%). Tra le minorenni il numero di gravidanze interrotte è di 3767,7 per 1000 nati vivi. Nonostante ciò le donne non maggiorenni che ricorrono a IVG sono in calo, contro l’aumento per donne dai 35 anni e per le disoccupate. Un dato significativo è quello inerente i tempi di attesa che intercorrono tra la certificazione e l’intervento, che nel 72,2% dei casi rimane entro le 2 settimane per le Italiane, durata più elevata rispetto alla media nazionale, e risulta maggiore per le donne straniere, caso in cui si registrano tempi di attesa maggiori di 3 settimane. I giorni intercorrenti sono inferiori in caso di IVG farmacologica. In Toscana sono presenti 28 ospedali con reparti di ginecologia e ostetricia in cui si pratica l’IVG; la percentuale di obiettori nelle strutture ospedaliere riguarda ben il 59,2% dei ginecologi, il 23% degli anestesisti, il 23,4% del personale non medico, percentuali certamente più basse rispetto alla media nazionale, ma superiori rispetto a quelle delle regioni del Nord Italia.
I consultori familiari pubblici nella nostra regione sono 191, con una proporzione più bassa di obiettori rispetto agli ospedali ma che giunge al 41% nella zona Sud-Est della Toscana.
La strada è ancora lunga: una donna dovrebbe essere libera di scegliere per se stessa nel pieno possesso di tutte le informazioni necessarie riguardo alle conseguenze sul suo corpo, nella totale consapevolezza di quali siano le opzioni verso cui dirigersi, nella piena tutela della sua salute fisica e mentale e con l’incrollabile rispetto verso la sua dignità, in tempi che non comportino ulteriori sofferenze fisiche e psicologiche; permane il condizionale, permangono la clandestinità e il giudizio, permangono le discriminazioni razziali, permangono realtà in cui manca totalmente la possibilità di ricorrere a procedure legali, permane l’incapacità, per molti, di accettare che una donna sia padrona della sua esistenza, del suo futuro e del suo corpo, esattamente come un uomo.

Dati Ars Toscana sull’Interruzione Volontaria della Gravidanza: https://www.ars.toscana.it/2-articoli/4014-le-interruzioni-volontarie-di-gravidanza-in-toscana.html


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Studentessa di medicina di giorno, lettrice accanita di notte, vivo a Pisa e adoro scrivere, sin dall'infanzia mi diletto con racconti, poesie e vari concorsi letterari. Ho deciso di unire questa passione alla curiosità che da sempre mi accompagna e al vivo interesse per la mia città, per il mio territorio, nonché per l'attualità con tutte le sue contraddizioni, collaborando con News-24.it.