L’angolo delle curiosità artistiche

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L’arte non adopera materialmente le cose dell’esperienza; ma dà forma comunicativa  all’emozione che esse suscitano in noi.

Emilio Cecchi

 Giotto è il pittore che «nella scoperta del Vero e nella certezza dello spazio misurabile» (Roberto Longhi) ha saputo dare immagine al mondo delle emozioni , delle passioni e degli affetti. E tutto ciò è possibile vedere nel dipinto murale che racconta il Bacio di Giuda negli affreschi della Cappella degli Scrovegni. La scena, che rappresenta la cattura di Gesù, è un tumulto di uomini, di armi e di torce. C’è il sacerdote del Sinedrio che in primo piano indica l’uomo da catturare. Il fuoco emotivo della composizione è il bacio di Giuda che avvolge il Salvatore in un abbraccio. Da guardare da vicino i volti dei due protagonisti: mite e malinconico quello di Gesù, teso e spasmodico quello di Giuda.

Luca Signorelli è universalmente celebre per il Giudizio finale della Cappella di San Brizio nel duomo di Orvieto. Ma nel chiostro grande del monastero benedettino di Monte Oliveto Maggiore, non lontano da Siena, l’artista negli anni 1497-1498 ha dipinto ad affresco otto storie della vita di san Benedetto. Le scene affrescate raffigurano otto episodi della vita del santo. Dio punisce il prete  Fiorenzo; san Benedetto evangelizza gli abitanti di Montecassino; esorcizza il diavolo; resuscita un monaco ucciso dal crollo di un muro; rimprovera due monaci; rimprovera il fratello Valeriano per aver violato il digiuno; scopre l’inganno del finto Totila; incontra il re Totila e gli dà il benvenuto. Il suo genio era per il teatro, per gli episodi affollati, per i colpi di scena.

Il giovanissimo, non ancora ventenne, Michelangelo fu chiamato a Bologna per realizzare il monumento funebre di san Domenico, dopo la scomparsa dello scultore Niccolò dell’Arca. Michelangelo veniva da Firenze, dall’Accademia di San Marco promossa da Lorenzo il Magnifico, ed era un fervido seguace del domenicano Girolamo Savonarola. L’intervento di Buonarroti si limitò all’esecuzione di tre sculture a tutto tondo, di misura medio-piccola, che raffigurano San Procolo, San Petronio e un Angelo inginocchiato che regge un candelabro collocato alla destra della mensa dell’altare.

Piero della Francesca ha dipinto (tempera su tavola) la Flagellazione di Cristo (1455-1460) che si trova a Urbino presso la Galleria Nazionale delle Marche. L’opera, ritenuta da molti storici dell’arte, enigmatica è firmata Opus Petri De Burgo Sancti Sepulcri. Il fascino del dipinto sta nell’equilibrio miracoloso fra architettura e colore, nella sublime staticità, nel senso quasi ipnotico della bellezza. Fra le colonne, le case e la piazza della più bella città ideale del Rinascimento, otto personaggi silenziosi difendono un segreto iconografico. Pilato porta il cappello a punta e i calzari purpurei, mentre il personaggio di spalle, che sembra comandare il supplizio, è inequivocabilmente abbigliato alla turca. La Flagellazione di Urbino rappresenta il momento più importante nel percorso di Piero della Francesca, il più alto punto di sintesi fra «il senso della profondità atmosferica» e «la profondità calcolata della prospettiva» (Kenneth Clark)

Giovanni Bellini, il capostipite della pittura veneziana del Rinascimento, ha raffigurato la Preghiera nell’orto di Gesù che si conserva presso la Gallery National di Londra. Per il pittore veneto la Preghiera avviene in un paesaggio conosciuto, a lui caro, fra le colline degli Euganei che si ritagliano contro il cielo dell’aurora e la fiumara che attraversa la pianura veneta. La luce che illumina la scena è quella del giorno nascente, ma è soprattutto quella che scaturisce dal Cristo inginocchiato che, stagliandosi contro il cielo, presenta il calice.

Le opere di Giorgio De Chirico il «padre della metafisica, si presentano come enigmi:  sono città vuote dci esseri umani ma abitate da statue, ombre, manichini o maschere, su sfondi vuoti, illuminati da luci che sconfinano nel buio del nulla.

Luigi Filippo Tibertelli, conosciuto come Filippo de Pisis (1896-1956) nella sua natia Ferrara, durante la Grande guerra, conobbe Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, militari di stanza in quella città, e Carlo Carrà, ricoverato nella locale clinica per nevrosi di guerra. Famoso per la velocità di esecuzione dei dipinti, de Pisis fu anche poeta e scrittore, con racconti spesso autobiografici. Leonardo Borgese lo definì sulle colonne del Corriere della Sera, nel 1956, «il nostro più grande pittore della natura e del naturale».


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