LATINA – “I numeri sono crudi, come la morte, e sono più chiari delle parole: nelle notti del sabato sera gli incidenti stradali sono la prima causa di decesso per i giovani fra i 15 e i 24 anni e un morto su tre sulla strada ne ha meno di 30”.

E’ l’appello lanciato da Giovanni Delle Cave, il papà di Eros, Responsabile della sede di Latina dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada APS

È una specie di sacrificio rituale che offriamo al dio del divertimento, al dio della notte, della sfida, dell’eccesso, del rischio. Non sappiamo, non riusciamo, forse non vogliamo sottrarci. Lo accettiamo come ineluttabile. Il giorno dopo, ai funerali, piangiamo lacrime e bruciamo di dolore per quelle vite spezzate così giovani, quando appena si affacciavano, e anche per le altre spezzate insieme a loro. Ma il sabato sera non sappiamo dire: “No, stasera non prendo la macchina” oppure “Stasera non prendo la moto”. Facciamo raccomandazioni preoccupate e rituali, che sappiamo inutili; i ragazzi danno rassicurazioni allegre e sicure, certi che a loro non può capitare. Poi i genitori staranno svegli, col cuore pesante, ad aspettare che girino la chiave nella toppa, e solo allora potranno dormire. Qualcuno però, invece del rumore della chiave sentirà il telefono: “È la famiglia di..? Venga, suo figlio…” È colpa nostra, di noi genitori. È colpa vostra, di voi ragazzi. Prima nostra. Abbiamo paura di tutto: di vedervi infelici, che vi sentiate poveri, che vi manchi qualcosa, che vi sentiate diversi. Abbiamo paura di non vedervi allegri, felici. Perché se non lo siete lo viviamo come un fallimento nostro.

Abbiamo dimenticato che ai genitori tocca indicare la strada con l’esempio e non con le noiosissime prediche. Abbiamo dimenticato che il futuro si prepara nel presente. E che la gioventù non è vero che sia sempre ricoperta d’oro. Può essere lavoro, fatica, rinuncia. Insofferenza, rabbia, voglia di capovolgere tutto. Ma anche attesa, prospettiva, costruzione. Sono le regole della vita, non le abbiamo inventate noi. E le abbiamo dimenticate, per paura. Così siamo diventati dei soggetti insicuri, che si rifugiano dietro la psicologia, la paura della diversità, della solitudine. Di essere out, vecchi. E lasciamo che cresciate seguendo miti che hanno lo spessore di un foglio di televisione: il denaro, il successo, il glamour. E come potete essere glamour se non avete la moto – grossa, si capisce –, la macchina, e se il vostro sabato sera non è da sballo? Ma è anche colpa vostra, ragazzi.

Ci sono delle domande che vorremmo farvi, soprattutto quando distrutti accompagnate i funerali dei vostri amici. Perché il sabato sera dev’essere da sballo, di sballo? Perché dovete uscire di casa a mezzanotte? Perché in discoteca non basta la musica martellante, ma ci vuole anche l’alcool, la polvere, le pasticche? Perché dovete finire la notte o all’alba? Perché uno di voi, a turno, non passa la serata ad acqua minerale e poi guida al ritorno? Ma anche se c’è uno sobrio, perché non pensate che a quell’ora avrà comunque sonno, dato che tutti la notte hanno sonno? Che cosa vi rode nel fondo, ragazzi? Perché avete bisogno di stordirvi? Per non pensare a che cosa? E che cosa volete dimostrare quando nella notte andate a 150, 200 km/h?

Volete vedere cosa c’è dall’altra parte? Volete vedere se riuscite a sfiorare la fiamma, o a passarci in mezzo? O forse è solo fatuità, vuoto? All’alba il giorno nasce, non muore. E così la vita. Che è la vostra. E se non vale niente, se si può mettere a rischio per uno sballo, allora non capiamo le lacrime e il dolore ai funerali“.


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