Lettera alla madre di Pier Paolo Pasolini

335

Lettera alla madre di Pier Paolo Pasolini  (uno stralcio)

 Mamma, è a te che scrivo con tono sommesso e senza rancore. Potrei lasciare libero sfogo all’odio e alla maledizione, ma a che serve? Oggi non serve neppure lo sdegno e il furor.

Eri tu la vera sua patria, il luogo della sua pace, il solo asilo sicuro. Lui così timido, fino al punto di aver paura di ogni cosa, per cui era diventato tanto spavaldo.

Tu che riassestavi per lui e per noi tutta quella nostra terra, e la gente umile di cui si sentiva amico e fratello, e il suo paese è la nostra storia di popolo «passato attraverso la lunga tribolazione».

Tu, che eri per lui la sua vera chiesa, il segno di una fede magari bestemmiata ma mai tradita nel profondo della sua passione.

Tu, che sei stata la sua madre addolorata sotto la croce, immagine di una umanità che ancora, dalle nostre parti e nei paesi più poveri del mondo, continua a piangere su qualche figlio ucciso, su qualche innocente crocifisso.

Mamma, vorrei dirti ora di tornare a casa, di lasciare questa maledetta capitale; di fuggirtene anche a piedi, vestita a nero come sei arrivata, col fazzoletto nero annodato al collo e che ti scende dietro sulle spalle; con la lunga sottana nera, come tutte le donne antiche del nostro Friuli antico, simili appunto a Madonne sul Calvario.

Torna come una pellegrina a ritroso, verso paesi certo più miti e più cristiani. Ritorna, riaccompagnandolo in quella terra che non ha mai potuto dimenticare. Per quello era cosi gentile, appunto perché umile come umile è il suo Friuli.

E tutti lo devono dire che era così buono, fino al tormento, fino a distruggersi con le sue mani. Ed era così bisognoso di amicizia, come appunto è il mio Friuli, così solo. E gridava ai quattro venti le sue contraddizioni e i suoi peccati, come un russo che ha bisogno di martoriarsi: noi abbiamo anche questi sconfinamenti nella nostra natura. E poi chiediamo scusa di esistere…

Era come il minatore in esilio, il carpentiere e il manovale, insonne e ramingo. E tu ora immagina che sia successo appena una disgrazia sul lavoro, quasi fosse caduto da una impalcatura; e tu come madre di un emigrante, ora lo riaccompagni al piccolo cimitero del paese. Così avendo finito il tuo compito di angelo protettore di un figlio tanto fortunato e sfortunato insieme; un figlio divorato dalla stessa vita che tu gli hai dato: una vita rovinata dalla troppa umanità.

Là c’è suo padre, ora in pace nella morte, e c’è l’altro figlio ucciso pure lui per la nostra liberazione, e ci sono gli altri morti; e ci sono gli amici ancora vivi, tutta una gente di cui ti puoi fidare; una gente che non viene a disturbarti, ma che ti è vicina; che patisce con te in silenzio, senza darti nemmeno l’aria di patire. Perché, anzi, ti canterà le villotte della gioia, quella che Pier Paolo aveva cantato e composto, giovanissimo, come sua prima e più viva poesia…

David Maria Turoldo 

 


News-24.it è una testata giornalistica indipendente che non riceve alcun finanziamento pubblico. Se ti piace il nostro lavoro e vuoi aiutarci nella nostra missione puoi offrici un caffè facendo una donazione, te ne saremo estremamente grati.



Articolo precedenteLegge sulla morte volontaria medicalmente assistita; Berti: «La Camera ha ascoltato i cittadini ora approviamola definitivamente»
Articolo successivoImmigrazione clandestina, condanne e multe per 15 milioni a 37 persone