L’italiana Lazio batte la Juventus d’Arabia in nome dei diritti umani

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Ho sempre tifato per le squadre italiane nelle competizioni internazionali. È un vecchio difetto di fabbrica che mi porto dietro da ragazzino: prima l’Italia e gli italiani, un concetto che ho confinato sempre e solo nel calcio, mia vecchia passione che continuo a lasciare nella franchigia delle emozioni inspiegabili.
Da fervente tifoso romanista quando assisto a partite di campionato tra Lazio e Juventus prego ogni divinità per l’imponderabile: rissa tra i giocatori, invasione di campo delle opposte tifoserie e, dulcis in fundo, il giudice sportivo che commina lo 0-3 a entrambe le squadre più una penalizzazione da scontare tramite i servizi sociali. Chiaro che è un’utopia da appassionato del fùtbol (alla sudamericana) che si è nutrito nel tempo di avventure iperboliche e impossibili di narratori latinoamericani. Così mi è capitato di assistere alla finale di SuperCoppa italiana tifando spudoratamente Lazio, poichè gli aquilotti affrontavano una squadra araba. Infatti, non riuscivo a riconoscere i giocatori della Juventus, marchiati con idioma arabo sulla maglia. Torniamo seri per un momento. Ingenui di tutto lo Stivale rilassatevi, non è un modo per far penetrare il calcio -straordinario veicolo di fratellanza- in un Paese che non ha mai sposato questo sport, ma è stato un modo per racimolare fior di quattrini in nome del marketing. E l’intuizione ci sta. Però. C’è un però.
E senza intenti polemici (ehm…), cerchiamo di spiegare anche l’ipocrisia che invade il mondo del pallone italiano. Per la seconda volta consecutiva la Supercoppa italiana si gioca in Arabia Saudita (Juve-Milan si disputò a Gedda a gennaio), nel totale delle tre decise tra Lega di serie A e l’autorità sportiva saudita da disputare nel quinquennio 2018-2023 per 7,5 milioni a edizione. Va sottolineato che i calciatori italiani, la Figc, la Lega, il Coni si battono per i diritti umani e civili, ce lo ricordano giustamente in ogni momento, talvolta anche scadendo nel ridicolo (vedi le polemiche pretestuose per il titolo sul Corriere dello sport ‘Black Friday’ dedicato al match Inter-Roma), si macchiano gli zigomi per sensibilizzarci contro la violenza sulle donne, si pitturano la faccia di nero per contrastare il razzismo, si detergono i lobi delle orecchie di azzurro cobalto per difendere il mare dall’invasione della plastica, poi però si piegano al colore dei petrodollari in nome di un’Arabia Saudita che calpesta i diritti umani a ogni passo. Certo, qualche timida spinta in avanti per il match tra Lazio e Juventus è stato fatto, infatti l’intercessione della Lega di A ha permesso alle donne, che in Arabia non godono totalmente dei diritti civili, di assistere alla finale.
Resta il fatto che uno Stato che macella un intellettuale oppositore non è un Paese che tutela i diritti, ricordando il giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi che venne ucciso e fatto a pezzi nel consolato saudita in Turchia nell’ottobre 2018. Italia unico Paese occidentale progredito ad accettare soldi macchiati di sangue? La Spagna, che spesso fa la morale, sta seguendo la stessa scia: la Supercoppa spagnola accontenterà il regime saudita, così le vincitrici di campionato e coppa nazionale si contenderanno il trofeo nel deserto, match che si estenderà anche in una grottesca finale di consolazione tra la squadra che è arrivata seconda in Liga e quella sconfitta nella finale della Coppa del Re. Del resto, la Spagna non è la prima volta che avalla regimi dittatoriali ferocissimi: nel novembre 2013 le Furie Rosse, sul tetto dell’Europa nel 2008 e nel 2012 nonchè su quello del mondo nel 2010, giocarono una vergognosa amichevole nella Guinea Equatoriale di Teodoro Obiang.


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