Gli affreschi della Cappella degli Scrovegni
Grazie a Giotto il dolore, l’amarezza, la tenerezza, l’affetto, la disperazione, il pianto, il sorriso ritornano nella pittura e non ne usciranno più. Stefano Zuffi
Lo strabiliante ciclo di affreschi, databile dal 1303 al 1305, che ornano a Padova la Cappella degli Scrovegni (o dell’Arena), è considerato l’opera più importante di Giotto perché la forza cromatica, le invenzioni prospettiche e il pathos figurativo danno l’avvio alla pittura “moderna”. Chi entra nella Cappella si trova circondato da una folla di immagini, disposte secondo un ordine programmatico e una chiara intenzione didattica.
A Padova il maestro fiorentino fu chiamato da Enrico Scrovegni per affrescare la cappella che aveva fatto erigere vicino al suo nuovo palazzo allo scopo di espiare i peccati del padre, collocato da Dante nell’Inferno tra gli usurai (canto XVII).
Gli Scrovegni erano una famiglia di mercanti ricca e influente della città veneta ed Enrico era un uomo colto, un personaggio di rilievo che affidò a Giotto l’incarico di dipingere le pareti della piccola cappella con un ciclo di affreschi, il cui rigoroso programma iconografico si riferiva alla dottrina della salvezza attraverso la redenzione.
Giotto decorò l’interno della cappella con le Storie della Vergine nell’ordine superiore, con la Vita di Cristo in quello mediano e in quello inferiore. Il racconto si dipana attraverso 38 scene affrescate su tre fasce sovrapposte lungo le pareti laterali e i pilastri dell’arco trionfale che chiude la navata. Sedici episodi sono sul lato destro, diciotto sul lato sinistro, quattro sull’arco trionfale.
La narrazione procede in modo lineare seguendo la successione cronologica della vita di Cristo, dai suoi antenati fino alla Pentecoste. Lo sviluppo prende avvio dalla figura di Dio Padre al centro dell’arco trionfale, e procede dall’estremità della parte destra verso la facciata, seguendo il senso orario e scendendo dall’alto verso il basso.
Nella parte bassa, nello zoccolo a monocromo, sono decorate le figure allegoriche delle sette Virtù (Prudenza, Fortezza, Temperanza, Giustizia, Fede, Carità e Speranza) e dei sette Vizi (Disperazione, Invidia, Infedeltà o Idolatria, Ingiustizia, Ira, Incostanza e Stoltezza). Grazie alla straordinaria vivezza di queste allegorie, Giotto riesce a rappresentare e a comunicare l’impressione del cammino terreno dell’uomo, costantemente combattuto nella alternativa tra il bene e il male. Entro finte edicole, nell’arco trionfale sono rappresentati l’Angelo e la Vergine Annunziata.
Il ciclo narrativo si conclude con un grandioso Giudizio universale che occupa interamente la parte interna della facciata e in cui è rappresentato Enrico Scrovegni nell’atto di donare il modellino della cappella alla Madonna. Nella controfacciata e, sulla volta a botte della navatella che simula un cielo stellato, sono dipinti entro medaglioni un Cristo benedicente, la Vergine e i Profeti.
L’effetto pittorico della cappella è straordinario perché, nonostante la ricchezza e la varietà degli argomenti illustrati, i visitatori, sempre numerosi e attenti, hanno l’impressione di una decorazione unitaria e continua, alla quale contribuisce il perfetto coordinamento delle composizioni e dei colori.
In questa meravigliosa opera pittorica Giotto ha utilizzato una vastissima gamma di tinte: verdi trasparenti, viola teneri, gialli smaglianti, rosa luminosi, bianchi abbaglianti che si alternano nelle figure dei personaggi, nei paesaggi e nell’architettura.
La compattezza della decorazione dell’intera cappella, dove ogni evento appare come un tessera di una grande tessitura, lascia ipotizzare che un’accurata progettazione abbia preceduto l’esecuzione dell’opera e che Giotto sia non solo un abile artigiano medievale, ma un vero artista geniale degno di una grande considerazione universale.
Questi affreschi, che costituiscono uno dei vertici della produzione giottesca, sono il frutto della maturità artistica del pittore fiorentino perché vi è una compostezza e una maggiore distensione delle forme rispetto ad Assisi perché il tono del racconto si è fatto più grave e pacato e le figure sono più naturali in quanto hanno una maggiore eloquenza nei gesti e una più intensa relazione affettiva, mentre le composizioni sono più compatte, meglio organizzate. In questa opera vi è anche una diversa concezione della luce intimamente fusa col colore e il paesaggio, rispetto ai dipinti di Assisi, è più sobrio ed essenziale in perfetta rispondenza col ritmo narrativo del racconto.
Grazie all’integrità dell’intera decorazione pittorica è possibile ammirare in tutta la sua straordinaria importanza e poesia la profonda rivoluzione stilistica operata da Giotto che nella Cappella degli Scrovegni comunica la più chiara espressione dell’esaltante conquista culturale realizzata all’inizio del XIV secolo: la consapevolezza della presenza attiva dell’uomo nella storia e nel mondo.
Con il suo stile innovativo Giotto raggiunge una profonda svolta nelle arti figurative: con lui si ha non più l’immagine simbolica, quasi astratta del divino, ma scene, personaggi, scenari concreti dell’esperienza quotidiana.
Giotto rimane strettamente legato alla realtà: rappresenta personaggi veri che manifestano sentimenti, che si muovono in spazi fisici tridimensionali e che interagiscono tra loro. In questa rivalutazione della realtà umana è possibile scorgere la grandezza artistica del maestro che con le sue intuizioni, insieme a Leonardo, Michelangelo e Raffaello, ha rivoluzionato la storia dell’arte figurativa.
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