SI chiama Francesco Stilo, originario di Catanzaro, domiciliato a Vibo iscritto all’albo dell’ordine forense di Latina dal 2003. Un particolare emerso solo grazie ad alcuni passaggi delle intercettazioni contenute nell’ordinanza di custodia cautelare.

Stilo è accusato di concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso «per avere concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta – operante sul territorio della provincia di Vibo Valentia, e su altre zone del territorio calabrese, nazionale ed estero, associazione che si avvale della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva». Come scrive nella pagina  di Latina il Messaggero, a firma di Vittorio Buongiorno,il boss gli fa nominare un avvocato iscritto all’ordine di Latina.

Il boss usa solo contatti attraverso terzi, parla con l’avvocato solo tramite altri detenuti («Ricordati di chiamare Stilo e dirgli di venire qua»). «Devo raccontarvi la storia di Stilo?» dice il boss intercettato in carcere a due compagni di cella. «Ma la sorella – gli chiede uno – a Catanzaro ha lo studio?». E il boss: «Ti sto dicendo che sono “Latina”». A quanto sembra ci erano arrivati, per sfuggire a delle ritorsioni, sotto protezione.

L’avvocato Stilo, pochi giorni fa, era comparso sulle cronache poiché assiste, insieme alla sorella Paola, Giuseppe Zinnà, ovvero l’uomo che nelle scorse settimane è stato fermato dai finanzieri al varco doganale di Ponte Chiasso, con un trentottenne iraniano, mentre cercavano di passare in Svizzera con un assegno di 100 milioni di euro emesso a ottobre dal Credit Suisse di Ginevra.

Eppure a Latina pochi se lo ricordano e nessuno sa spiegarsi perché sia ancora iscritto all’albo pontino. Secondo il boss calabrese era un mago, uno che era riuscito a sistemargli le cose in Cassazione. Di certo per gli inquirenti «consentiva» alle cosche «di eludere le investigazioni delle autorità, acquisire notizie riservate, mettendo a disposizione informazioni relative ad indagini in corso, ottenute attraverso appoggi e contatti presso soggetti istituzionali». Era in grado anche di fornire «informazioni su dichiarazioni di collaboratori o altri dichiaranti coperte da segreto istruttorio», ma anche «creando un vero e proprio “ponte” tra l’articolazione dell’organizzazione formatasi all’interno della Casa Circondariale di Vibo Valentia – capeggiata da Accorinti Giuseppe Antonio – e gli associati in libertà».Latina, dunque, ancora una volta, crocevia di tanti traffici, di tanti misteri.

(Fonte il Messaggero)


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