“I giganti della montagna” è l’ultima commedia di Pirandello, rimasta incompiuta (ultimo atto) per la sua morte,a mio avviso, uno dei testi teatrali più alti,poetici e complessi -una grande metafora del male di vivere- del teatro di tutti i tempi. Strehler ne fece un allestimento memorabile,ripreso più volte negli anni, con un finale incredibile,geniale: l’aggressione dei Giganti all’arte del teatro,alla cultura in genere, con l’uccisione metaforica della Poesia-Arte (la contessa Ilse) e lo sfracellamento della “carretta” dei comici (la compagnia di attori guidati dalla contessa) simbolo o emblema del teatro.Quando lo spettacolo approdò a Roma, nel 1996-97, in pieno e conclamato clima berlusconiano, la metafora era chiaramente percepibile. Il recente allestimento curato-diretto da Gabriele Lavia (Teatro Eliseo) ripropone questo testo magistrale,in verità, depauperato della magia e poesia del testo (e del Maestro: ricordo Lavia giovanissimo come Calibano,seminudo, nella stupenda “Tempesta” di S&S !) ma non è questione di raffronti o modelli,spesso inutili e vani,ma di lettura del testo,appunto.Purtroppo, Lavia ha dissipato alcune battute nevralgiche rendendole esangui, cioè togliendo ad esse l’intensità poetica,misteriosa e “filosofica”,battute che richiedono il “silenzio” la profondità del respiro interiore perché siano percepite e colte in toto dal pubblico. Lavia invece, si muoveva o agitava continuamente pronunciandole, come le frasi di un discorso comune,quotidiano. Il suo Cotrone -il mago Cotrone, creatore e evocatore di fantasmi- non è un “filosofo” esoterico e incantatore,piuttosto, si configura come un capocomico, quello di “Questa sera si recita a soggetto” che è tutt’altra cosa, benché cosa pirandelliana. Così pure gli Scalognati, creature fantasmatiche della Villa della Scalogna,nel suo spettacolo appaiono più simili ai dei saltimbanchi circensi, a un’allegra brigata da luna park, caciarona e ridanciana. Tant’è, così è se vi pare, avrà pensato Lavia! Niente magia,molta allegria! La contessa Ilse troppo urlante nei suoi spasmi isterici,attorialmente scontata e inefficace. Un vero piacere,invece, è stato vedere il nostro Clemente Pernarella nel ruolo del Conte, marito della contessa, “cornuto e mazziato”, reso efficacemente nel suo essere tra lo smarrito,il “deficiente” e il finto tonto; una dignitosissima prova d’attore. Complessivamente,comunque,lo spettacolo regge,Lavia,ovviamente, risalta come attore di sicuro mestiere; belle alcune soluzioni sceniche di non banale effetto, tra le quali i fantocci (“l’ arsenale delle apparizioni”), bravissimi gli attori snodati e “smontabili”, fino all’inverosimile! Bello e significativo il finale restituito a dovere, assolutamente silenzioso e immobile, con un sommesso,soffocato urlo (della contessa) all’arrivo dei Giganti: “Io ho paura” (l’ultima battuta del testo,pronunciata da Pirandello in punto di morte). Non saprei se Lavia abbia voluto caricarla di un significato terribilmente attuale, personalmente, l’ho percepita con l’angoscia e la paura che molti di noi,oggi, avvertono di fronte all’aggressione degli attuali, rozzi e incompetenti Giganti della montagna. (gmaul)


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