Jacopo Carucci detto il Pontormo (Pontorme, Empoli 1494 – Firenze 1556) fu un pittore italiano. La sua prima formazione la ottenne nelle botteghe di Leonardo, Piero di Cosimo, M. Albertinelli; poi (1512 ca.) sotto Andrea del Sarto, dove era pure il giovane Rosso Fiorentino.

Fin dal 1513-14 si rese indipendente, dipingendo l’Arme di Leone X sul portico della Santissima Annunziata (ora agli Uffizi). Tranne forse due viaggi a Roma, con lo scopo sopratutto di studiare i capolavori del Buonarroti, il Pontormo non lasciò mai Firenze, dove godette della protezione dei Medici. Vasari, che ne scrisse una penetrante biografia, ce lo presenta come un artista tormentato e come individuo palesemente nevrotico, di temperamento scontroso, fino a rasentare, secondo le testimonianze, la misantropia, che viveva sempre solo in una strana casa.

Una prima fase del Pontormo è sostanzialmente sulle orme o in rivalità con Andrea del Sarto, il cui misurato e umanizzato classicismo egli interpreta invece con più inquieta, sottile e sofistica sensibilità. Così nelle pitture per il Carro della Zecca (1514), nella Scena dell’Ospedale di San Matteo (Firenze, Gall. Dell’Acc.), nell’affresco di San Ruffillo (Firenze, Santissima Annunziata), la grafia del Pontormo appare più dimessa, ma anche più nervosa di quella di Andrea del Sarto; mentre nella Veronica della cappella papale nel convento di Santa Maria Novella (1515) e nella Visitazione (1516) alla Santissima Annunziata, egli attinge al Buonarroti un più vibrata monumentalità.

Nel 1518, con la Pala Pucci in San Michele Visdomini, lo stile del P. è ormai giunto a una svolta decisiva: lo spazio si serra, ormai incombente verso il primo piano le figure, invece che in profondità, si scalano in altezza; la tensione all’interno del dipinto è continua, in un’attrazione e repulsione al tempo stesso degli elementi, in un continuo diramarsi e riannodarsi delle linee compositive; psicologicamente, certi sorrisi giungono al limite del ghigno.

Gli anni Venti del secolo segnano la stagione più felice del Pontormo, pur in un seguito di avventure stilistiche perigliose. La lunetta con Vertunno e Pomona (1521) nella Villa Medici di Poggio a Caiano schiva ogni retorica classicistica per captare invece il senso della vita agreste, della umile grazia contadina, stringendolo entro un formalismo “arcadico” inedito, acuto e calcolato ma comunque felicissimo.

Poco dopo, ritiratosi per paura della peste alla Certose del Galluzzo (1523 – 25), il Pontormo vi eseguì quelle Storie della Passione, tutte ispirate a incisioni di Durer, che per il loro violento nordicismo apparvero quasi provocatorie; mentre nella Cena in Emmaus (oggi a Firenze, Uffizi) sopravviene una capacità di realismo diretto, ma nello stesso tempo di senso mistico, che sembra percorrere il Greco, Caravaggio e Zurbaràn.

Dopo il 1520, il Pontormo si volse ad una temeraria emulazione di Michelangelo, in forme via via sempre più involute: così in affreschi perduti delle ville di Careggi e di Castello, e in quelli nel coro di San Lorenzo, portatori di un inquieto passaggio religioso venato di fermenti ereticali (tra l’altro con tetre scene di cadaveri ammucchiati), che il Vasari trovava malinconicissimi e che andarono distrutti nel 1738.

Restano invece, sempre convincenti, alcuni ritratti tra cui una Dama col cagnolino (Francoforte, Stadelsches Kunstinst.) che condivide la preziosità aristocratica dell’allievo Bronzino.

Il Pontormo resta la figura più emblematica del tanto discusso manierismo e della sofferta tensione critica, stilistica, spirituale con cui esso, sconvolgendo il sistema classicistico, conferì una nuova spinta dinamica agli sviluppi dell’arte italiana. In questo artista, l’innesto di elementi formali michelangioleschi e dureriani sul linguaggio classico desunto da M. Albertinelli e Andrea del Sarto, forza la regola rinascimentale portandola al punto di rottura.

Guglielmo Guidi (Ricercatore e storico d’arte)


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