In omaggio ad Annibale Folchi

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Oggi presso l’Archivio di Stato di Latina con una partecipata presenza di amici, familiari e studenti è stata intitolata la Sala Studio dell’Archivio ad Annibale Folchi. Dai vari relatori sono stati messi in risalto aspetti umani, culturali e professionali dell’autorevole studioso che con, competenza storico-letteraria ha ricostruito importanti pagine sulla storia del territorio pontino e della città di Latina. Per la circostanza e per ricordare l’indimenticabile amico e “maestro” pubblichiamo una delle interviste generosamente rilasciata qualche anno fa.

INTERVISTA ad Annibale Folchi

Nelle tua opera Agro pontino Nelle corti dell’Onc, che significato ha la parola Corti?

 La Corte era lo spazio  cintato attiguo  della casa colonica dal quale si accedeva  alla stalla: uno spazio riservato che si affacciava sulla campagna,  funzionale alla vita, al lavoro e all’economia della famiglia colonica. Questo spazio, le Corti, appunto, l’ho assunto come il luogo dell’esistenza delle famiglie insediate dall’Opera nazionale combattenti nei poderi durante la colonizzazione dell’Agro pontino.

Ora le Corti, come i cortili condominiali, non esistono più, essendo state inglobate nei capannoni, oppure trasformate in aree di parcheggio. Del resto, anche le case coloniche sono scomparse.

Questo libro come e dove si colloca nella tua vasta produzione storico-letteraria? Che posto occupa questa opera nel racconto della terra pontina, iniziato nel lontano, ormai, anno 1988?

Nella cronologia della mia ricerca Agro pontino Nelle corti dell’Onc, è il decimo libro. Ma la sua  particolarità, credo, sia quella di essere l’ultimo perché ho messo i remi in barca.

La recente storia del territorio pontino può essere sintetizzata nelle fasi della bonifica idraulica, della trasformazione agraria e dell’appoderamento?

Direi di no, anche se quei tre momenti restano fondamentali nella storia del territorio pontino e andrebbero ulteriormente analizzati nelle loro progettualità ed esecuzione, smettendo di considerarli solo ed unicamente come l’Opera somma del regime fascista. Secondo me, solo la bonifica idraulica conserva la sua permanente attualità perché attiene alla natura del territorio e alla sua fragilità geologica. Gli altri due momenti, la trasformazione agraria e l’appoderamento, altrettanto importanti, ormai hanno esaurito la loro funzione.

Piuttosto la storia recente andrebbe caratterizzata su altri momenti,  esperienze ed esigenze collettive che riguardano la società civile e il suo sviluppo, la conservazione e l’uso del territorio, in ragione della sua natura e vocazione, l’organizzazione civile e le rappresentanze politiche.

Quali sono state le principali fonti utilizzate per questo tuo lavoro?

Le fonti? L’ho dichiarato. Sono quelle dei fascicoli del tribunale e della pretura penale riguardanti un campione assai rappresentativo dei coloni che, loro malgrado, a torto o a ragione, furono costretti a comparire davanti al giudice, talvolta per accusare, più spesso per difendersi. Quali i risultati del libro? francamente non lo so, mi rimetto al giudizio dei lettori. Posso dire però che la mia partecipazione emotiva, nella rappresentazione delle vicende vissute e sofferte Nelle corti dell’Onc, è stata intensa, avendo io trascorso l’infanzia in un ambiente contadino nel quale gli uomini, pur parlando una lingua diversa dai coloni pontini, mostravano gli stessi segni della fatica e del vivere quotidiano, coltivavano le stesse speranze.

Quali difficoltà hai incontrato nel ricostruire la vita quotidiana dei coloni nell’Agro pontino?

La maggiore difficoltà mi è venuta dal Comune di Latina che, in passato, mi ha negato l’accesso alle carte dell’anagrafe di Littoria, relativamente agli anni 1932-1941 (inizio della migrazione dei coloni e  assegnazione dei poderi). Desideravo conoscere la provenienza, la consistenza delle singole famiglie, la professionalità delle unità adulte, i rientri nei paesi d’origine, le integrazioni familiari, i matrimoni, le nascite, i decessi, ecc. Quello che più mi rammarica è che  probabilmente  nessun’altro potrà accedervi perché di quelle carte si sarebbe persa ogni traccia e persino la Sovrintendenza regionale agli archivi fatica a venirne a capo.

Per il resto, le comuni difficoltà della ricerca che è come esplorare un territorio sconosciuto.

Come era organizzata la vita di tante famiglie di coloni, dei Contadini del duce nelle terre redente della bonifica?

Dal punto di vista produttivistico, nel rapporto con l’Onc, in modo burocratico e centralizzato. Sicuramente anomalo e ambiguo perché i coloni formalmente erano dei mezzadri, ossia soci nella conduzione dei poderi, ma, di fatto, erano dei braccianti  in tutto dipendenti dall’Onc che li sosteneva con anticipazioni e sussidi, imponeva loro l’indirizzo agronomico, li sottoponeva a controlli e verifiche, talvolta vessatori.

Il controllo dell’Onc sulla vita privata della famiglia colonica, invece era costante, discreto e tollerante, a patto che non interferisse e pregiudicasse il rapporto mezzadrile. Le condizioni di vita erano difficili per la povertà delle risorse e l’isolamento derivante dall’appoderamento a case sparse. Per essere i coloni degli immigrati

Quali furono i rapporti intessuti dai coloni con le città nuove dell’Agro pontino?

La promessa che le città nuove sarebbero state al servizio della bonifica, almeno per i coloni, si rivelò falsa. Littoria non attrasse ma respinse i coloni con una serie di divieti di transito e sosta ai loro mezzi di trasporto che erano le biciclette, i carri a trazione animale e il cavallo, per chi se lo poteva permettere. Fu scoraggiata la vendita porta a porta del latte e della frutta e verdura. A spingere i coloni in città spesso era la necessità di andare dal federale per una raccomandazione o la partecipazione alle parate ufficiali. Poi la sorpresa che la città, crescendo, divorava i poderi. Altro che ruralizzazione, programmazione territoriale e urbanistica

Che significato, nell’economia generale della tua opera, assumono le illustrazioni allegate?

Quello di offrire immagini, segni e colori coevi alle storie narrate. Rappresentare la vita ordinaria della società del tempo, preferibilmente con le immagini della quotidianità che non interessarono i fotografi ufficiali e i cineoperatori del tempo

Ancora una volta hai dimostrato di essere un vero  cantore  dei protagonisti della terra pontina, degli emigranti, dei coloni, docili e pazienti, degli ultimi della società del fascio littorio.

Cantore, no. Assolutamente. Qualche accenno di partecipazione commossa alla vicenda dei coloni, se e quando affiora, deriva dal fatto che io, in questa città, sono un emigrante tra emigranti, ho conosciuto molti coloni della prima leva e di loro conservo un ricordo amichevole e riconoscente per essere stati essi i nostri veri progenitori.

Ennio Di Rosa, un indimenticabile amico comune, scrisse nel lontano 1994, nella prefazione del tuo libro (Agro pontino 1900): Non spetta allo storico condannare o assolvere, decantare o denigrare: a lui spetta conoscere la verità, seguendo regole scientifiche. Per te è condivisibile questa affermazione?

Altroché! Io devo molto ad Ennio Di Rosa. E posso testimoniare in coscienza che era un uomo di valore. Non dispero che un giorno i cultori del fatuo e del caduco, che sono molti, se ne accorgeranno.

 

 

 

 


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