La struttura della prima Cantica: L’inferno

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La struttura della prima Cantica: l’Inferno

Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate.

Inferno, Canto III v. 9 

         La Divina Commedia è essenzialmente il racconto di un lungo viaggio attraverso l’oltretomba (dall’Inferno al Paradiso, attraverso il Purgatorio) con il fine di purificare il viandante stesso e l’intera umanità. Nel Dante pellegrino nei diversi luoghi, attraverso un processo graduale di purificazione dal peccato e di ascesa a Dio, si può vedere ogni uomo che, caduto nel peccato, con l’ausilio della ragione e della fede, si redime e si rende degno del Cielo.

         L’Inferno è il regno della dannazione, che si estende verso il centro della terra, sotto Gerusalemme. È concepito in 9 cerchi concentrici che vanno restringendosi dall’alto in basso, a forma di imbuto, e in essi i dannati sono distribuiti in modo che le pene, in rapporto alle colpe, sono tanto più gravi quanto più si scende.

La struttura morale dell’Inferno consiste in una triplice ripartizione dei peccati, per incontinenza, violenza o matta bestialità, malizia. Il primo genere di peccati è meno grave perché include le colpe commesse per il soggiogare della passione sulla ragione; il secondo e il terzo sono più  gravi per l’intervento nel peccato della volontà e della ragione. Le anime degli incontinenti sono puniti nel 2°, 3°, 4° e 5° cerchio dell’Inferno; i violenti nel 7° e i peccatori di malizia nell’8° e nel 9°.  Fanno parte a sé il 6° cerchio e il 1° che è il Limbo.

         L’Inferno è luogo di peccati e di malvagità, il mondo senza luce, dove chi entra lascia ogni speranza (come riportato nell’esergo). Sulla porta dell’Antinferno stanno scritte delle parole di eterna condanna. In questo luogo Dante e Virgilio incontrano gli ignavi che sono costretti a correre dietro un’insegna stimolati da mosconi e da vespe. Per queste anime Dante mostra un profondo disprezzo, poiché durante la loro vita terrena non hanno fatto né bene né male e non hanno lasciato di sé alcun ricordo nel mondo. Assieme a loro sono anche gli angeli che non furono né fedeli né ribelli a Dio. Dante non nomina nessuno dicendo solo di aver riconosciuto l’ombra di Celestino V, di colui che «fece per viltade il gran rifiuto».

         Nel primo cerchio si trova il Limbo dove stanno le anime di quelle persone che non peccarono, ma morirono o non battezzati o senza fede in Cristo, come i bambini morti prima di ricevere il battesimo, maomettani, famosi per le loro azioni e per la loro scienza, eroi e sapienti dell’antichità pagana. Nella zona centrale di questo cerchio s’innalza un nobile castello luminoso riservato agli spiriti magni che manifestarono nella loro vita terrena spiccate virtù morali e intellettuali.

         Nel secondo cerchio, alla cui entrata i due poeti incontrano Minosse che giudica le anime, si trovano i lussuriosi travolti da una bufera incessante che rappresenta la passione dei sensi che li travolse da vivi. In questo luogo Dante incontra Paolo e Francesca da Polenta e si fece narrare come avvenne che i due amanti si rivelarono a vicenda la loro passione.

         Nel terzo cerchio (canto VI) Dante e Virgilio incontrano i golosi a guardia dei quali c’è il demonio Cerbero che latra come un cane con tre gole, simbolo della voracità insaziabile. I golosi giacciono bocconi a terra, sotto una pioggia di grandine, acqua tinta e neve, condannati a una pena ripugnabile in contrasto, e anche in analogia, con la natura del peccato. Tra queste ombre dannate, Dante incontra il fiorentino Ciacco da cui ascolta le conseguenze delle discordie cittadine tra le fazioni dei Bianchi e dei Neri, questi ultimi favoriti dal pontefice Bonifacio VIII

         Nel quarto cerchio (canto VII) si trovano gli avari e i prodighi a guardia dei quali sta Pluto, il mitologico dio delle ricchezze, che accoglie Dante con oscure parole d’ira e di minaccia. I dannati di questo cerchio sono costretti a volgere per forza di petto grandi massi, e divisi in due schiere, percorrono in senso opposto i due semicerchi: quando si incontrano si rinfacciano a vicenda la loro colpa. Sono in gran parte gente di chiesa e di essi Dante non riconosce nessuno.

         Nel quinto cerchio (canto VIII), costituito dalla Palude Stige, s’incontrano immersi nel fango gli iracondi, più su, che si sbranano, e più sotto gli accidiosi, coloro che furono tenuti in vita dall’accidia, intesa come di «tedio e smoderata amarezza di animo».  In questo luogo Dante incontra Filippo Argenti.

         Nel sesto cerchio i due poeti, entrati nella città di Dite, trovano gli eresiarchi, gli eretici e gli epicurei che non credettero nell’immortalità dell’anima. Mentre Dante parla con Virgilio (canto X) una delle anime lo riconosce per fiorentino e lo invita a fermarsi. Il poeta si sgomenta al suono di questa voce improvvisa e, bruscamente esortato da Virgilio, si volge e vede ritta dentro un’arca, dalla cintola in su, l’ombra di Farinata degli Uberti, uno dei più fieri Ghibellini di Toscana.

         Nel settimo cerchio (canto XII) Dante incontra i violenti diviso in tre gironi. Il primo è costituito da Flegetonte, fiume di sangue bollente, nel quale sono immersi i violenti contro la vita e le sostanze del prossimo. Stanno a guardia di questi dannati il Minotauro e i Centauri che li saettano quando tentano di uscir fuori dal sangue più di quanto sia loro concesso. Nel secondo girone (canto XIII) ci sono i violenti contro se stessi e i propri averi. Qui si trovano coloro che si sono suicidati.

Queste anime non conservano aspetto umano, ma stanno rinchiuse entro i tronchi degli alberi. Qui Dante incontra Pier della Vigna, cancelliere di Federico II. Nel terzo girone (canto XIV) si trovano i violenti contro Dio, puniti in una landa arenosa sulla quale piovono dilatate falde di fuoco. Tra i violenti contro natura viene incontro ai due poeti una schiera di anime (canto XV) in una delle quali c’è il suo maestro Brunetto Latini . In questo cerchio Dante incontra (canto XVI) altri onorevoli fiorentini (Jacopo Rusticucci, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi) con i quali parla delle tristi condizioni della sua città infelice.

         Nell’ottavo cerchio, detto Malebolge diviso in dieci bolge o valli circolari concentriche sormontate da ponti che ne uniscono gli argini, permettendo così ai poeti di passare dall’una all’altra bolgia  (canto XVIII), si trovano i fraudolenti custoditi dal mostro Gerione, simbolo della frode. Nelle bolge s’incontrano i seduttori di donne, gli adulatori immersi nello sterco, i simoniaci che hanno fatto commercio delle cose sacre e sono confitti capovolti in piccoli pozzi, con le piante dei piedi accese di viva fiamma.    In questo luogo Dante parla con l’anima di papa Niccolò III Orsini, il quale dice che egli cascherà più in basso, quando il suo posto sarà occupato da Bonifacio VIII (1303). La vista di questi peccatori ispira al poeta una fiera invettiva contro l’avarizia dei pontefici e la donazione di Costantino.

         Successivamente  incontra, nella quarta bolgia,  gli indovini  (canto XX) costretti a camminare lentamente, col viso stravolto verso la parte posteriore del corpo, e poi nella quinta bolgia i barattieri (canto XXI) immersi nella pece bollente, perché colpevoli di essersi valsi delle cariche pubbliche a loro privato vantaggio. Nella sesta bolgia si trovano gli ipocriti (canto XXIII)  che camminano lentamente sotto il peso di cappe di piombo. Nella settima bolgia (canto XXIV) i due poeti assistono alle punizioni dei ladri, tra cui il pistoiese Vanni Fucci che predice a Dante la sconfitta dei Bianchi.

Nella ottava bolgia (canto XXVI) stanno rinchiusi entro lingue di fuoco i consiglieri fraudolenti, tra i quali avvolti entro la stessa fiamma a due punte avanzano gli antichi eroi omerici: Ulisse e Diomede. Nella nona bolgia (canto XXVIII), feriti e straziati dalla spada di un demonio, stanno i seminatori di discordie, di scandali e di scismi, tra cui Maometto e altre anime. Nella decima bolgia (canto XXIX) stanno, afflitti da varie ripugnanti malattie, i falsari di metalli, di persone, di moneta e di parola.

Alla fine delle Malebolge, Dante incontra i vari traditori dei parenti, della patria, degli ospiti e dei benefattori. I dannati di questo cerchio sono confitti nel ghiaccio prodotto dal raggelarsi del fiume invernale per il vento freddo causato dalle ali di Lucifero. I personaggi più noti incontrati, e narrati con ineguagliabile potenza di sintesi drammatica, sono il Conte Ugolino della Gherardesca, con i suoi figli e nipoti, e l’arcivescovo Ruggieri.                                                                                                    I due poeti alla fine si trovano nell’emisfero australe e attraverso un cammino buio e malagevole, risalendo il corso di un ruscelletto, attraverso un pertugio riescono «a riveder le stelle».


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