L’arte del Quattrocento: Beato Angelico

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Beato Angelico: Vita e opere

La sua patria e il suo ordine piangono la morte di un eccellente pittore che non aveva eguali nella sua arte.

Secondo le notizie riportate da Giorgio Vasari, fra’ Giovanni da Fiesole, noto come Beato Angelico (appellativo coniato dall’umanista Cristoforo Landino), si formò come miniatore nella cerchia del maestro Lorenzo Monaco. Un documento del 1417 attesta che era considerato un pittore e all’epoca era ancora un laico. Infatti entrò nella comunità dei domenicani a Fiesole qualche anno più tardi.

Fu un pittore religioso ma soprattutto un maestro intelligente e colto, attento alle grandi novità prodotte dall’arte fiorentina in quegli anni. Nelle sue prime opere pittoriche Madonna col bambino e quattro santi (tempera su tavola cuspidata, Museo Hermitage, San Pietroburgo,), Trittico di san Pietro martire, (Museo di san Marco a Firenze), Madonna del bambino e dodici angeli, (Städelsches Kunstinst a Francoforte), Pala di San Domenico. Madonna con il Bambino in trono fra otto angeli (Tempera su tavola, Fiesole San Domenico), che si collocano ancora nella corrente gotica e in particolare di Lorenzo Monaco e di Gentile da Fabriano, il giovane pittore toscano, ricco di talento e di inventiva, mostra di aver perfettamente assimilato il nuovo linguaggio figurativo formatosi a Firenze sugli esempi di Brunelleschi e di Masaccio; linguaggio che seppe conciliare con la sua raffinata sensibilità cromatica.

Le figure in queste opere assumono una maggior consistenza corporea ed un ordinamento spaziale basato sulla prospettiva di Masaccio. Secondo Giorgio Vasari le figure di Beato Angelico suscitarono le parole d’ammirazione: «Tanto belle che paiono veramente di paradiso».

Beato Angelico (Vicchio del Mugello 1400 ca – Roma 1455), dal 1438-1446, aiutato da una schiera di collaboratori, decorò a Firenze  con affreschi le celle, i corridoi, la sala capitolare e il primo chiostro del convento di San Marco. Le opere, il Crocifisso adorato da san Domenico, nel chiostro di sant’Antonino, la Crocifissione nella sala capitolare, l’Annunciazione, cella 3 del dormitorio, Noli me tangere (Museo nazionale del Prado, Madrid), la Trasfigurazione, il Cristo schernito, la Presentazione al Tempio (nella cella del braccio dell’est), erano destinate a favorire la meditazione e il raccoglimento dei confratelli.

L’Annunciazione è una delle più poetiche creazioni del ciclo di San Marco e dimostra l’adesione di fra’ Angelico alle conquiste della  prospettiva e ai modelli della nuova architettura; infatti l’angelo dà l’annuncio a Maria in un portico ad archi che scandisce lo spazio in profondità e inquadra l’evento. Nell’opera è possibile osservare come l’Angelico abbia compiuto una sintesi tra due culture figurative: quella tardo-gotica, nei ritmi eleganti delle figure  e nella dolcezza delle fisionomie, e quella moderna nell’architettura rigorosamente proporzionata e nella volumetria dei corpi.

In questa opera il linguaggio di fra’ Angelico abbandonò ogni particolare descrittivo e naturalistico e raggiunse l’estrema semplificazione delle forme descritta dai mistici come l’introduzione allo stato contemplativo. Le pitture del ciclo di San Marco, infatti, sono caratterizzate da un maggior rigore formale, da mistica austerità e da una viva commozione religiosa.

Nel quarto decennio del Quattrocento Beato Angelico era considerato il maggior pittore di Firenze per una serie di tavole di grande importanza e prestigio come il Tabernacolo dei Linaioli (1433), commissionato dalla potente corporazione fiorentina, in cui l’influsso di Masaccio si affievolisce, l’Incoronazione di Maria (Parigi, Louvre) e la grandiosa Pala di san Marco.

Altre opere furono le fastose Incoronazioni della Vergine (Louvre e Museo di San Marco), la Madonna in trono con angeli e santi, il Trittico di san Domenico (Cortona, Museo Diocesano), il Polittico di Perugia (Galleria Nazionale dell’Umbria), dove risaltano soprattutto la purezza delle forme, l’incanto del colore e la luminosità: caratteristiche dell’arte matura dell’Angelico.

Nella Deposizione di Santa Trinità e nella Pietà (Museo di San Marco) l’ambientazione paesistica e la luce diffusa rappresentano un precedente fondamentale per le ricerche di Piero della Francesca e di Domenico Veneziano, e per il nuovo sentimento dello spazio definito dalla luce chiara e trasparente.

Verso la fine del 1446 Beato Angelico si trasferì a Roma dove, per il pontefice Niccolò V, affrescò in Vaticano scene della vita dei Santi Stefano e Lorenzo. In questo ultimo capolavoro, nel quale si avvalse della collaborazione di Benozzo Gozzoli, il racconto, con tono più solenne, raggiungeva una serena epicità nel calmo svolgersi dell’azione entro quinte architettoniche classicheggianti su monumentali sfondi.

Gli affreschi della Cappella Nicolina testimoniano il nuovo interesse dell’artista per le strutture architettoniche e una più sicura padronanza del chiaroscuro, delle regole prospettiche e della composizione spaziale.

L’anno successivo si allontanò da Roma per recarsi a Orvieto, dove nella cattedrale decorò la volta della Cappella di San Brizio. Nel 1449, tornato a Fiesole, venne eletto priore del convento di san Domenico e insieme ad altri artisti dipinse gli sportelli per l’Armadio degli argenti della chiesa della Santissima Annunziata (ora nel Museo di San Marco). Le ultime opere su tavola, sono la Madonna del giglio (Amsterdam, Rijksmus) e il Giudizio finale (Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica), un’opera singolare per l’incontro tra la ricerca di concretezza spaziale e la tendenza all’evocazione fantastica.

Nell’affresco l’Elemosina di san Lorenzo (Cappella Niccolina, Roma, Vaticano) fra’ Angelico dimostra la padronanza delle composizioni con molte figure e la capacità di applicare la prospettiva a strutture architettoniche articolate. Dimostra anche la finezza del disegno e l’uso abile del chiaroscuro per dar rilievo ai personaggi. Nella scena, per nulla tragica, anche se storpi e poveri si assiepano intorno al santo, i corpi colorati si stagliano nella luce chiara che li avvolge.

Nel 1450 per la seconda volta tornò a Roma e, durante il suo soggiorno, venne troncato improvvisamente dalla morte. Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria sopra la Minerva.

Beato Angelico è stato a lungo interpretato come antitesi al Masaccio e alle nuove idee rinascimentali. In realtà in lui convivono due atteggiamenti in apparenza contrastanti perché da una parte aderì fondamentalmente alla cultura prospettica e umanistica e dall’altra manifestò una spiritualità tendente alla trascendenza impegnata ad intendere l’arte con funzione di proselitismo in conformità della dottrina di san Domenico. Per questi motivi Beato Angelico, con l’eleganza delle figure e la dolcezza delle fisionomie,  rifiutò il corposo plasticismo e la razionalità costruttiva di Masaccio e mise in risalto la bellezza ideale di uomini e di cose, immersa in una luce diafana che assume un significato di trascendenza.

Le sue opere nel suo percorso stilistico, caratterizzato dalla dolcezza e gentilezza di forme, dalla luminosità e morbidezza dei colori in delicati accordi di toni, rappresentano un simbolo irripetibile di spiritualità religiosa tradotta in bellezza formale.

Il colore luminoso, il tono contemplativo delle sue scene, la minuta analisi di ogni aspetto del creato non sono per Beato Angelico residui della tradizione gotica, ma i frutti dell’interpretazione, in chiave mistica, di una cultura moderna molto aggiornata. Gli affreschi e le tavole di Beato Angelico rivelano una personalità artistica serena e riflessiva, lontana da una interpretazione drammatica degli eventi.

Per la sua religiosità popolare gli fu attribuita la qualifica di beato e soltanto nel 1984 gli fu riconosciuta ufficialmente dal papa Giovanni Paolo II, che lo proclamò patrono degli artisti.


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