Lo spettro elettromagnetico è l’insieme delle onde emesse dal Sole. Queste onde si propagano nello spazio alla velocità c = 300.000 km/s circa. Sapendo che un’onda elettromagnetica è caratterizzata da due grandezze, la lunghezza d’onda l (lambda) e la frequenza n (ni), risulta che esse sono legate dalla relazione l×n = c e, pertanto, sono inversamente proporzionali essendo c una grandezza costante. Questo vuol dire che tanto più bassa sarà la lunghezza d’onda tanto più alta sarà la sua frequenza,e viceversa. E tanto più alta sarà la frequenza tanto più alta sarà l’energia E corrispondente all’onda: E = h×n = h×c/l, dove h è una costante. Per prassi didattica lo spettro elettromagnetico è stato suddiviso in diverse parti. Una di queste parti è lo spettro visibile che viene percepito dall’occhio umano le cui lunghezze d’onda sono comprese nell’intervallo 700 – 400 nm (1 nm, simbolo del nanometro, è pari a 10-9 m, cioè un milionesimo di millimetro). Al di sopra di 700 nm si hanno le radiazioni infrarosse IR (1 mm – 100 nm), poi le microonde (10 cm – 1 nm) e quindi le onde radio (10 km – 10 cm). Al di sotto di 400 nm, invece, si hanno le radiazioni ultraviolette UV (400 – 10 nm), i raggi Roentgen o X (10 nm – 1 pm) e i raggi g (gamma). Le radiazioni UV sono divise in tre zone: UV-A (320-400 nm), UV-B (280-320 nm) e UV-C (100-280 nm). Ognuna di queste zone ha diversi effetti biologici: le radiazioni della zona UV-C, avendo tra tutte l’energia più elevata perché hanno la frequenza più elevata, risultano potenzialmente più pericolose. Tuttavia, l’ozono atmosferico O3 e l’ossigeno O2 assorbono totalmente le radiazioni UV-C e parzialmente quelle UV-B, ma non quelle UV-A. Una lunga esposizione ai raggi solari, come può avvenire in estate al mare senza protezione, per la presenza di queste radiazioni UV-A, può causare malattie della pelle, come eritemi o tumori. Un gruppo di ricerca della Columbia University Medical Center, diretto dal prof. David Benner, ha scoperto che dosi a bassa energia di radiazioni ultraviolette UV-C, in un campo ristretto di lunghezze d’onda (intorno a l = 222 nm), rendono inattive particelle di virus dell’influenza A (H1N1) e batteri presenti nell’aria, in seguito ad esperimenti in vitro su cellule epiteliali umane e su animali da laboratorio. Ciò suggerirebbe l’utilizzo di questa radiazione in luoghi pubblici, anche in presenza di pubblico. Ma ancora è presto per dirlo perché questa scoperta richiede ulteriori approfondimenti: a) bisogna stabilire se i risultati ottenuti sul virus dell’influenza H1N1, che non è un coronavirus, nelle condizioni sperimentate da Brenner siano congruenti anche per il SARS-CoV-2 (coronavirus); b) se siano appropriati per gli ambienti chiusi in cui la concentrazione del virus potrebbe risultare alta a causa delle goccioline emesse da soggetti infettati mediante tosse o starnuti o con la conversazione; c) se tale radiazione oltre a risultare innocua in condizioni di cute normale sana, possa esserlo in condizioni, fisiologiche o patologiche.
La ricerca continua, allora, e speriamo che possa dare i risultati sperati.
(Le considerazioni sulla ricerca citata in questo articolo sono tratte dal blog della SCI del 3 maggio 2020, che riporta un commento di un gruppo di ricercatori che si interessano di fotobiologia, fotodermatologia e fotochimica).
Francesco Giuliano
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