Sono 3.818 i migranti scomparsi ( morti o dispersi) tentando di arrivare in Europa dall’inizio dell’anno,fino al 1 ottobre: 226 lungo “le vie di terra”e 3562 inghiottiti dal mare. Una media di quasi 14 al giorno.Una delle più alte degli ultimi 10 anni, superata solo dai 15,9 del 2016 e dai 14,4 del 2023, ma afronte di un numeromolto inferiore di profughi/migranti: 142228fino al 30 settembre, con una media mensile di 15803.
La rotta più pericolosa si conferma quella spagnola, nel mediterraneo occidentale e soprattutto nell’Atlantico,verso l’arcipelago delle Canarie con un totale di 2350 vittime
L’Unione Europea e i suoi Stati membri stanno intensificando gli sforzi per definire una politica migratoria europea efficace, umanitaria e sicura. Il Consiglio europeo svolge un ruolo importante in quest’ambito, in quanto fissa le priorità strategiche.
Sulla base di tali priorità, il Consiglio dell’UE stabilisce linee di azione e predispone i mandati di negoziato con i paesi terzi. Adotta inoltre atti legislativi e definisce programmi specifici. Negli ultimi anni, il Consiglio e il Consiglio europeo hanno elaborato una risposta forte alla pressione migratoria.
Nell’ottobre 2015 la presidenza lussemburghese ha attivato i dispositivi integrati per la risposta politica alle crisi (IPCR), che forniscono strumenti concreti per aiutare a coordinare la risposta politica a una crisi riunendo i principali attori.
I richiedenti asilo dovrebbero essere trattati in modo uniforme in tutta Europa. L’UE si sta adoperando per conseguire questo obiettivo. Le nuove norme – ovvero il patto sulla migrazione e l’asilo – renderanno più efficace il sistema europeo di asilo e aumenteranno la solidarietà tra gli Stati membri consentendo di alleggerire il carico che grava sugli Stati membri in cui arriva la maggior parte dei migranti.
L’UE ha adottato diverse normative relative alla gestione dei flussi migratori legali, al trattamento delle domande di asilo e al rimpatrio dei migranti illegali.
Le rotte migratorie percorse dai migranti e dai rifugiati che cercano di raggiungere l’Europa sono essenzialmente tre, con l’aggiunta della rotta temporanea dall’Ucraina da quando la Russia ha lanciato un’aggressione militare nel febbraio 2022:
Le cause dell’immigrazione possono essere di diverso tipo:
Economiche: per sfuggire alla povertà e cercare migliori condizioni di vita.
Alimentari: per una mancanza di cibo tale da non soddisfare il minimo necessario per la sopravvivenza.
Climatiche: a causa di sconvolgimenti ambientali come la siccità.
Politiche: dittature, persecuzioni, soprusi, guerre, genocidi, pulizia etnica.
Guerra e conflitti.
L’immigrazione in Italia cominciò a raggiungere dimensioni significative all’incirca dagli anni 1970, per poi diventare un fenomeno caratterizzante della demografiia italiana nei primi anni del terzo millennio.
Secondo Eurostat, al 1º gennaio 2017 l’Italia era il quarto Paese dell’UE per popolazione immigrata, ovvero nata all’estero, con 6,1 milioni di immigrati, dopo Germania (12,1 milioni), Regno Unito (9,3 milioni) e Francia (8,2 milioni), appena davanti alla Spagna (6,0 milioni). Per numero di stranieri (inclusi gli apolidi) in percentuale rispetto al totale della popolazione residente, l’Italia si classificava al quattordicesimo posto (su 28) nell’Unione Europea (con l’8,3% di immigrati sul totale della popolazione).
L’Italia, per gran parte della sua storia dall’unità in poi, è stata un paese di emigrazione e si stima che tra il 1876e il 1976 partirono oltre 24 milioni di persone (con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze), al punto che oggi si parla di grande emigrazione o emigrazione italiana.
Per tutto questo periodo, il fenomeno dell’immigrazione era stato invece pressoché inesistente, dove si eccettuino le migrazioni dovute alle conseguenze della seconda guerra mondiale, come l’esodo istriano o il rientro degli italiani dalle ex-colonie d’Africa. Tali fenomeni tuttavia avevano un carattere episodico e non presentavano sostanziali problemi d’integrazione dal punto di vista sociale o culturale. L’Italia rimase tendenzialmente un paese dal saldo migratorio negativo; il fenomeno dell’emigrazione cominciò ad affievolirsi decisamente solo a partire dagli anni sessanta, dopo gli anni del miracolo economico.
In particolare, nel 1973, l’Italia ebbe per la prima volta un leggerissimo saldo migratorio positivo (101 ingressi ogni 100 espatri), caratteristica che sarebbe diventata costante, amplificandosi negli anni a venire. È da notare tuttavia che in tale periodo gli ingressi erano ancora in gran parte costituiti da emigranti italiani che rientravano nel Paese, piuttosto che da stranieri. Il flusso di stranieri cominciò a prendere consistenza solo verso la fine degli anni settanta, sia per la “politica delle porte aperte” praticata dall’Italia, sia per politiche più restrittive adottate da altri paesi. Nel 1981, il primo censimento Istat degli stranieri in Italia calcolava la presenza di 321.000 stranieri, di cui circa un terzo “stabili” e il rimanente “temporanei”. Un anno dopo, nel 1982 veniva proposto un primo programma di regolarizzazione degli immigrati privi di documenti, mentre nel 1986 fu varata la prima legge in materia (legge 30 dicembre 1986, n. 943) con cui ci si poneva l’obiettivo di garantire ai lavoratori extracomunitari gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Nel 1991 il numero di stranieri residenti era di fatto raddoppiato, passando a 625.000 individui.
Negli anni novanta il saldo migratorio ha continuato a crescere e, dal 1993 (anno in cui per la prima volta il saldo naturale è diventato negativo), è diventato il solo responsabile della crescita della popolazione italiana.
Nel 1990 veniva emanata la cosiddetta legge Martelli, che cercava per la prima volta di introdurre una programmazione dei flussi d’ingresso, oltre a costituire una sanatoria per quelli che si trovavano già nel territorio italiano: allo scadere dei sei mesi previsti vennero regolarizzati circa 200.000 stranieri, provenienti principalmente dal Nordafrica.
Nel 1991 l’Italia dovette anche confrontarsi con la prima “immigrazione di massa”, dall’Albania (originata dal crollo del blocco orientale), risolta con accordi bilaterali. Negli anni seguenti ulteriori accordi bilaterali verranno stipulati con altri Paesi, principalmente dell’area mediterranea. Secondo dati stimati dalla Caritas, nel 1996 erano presenti in Italia 924.500 stranieri.
È del 1998 la legge Turco-Napolitano, che cercava di regolamentare ulteriormente i flussi in ingresso, cercando tra l’altro di scoraggiare l’immigrazione clandestina e istituendo, per la prima volta in Italia, i centri di permanenza temporanea per quegli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione”. La materia sarà tuttavia regolamentata nuovamente nel 2002, con la cosiddetta legge Bossi-Fini, che prevede, tra l’altro, anche la possibilità dell’espulsione immediata dei clandestini da parte della forza pubblica.
Alla data del censimento della popolazione del 2001 risultavano presenti in Italia 1.334.889 stranieri, mentre le comunità maggiormente rappresentate erano quella marocchina (180.103 persone) e albanese (173.064); tale valore, nel 2005 era giunto a 1.990.159, mentre le comunità albanese e marocchina contavano, rispettivamente 316.000 e 294.000 persone.
Il cosiddetto codice dell’immigrazione, dell’asilo e della cittadinanza è formato da un insieme di direttive dell’Unione europea, leggi e decreti di recepimento, a partire dal decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, dal d. lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, e anche dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 in merito al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la quale amplia la fattispecie alla promozione, direzione, organizzazione, finanziamento e trasporto, ma senza risolvere il “problema del quando”, vale a dire della determinazione dell’inizio dell’attività penalmente perseguibile.
Analizzando i Paesi di provenienza dei cittadini stranieri regolarmente residenti, si nota come negli ultimi anni ci sia stato un deciso incremento dei flussi provenienti dall’Europa orientale, che hanno superato quelli relativi ai Paesi del Nordafrica, molto forti fino agli anni novanta. Ciò è dovuto soprattutto al rapido incremento della comunità rumena in Italia, che, in particolare nel 2007, è all’incirca raddoppiata, passando da 342.000 a 625.000 persone e rappresentando quindi la principale comunità straniera in Italia. Ciò è dipeso, verosimilmente, dall’ingresso della Romania nell’Unione europea, che ha facilitato i flussi, e dall’affinità linguistica.
Secondo i dati Istat, al 1º gennaio 2016 risiedevano in Italia quasi 1,2 milioni di cittadini rumeni che costituiscono il 23% della popolazione straniera in Italia e circa l’1,97% sul totale della popolazione residente in Italia; ciò fa sì che in Italia risieda quasi il 45% dei circa 2,5 milioni di cittadini della Romania espatriati, residenti nell’Unione europea. Accanto ai rumeni le principali comunità straniere presenti in Italia sono quella albanese (9,3% della popolazione straniera), marocchina (8,7%), cinese (5,4%) e ucraina (4,65%).
Nuove norme per l’immigrazione regolare: le ha stabilite il decreto flussi approvato mercoledì 2 ottobre dal Consiglio dei ministri. Il provvedimento prevede tra l’altro il potenziamento dell’uso delle tecnologie più moderne per i procedimenti relativi alle domande di ingresso per lavoro; l’introduzione della precompilazione delle domande, anticipata rispetto al click day; l’obbligo per il migrante di cooperare per facilitare la sua identificazione, consentendo l’accesso ai dati del proprio cellulare.
Nella prima parte del provvedimento, che prevede «modifiche alla disciplina dell’ingresso in Italia di lavoratori stranieri», viene autorizzato il ricorso ai parametri biometrici per l’identificazione del migrante e all’uso della sottoscrizione elettronica e della trasmissione telematica dei documenti. Si stabilisce inoltre un tetto massimo di domande per datore di lavoro, in base alle dimensioni dell’azienda, con sanzioni per il datore che nei tre anni precedenti non ha sottoscritto il contratto di soggiorno dopo aver avviato la relativa procedura. Per i lavoratori stagionali presenti sul territorio nazionale viene introdotta la possibilità che la nuova opportunità di lavoro intervenga nel termine di 30 giorni dalla scadenza del precedente contratto di lavoro.
Il decreto aggiunge poi uno ’stock’ di circa 10mila permessi, al di fuori del meccanismo delle quote, per lavoratori da impiegare nel settore dell’assistenza sociosanitaria e familiare da reclutare attraverso le Agenzie per il Lavoro. Nel secondo capo del dl flussi sono previste misure a tutela delle vittime del caporalato, come l’introduzione di una nuova ipotesi di permesso di soggiorno per le vittime di intermediazione illecita che cooperano con le autorità: queste persone, se esposte a rischi per la loro incolumità, potranno beneficiare delle norme riguardanti la vigilanza e tutela e accedere al sistema di protezione già previsto per i testimoni di giustizia, se le condizioni lo prevedono.
Nella terza parte viene modificato il decreto Lamorgese del 2020 per conferire maggior rigore alla disciplina del soccorso navale: in particolare, si interviene sui requisiti che le operazioni di salvataggio devono rispettare, richiedendo che le stesse non pongano a repentaglio l’incolumità dei migranti. Con il decreto flussi viene introdotto anche l’obbligo di cooperare per finalità di identificazione (già previsto dalla normativa europea): si tratta dell’accesso ai dispositivi e supporti elettronici o digitali che i migranti portano con sé. Tale accesso può essere disposto dal questore, effettuato da ufficiali e agenti di pubblica sicurezza ed è soggetto alla convalida dell’autorità giudiziaria. Sono escluse dall’accesso la corrispondenza e qualsiasi altra forma di comunicazione, come ha sottolineato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano nel corso della conferenza stampa post Cdm. Infine, il dl interviene sulle disposizioni in materia di procedure di frontiera e respingimenti; amplia le ipotesi in cui la domanda di protezione internazionale può considerarsi ritirata implicitamente, quindi senza un’espressa rinuncia da parte del cittadino straniero; e stabilisce la revoca della protezione internazionale, qualora esistano fondati motivi di pericolosità per la sicurezza dello Stato.
(Emilio Drudi- Da Nuovi Desaparecidos )
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