Quanto serve chiudere i confini? Gli insegnamenti del virus per affrontare le prossime sfide globali

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Dall’inizio della pandemia, il virus è mutato migliaia di volte. Alcune mutazioni sono diventate più famose di altre. Soltanto il mese scorso, la variante inglese sembrava quasi una punizione divina per l’uscita della Gran Bretagna dall’UE. Poco dopo è arrivata la variante sudafricana, in questi giorni ci terrorizza la nuova variante brasiliana.

Alla scoperta di ogni nuova variante (sempre rigorosamente battezzata dai media con il nome del paese “di provenienza”), seguono profezie nefaste e l’adozione di misure drastiche, con conseguente cancellazione dei voli da e per il paese incriminato. Ma siamo sicuri che questa soluzione che strizza l’occhio ai sovranisti di tutto il mondo e che serve al massimo a placare le paure dei più ansiosi funzioni davvero?

Quando un anno fa in Italia sentimmo parlare per la prima volta del cosidetto “virus cinese”, a Roma venne deciso subito il blocco aereo. Molti ricorderanno forse le parole di Conte “non c’è motivo di allarme e panico”. Oggi non possiamo che sorridere amaramente di questa ostentata sicurezza.

Poche settimane dopo, infatti,  l’Italia diventò il grande malato d’Europa, e a noi italiani toccò la stessa sorte toccata poco prima agli amici cinesi. Trattati da infetti e untori, molti di noi hanno dovuto annullare viaggi e si sono sentiti rifiutare l’ingresso in altri paesi. Nel migliore dei casi, abbiamo dovuto sopportare le battute di chi, in Europa e nel mondo, ci additava come i soliti italiani peracottari e irresponsabili, quasi come se il virus ci avesse attaccato per questo.

Tuttavia, in tempi record la situazione è precipitata per tutti, e in pochi mesi il virus da cinese è diventato italiano, da italiano è diventato Europeo e poi Americano, fino a diventare mondiale.

Eppure, nonostante questo, ad oggi continuiamo a pensare in termini sovranisti, additando gli inglesi, i sudafricani o i brasiliani di turno, affrettandoci a chiudere i voli verso questo o quel paese.  Ci ostiniamo a ripetere i soliti errori del passato, a trincerarci dietro false sicurezze. Se la pandemia ha portato qualcosa di positivo, dovrebbe averci insegnato a ragionare in termini meno individualistici.

I confini sono linee arbitrarie e non posso fermare il contagio. Continuare a pensare al virus in termini di provenienza geografica non solo è errato, ma puo’ essere controproducente per una vera strategia globale di contenimento. Il virus non conosce confini, non si ferma ai controlli sicurezza in aereoporto. Questo è un insegnamento di cui dovremmo fare tesoro, e di cui dovremmo ricordarci nei mesi e negli anni venire, quando l’umanità intera si troverà ad affrontare problemi globali sempre più urgenti. Non solo le pandemie, ma anche la crisi climatica e le migrazioni, solo per citare gli esempi più eclatanti, sono fenomeni che riguardano e riguarderanno tutti, e come tali vanno affrontati.

Il virus ci ha messo davanti una verità che non possiamo più permetterci di ignorare. Abbiamo bisogno di un vero progetto globale che vada al di là degli interessi di parte e che metta al primo posto l’essere umano e l’ambiente in cui vive, senza distinzioni geografiche e nazionali. Solo così, forse, saremo finalmente all’altezza delle sfide che ci aspettano.

 


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Laureata in Studi sulla Sicurezza Internazionale, con una formazione multiculturale in 6 diversi atenei italiani, europei ed esteri, scelgo News-24 per portare ai lettori il mio sguardo sul mondo.