“Sorry, we missed you” di K.Loach,imperdibile, sacrosanto, molto più istruttivo e urgente di “Hammamet”. Credo di aver visto tutti (o quasi) i suoi film, un Maestro straordinario. Tra tutti questo è sicuramente il più duro,spietato e sconvolgente nel fotografare la violenza, la crudeltà sociale,occupazionale nonché le anomalie o contraddizioni del sindacato,spesso subdolamente complice nel perpetuare i residuati dell’aggressione capitalistico-industriale. Potenziata dalla spaventosa aggressione e disumanità della nuova,imperante invasione dei potenti mezzi tecnologici e marchingegni derivati(!) che minano alla base la tenuta di una qualsiasi onesta famiglia cosiddetta media o povera che dir si voglia. Soprattutto riguardo alla cogestione del lavoro e della famiglia, del rapporto con i figli etc., problematiche da Loach sempre ideologicamente,psicologicamente e politicamente affrontate fin dal lontano “Poor cow” (1969) e “Family life” (1981). E’ faticoso assistere con crescente angoscia alle traversie di lavoro di un padre (corriere degli acquisti on line),di sua moglie (badante a tempo pieno),dei due figli adolescenti di cui il primo (scuola superiore) assai problematico e incline a delinquere. Alle assurdità di certi meccanismi diabolici della fabbrica e conseguenti comportamenti dei superiori (negare un permesso per correre al commissariato dove si trova il figlio). Alle angherie e soprusi quotidianamente subiti; alla deprimente,devastante attesa al pronto soccorso, prototipo di un campo di concentramento. Insomma, si fatica a reggere la straziante odissea di un’umanità calpestata dai devastanti “miti d’oggi” comportando (la visione del film) una partecipazione e un coinvolgimento dolorosi per la consapevolezza che ognuno di noi,oggi, non può non avere circa la disastrosa deriva epocale, da un lato, internazionale nonché nazionale e particolare,dall’altro, scontata peraltro sulla propria pelle e nelle proprie tasche. Non tanto realismo cinematografico quello di Loach,quindi, quanto piuttosto verità nuda e cruda,drammatica o tragica,complessa. Verità assai amara che il regista ti sbatte in faccia con giustificata durezza costringendoti a riconoscere che questo non è un film ma,soprattutto, un atto di accusa: non solo a una società di merda che induce e riduce allo stato di esseri non pensanti (bestie) ma rivolto anche a quanti di noi credono di cavarsela con Dio o con Marx, con Salvini o le Sardine: nossignori, riconsideriamo piuttosto e riconquistiamo la vera,sacra dignità di essere uomini. Di avere il coraggio di guardare in faccia a una realtà capovolta o mistificata dai social con annessi e connessi (vedi il trauma provocato nel figlio al quale viene sottratto il cellulare). Dalle ferree eppure devastanti leggi economiche (della fabbrica,del sistema in genere) funzionali allo sfruttamento, alle tasse, a sanzioni incredibilmente punitive o ingiuste per un qualsiasi onesto e alacre lavoratore (il licenziamento in tronco,appunto,missing). Questo è il messaggio anzi la lezione che lascia il film. Si esce dal cinema con la coda fra le gambe, con un groppo in gola che trattieni a stento la commozione. E’ il caso di essere grati a un regista di tale spessore,capace di obbligarti a pensare e osservare usando la frusta sicuro di farti del bene ossia farti uscire “da quello stato di minorità” cioè di comoda ignoranza (sociale,politica). Che tendiamo a mascherare anziché prendere arditamente coscienza di quello che potremmo realmente fare (intanto capire chi c….dover votare!).(gmaul)


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