Foto da "Siena News"

PAVIA – Nell’ambito delle indagini per caporalato e appalti truccati  dirette dal Sostituto Procuratore Roberto Valli e coordinate dal Procuratore aggiunto Mario Venditti, la Guardia di Finanza di Pavia sta ponendo sotto sequestro la “First Aid One Italia“, cooperativa operante nel settore dei trasporti sanitari, tra i primi operatori nazionali, affidataria di appalti pubblici in tutta Italia oltreché beni per un importo di circa 200 mila euro (tra cui disponibilità finanziarie, fabbricati, terreni ed autoveicoli).

I titolari di quest’ultima sono i fratelli Antonio e Francesco Calderone, originari di Messina e residenti rispettivamente a Roma e ad Arese (Milano). I Calderone, tramite la “Heart Life Croce Amica“, avevano ottenuto l’appalto per le ambulanze pontine ma, lo scorso maggio 2021, una sentenza del Consiglio di Stato ha sancito che la società avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara d’appalto, in favore della concorrente Croce Bianca, “alla luce delle risultanze di causa e della rigorosa normativa concernente le dichiarazioni e documentazioni false prodotte in gara“.

L’odierna attività di polizia giudiziaria rappresenta la naturale prosecuzione dell’indagine che, nel marzo scorso, aveva portato all’arresto di 4 persone, nonché perquisizioni e sequestri di apparati informatici in diverse aree geografiche del Paese (Lombardia, Marche, Lazio e Sicilia), per i reati di turbativa d’asta e frode nelle pubbliche forniture: per l’appunto, i fratelli Antonio e Francesco Calderone, più il direttore generale di Asst Pavia, Michele Brait, in carica dal 2016, e il dirigente amministrativo del servizio acquisti e gare e responsabile unico del procedimento Davide Rigozzi.

Le indagini svolte dai militari del Gruppo di Pavia e della Compagnia di Vigevano – spiega in una nota la Guardia di Finanza di Pavia – «hanno permesso di individuare diverse gare d’appalto per l’affidamento dei servizi di trasporto in ambulanza in diverse parti del territorio nazionale (Pavia, Roma, Milano, Perugia, Ancona e Pescara) vinte dalla predetta cooperativa che sono però risultate turbate e per le quali sono state riscontrate diverse frodi nell’esecuzione del servizio pubblico».

Innanzitutto, tale cooperativa agiva tramite prestanomi, al fine di occultare la costante presenza ed effettiva direzione aziendale da parte di uno degli indagati già condannato in via definitiva nel 2017 per turbata libertà degli incanti, ed aveva escogitato un metodo infallibile per aggiudicarsi tutti gli appalti a cui partecipava: proporre prezzi talmente bassi che talvolta superavano il limite della anti-economicità e assicurare, solo formalmente, una folta flotta di mezzi. Peccato però che i bassi prezzi erano ottenuti dallo sfruttamento dei lavoratori e dal numero dei mezzi impiegati che era sensibilmente inferiore a quello previsto da contratto. Naturalmente, l’esiguo numero di mezzi sanitari presenti sul territorio comprometteva l’efficienza dei soccorsi a disposizione della collettività.

Inevitabili i disservizi conseguenti, infatti, già dai primi mesi di operato. La qualità del servizio richiesto dall’appalto era molto al di sotto di quanto pattuito, creando numerose e continue inefficienze unite a sensibili ritardi e mancate prestazioni sanitarie, spesso confermate anche dalle segnalazioni pervenute dai pazienti trasportati e dai medici in servizio presso i presidi ospedalieri.

Emblematico è quanto emerso dalle videoriprese effettuate in talune ambulanze, ovvero, che venivano raramente eseguite sanificazioni all’interno del vano sanitario delle ambulanze che, invece, avrebbero dovute essere eseguite dopo il trasporto di ogni paziente (così come previsto dalla normativa regionale e dal contratto d’appalto) soprattutto in tempo di pandemia da Covid-19. Solo per dare un’idea della portata del rischio sanitario accertato, una delle ambulanze monitorate, in 20 giorni di lavoro con contestuale trasporto di 92 pazienti è stata sanificata solo in 4 occasioni mentre un’altra, in 9 giorni di servizio ed 86 pazienti trasportati, è stata sanificata un’unica volta.

A comprova di quanto appena detto, la cooperativa talune volte effettuava il servizio senza aver mai istituito le sedi operative secondarie idonee al ricovero “coperto” dei mezzi e della loro sanificazione, contrattualmente previste ed offerte in sede di gara, tanto che le ambulanze nei momenti di non operatività venivano spesso posteggiate sulla pubblica via.

Le indagini hanno permesso di dimostrare come la cooperativa indagata ed oggi sotto sequestro abbia potuto far fronte ad un considerevole ribasso rispetto alle tariffe indicate dalle Stazioni Appaltanti attraverso un’illecita manipolazione dei costi del lavoro. In particolare, la cooperativa remunerava i propri dipendenti con stipendi molto inferiori ai minimi salariali previsti dal contratto collettivo nazionale costringendo, di fatto, i propri lavoratori a prestare anche attività come volontari, traendone un enorme vantaggio concorrenziale.

Infatti, i volontari-lavoratori, costretti a turni di lavoro massacranti (per oltre 12 ore continuative e senza pause), spesso non avevano altra scelta se non quella di mangiare o dormire, quando possibile, all’interno della cabina sanitaria dell’ambulanza che sarebbe dovuta rimanere sterile. Se ciò non fosse sufficiente erano anche costretti ad effettuare trasporti che esulavano dal loro impiego (ad es. trasporto di un motore all’interno dell’ambulanza). In tal modo il servizio veniva espletato, nel pieno della pandemia in corso, in condizioni igienicamente precarie e pregiudizievoli per la salute degli ammalati, in spregio alle più elementari norme sanitarie imposte dalla normativa anti Covid-19.

Giova infine segnalare che uno degli indagati, poco dopo il suo arresto, ha rinunciato alla propria carica di direttore generale nominando altre persone apparentemente in grado di garantire una amministrazione corretta ed imparziale, rivelatesi in realtà persone di fiducia degli indagati.

Ciò è avvenuto anche da ultimo quando è stato nominato un nuovo presidente, sicuramente indipendente dagli indagati, qualificato e in grado di assicurare una corretta esecuzione del servizio, anche se sempre e costantemente affiancato nella gestione della cooperativa da ulteriori persone legate a doppio filo con gli indagati.

Proprio in funzione delle numerose gare d’appalto turbate, delle ripetute frodi nelle pubbliche forniture, della acclarata condizione di sfruttamento dei lavoratori e della corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme al contratto collettivo nazionale, il Tribunale di Pavia – G.I.P. Maria Cristina Lapi, ha disposto un sequestro preventivo dell’intero compendio aziendale della cooperativa il cui patrimonio è di circa 5 milioni di euro oltreché il sequestro per equivalente di circa 200 mila euro in capo ai caporali.

Il pubblico servizio svolto dalla cooperativa non verrà comunque interrotto in quanto, lo stesso Tribunale, ha incaricato un amministratore giudiziario per la gestione e la corretta continuazione delle attività di soccorso.


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