Ciao Franco, oggi non ho voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare

Se ne va il più grande di tutti lasciando un vuoto incolmabile

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Ciao Franco, grazie.

Era nato a Ionia, un comune che oggi non esiste più. E già questo è l’incipit di una vita meravigliosa, al di sopra del bene e del male.
Franco Battiato era un uomo libero, uno di quegli uomini che ha raggiunto la pace interiore, come pochi riescono e come tutti dovrebbero. Se ne va nel mistero, in un alone di mistero che lo ha portato ad “asciugarsi”, come dichiara il fratello Michele. Dopo una vita enigmatica e una produzione incomprensibile ai più lascia la sua esistenza terrena in maniera imperscrutabile. Ma Franco non aveva bisogno di un corpo per liberare la sua anima, una costante ricerca di libertà che l’ha accompagnato per tutta la vita, sospeso fra occidente e oriente.

Aveva iniziato tutto da una discussione con un professore universitario, aveva preso le sue cose ed era fuggito via, a Milano. Quando, con quella sua Fisiognomica inconfondibile e quegli occhi profondissimi, si presentava al grande pubblico cantando “L’era del cinghiale bianco” immobile, davanti al microfono, fissando gli ascoltatori. Ma quella non era casa, quella vita mondana non faceva per Franco che preferiva di gran lunga ascoltare la natura nella sua Sicilia, nel suo buen retiro di Milo, alle pendici dell’Etna, in una splendida villa dove tornerà costantemente e dove si stabilirà, uscendo da quel suo eremo solo per necessità lavorative. Ma il maestro non è mai stato schiavo, scandiva lui i tempi, quando scrivere, quando cantare, quando fare un tour: “Quando sto lontano dal palco non ne sento la mancanza” dichiarava. Perché Franco era così, semplice nella sua complessità, umile, profondamente umile. Come solo chi sta bene sa essere. Non si era montato la testa e non si era lasciato travolgere dalla fama, quando nel 1981 uscì: “La voce del padrone”, l’album che glissava il suo successo. Da lì la battiatite fu incontenibile, riempiva piazze, stadi, arene e vendeva dischi in quantità. Battiato stava diventando il primo dei primi. Duetti illustri, successi europei e addirittura la commozione sincera, ad una sua esibizione, da parte di Giovanni Paolo II. Ma nonostante questo il Maestro non si fece inglobare da quell’onda travolgente, rimase umile, un’umiltà rara che qualifica l’Uomo. Anzi, l’epiteto Maestro non gli piaceva, ma oggi non possiamo che imporglielo, perché fra tanti falsi maestri lui è stato il vero maestro, il più grande di tutti.

Vegetariano convinto, viaggiatore d’oriente, ha snocciolato la filosofia, la letteratura, la storia e la musica con un’abilità impressionante, con raffinata eleganza. Scopritore di talenti, da Alice (Carla Bissi), che diventerà il suo Alter ego femminile fino a, pochi anni fa, il cantautore siciliano Giovanni Caccamo.

Visionario, genio, folle, inarrivabile. Ha anticipato tutti i tempi, musicali e non solo, ha sperimentato dall’opera fino al rock. Comprendendo prima di tutti che il pop sarebbe stato quello che l’opera fu nel 1800, senza mai però rinunciare all’opera. Fu fra i primi a giocare con l’auto-tune quando in Italia ci sarebbe potuto sembrare, al massimo, un optional di un’auto. Ha parlato di computer quando nessuno sapeva cosa fossero, ha cantato in inglese, francese e spagnolo quando in Italia a stento si parlava correttamente italiano. Poliedrico, insaziabile d’arte e conoscenza era autodidatta in molte cose, che con caparbietà affinava con un attento labor limae, dalla lingua araba alla pittura.

In un’intervista aveva dichiarato: “Mi sveglio fra le 3.30 e le 4.30, medito per un’ora o due e poi mi metto a vedere l’alba, faccio una vita meravigliosa”.

Ci ha fatto sognare, arrovellare nell’incomprensione di quei testi troppo raffinati per essere compresi. Ha saputo fare della filosofia e poesia musica e della musica poesia e filosofia. Ha saputo farci cantare ciò che fino ad allora era dominio della scuola o di enormi libri settoriali. Ha sperimentato più di chiunque altro nella musica italiana, con una produzione così trasversale da essere unica. Ha anticipato i tempi, parlato di terre, di popoli, di amore, di aldilà e di Mondi Lontanissimi. Ci ha fatto credere di aver composto parole senza senso, astruse successioni di parole auliche. Ma eravamo solo incapaci di capirlo, perché ha raccontato la vita ed il mondo in ogni singola parola, in ogni singola nota. La verità è che Battiato era questo e molto di più, la sua grandezza supererà lo spazio e la luce e proverà a colmare quel vuoto enorme che oggi ha lasciato.

Ha parlato di amore in senso lato, e seppur non abbia mai avuto “l’amore della vita” nel senso comune in cui lo rappresentiamo, ha saputo scrivere le più belle parole mai scritte nella musica italiana. Da “La Cura”, “La stagione dell’amore”, a “La canzone dei vecchi amanti” fino a “E ti vengo a cercare”, testi che trasudano amore, nel senso più profondo e meno frivolo pensabile.

Ma non ha tralasciato l’impegno politico, nonostante la politica non fosse il centro della sua produzione (di ben 30 album).

“Pago le tasse e le pago con vero piacere, non mi piace che siano rubate da mani sbagliate, questo qui è insopportabile”. Aveva creato una sintonia con la gente, che ritrovava nei suoi scritti politici la propria voce ascoltata ed amplificata, da “Inneres Auge” a “Povera Patria” in cui senza mezzi termini si scaglia contro la mala politica, quella che non dovrebbe esistere.

Ha voluto chiudere la sua carriera ripartendo da là dove aveva iniziato, nell’autunno del 2019 è infatti uscito il suo album di commiato “Torneremo ancora” dove riprende tutti i grandi successi dell’album del 1981, aggiungendo l’omonimo singolo che racchiude l’addio di un uomo che ha minuziosamente studiato l’aldilà, senza temerlo.

Il dolore, oggi, è inspiegabile. Ci sentiamo tutti un po’ orfani, spaesati.

Scrivere queste parole oggi è indegno e complicatissimo e non sapranno mai fare una sinossi adeguata a ciò che è stato e sarà ancora. Non ci dimenticheremo mai delle sue parole ed ogni volta che sentiremo la sua voce sarà per noi un Risveglio di primavera e saremo orgogliosi quando vedremo danzare ancora sulle sue note.

Grazie Maestro, Aver vissuto un tratto di strada nella tua epoca è stato un grande onore di cui avremo cura.

Da domani canteremo ancora, ancora e ancora, ma oggi no, oggi non abbiamo voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia perché i tempi stanno per cambiare, per sempre.

La tua anima adesso è libera.


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Giurista e giornalista pubblicista dell'Ordine della Toscana, ho vissuto a Firenze, Parigi e Roma senza mai smettere di essere livornese. Per il mio territorio nutro un interesse atavico, un amore senza condizioni. La mia seconda Casa è l'isola d'Elba. Appassionato di scrittura sin dalla più tenera età, gestisco la sezione Toscana della testata oltre ad altre collaborazioni online e su carta stampata.