Il coronavirus ci ha colti impreparati. Figuriamoci noi operatori dello sport in servizio permanente effettivo, sempre pronti a tutto da mattina  a sera, senza fermarci un istante. Lo splendido incantesimo che lo sport esercita su noi appassionati, apparendo ai nostri occhi come qualcosa di importante nell’economia delle nostre vite si è dissolto come neve al sole. Le storie delle comunità si identificano e corrono parallelamente alle vicende sportive, un mondo fantastico fatto di ricordi, di uomini, emozioni, vicende piccole e grandi, coinvolgimento totale.  D’altra parte, l’emergenza legata al coronavirus è talmente critica, soprattutto per il mondo dello sport, che ci ha costretto ad allargare lo sguardo, fino al punto di farci riflettere sulla sopravvivenza stessa dello sport, sulla sua importanza all’interno del nostro mondo, chiusi in una stanza aspettando un domani migliore. Ci ha costretto a pensarci in una realtà in cui lo sport è ciò che è davvero senza quell’incantesimo, e cioè solo un gioco, che passa in secondo piano, se comparato alla nostra salute e al nostro lavoro. Propongono di tutto per fare ginnastica e stare in forma dentro le mura domestiche, scandendo minuti e secondi. Per le persone per cui lo sport è un lavoro (atleti, tecnici, manager, agenti,  giornalisti, medici, terapisti o altri professionisti) i due piani però coincidono e l’emergenza del Covid-19 diventa una minaccia seria, non così diversa da quella che stanno vivendo nel turismo o nella ristorazione in tempo di tempesta. Un buon esempio arriva da chi spera che l’attuale e tragica vicenda ci faccia riacquistare almeno un po’ della coesione sociale perduta negli ultimi decenni e faccia capire a tutti che agire per il bene comune è sia un dovere che una garanzia. Verso gli altri ma anche verso sé stessi. C’è chi spera, naturalmente, che i campionati più importanti giungano al termine. Nel calcio Juve e Lazio dopo qualche botta e risposta sembrano convinte che valga la pena assegnare lo scudetto in piena estate, stessa cosa nel basket con Virtus Bologna e Olimpia Milano che attendono le decisioni di Lega e Fip, piuttosto attendiste sinora. Ma è normale, non vogliono esporsi troppo. Giorgio Armani – munifico sponsor del basket milanese – è in prima fila nell’aiutare chi soffre, un uomo di altri tempi che per primo si è accorto del pericolo organizzando la sfilata di moda meneghina in streaming, senza pubblico. Qualcuno propone di giocare i play off del cesto in Sardegna, altri in Sicilia, la Nba americana potrebbe temporaneamente trasferirsi ai Caraibi. Tutte vicende che non hanno per ora soluzione, ma la voglia di giocare con qualcosa in palio, rispettando le regole, è tanta.

 


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Paolo Iannuccelli è nato a Correggio, provincia di Reggio Emilia, il 2 ottobre 1953, risiede a Nettuno, dopo aver vissuto per oltre cinquant'anni a Latina. Attualmente si occupa di editoria, comunicazione e sport. Una parte fondamentale e importante della sua vita è dedicata allo sport, nelle vesti di atleta, allenatore, dirigente, giornalista, organizzatore, promoter, consulente, nella pallacanestro. In carriera ha vinto sette campionati da coach, sette da presidente. Ha svolto attività di volontariato in strutture ospitanti persone in difficoltà, cercando di aiutare sempre deboli e oppressi. É membro del Panathlon Club International, del Lions Club Terre Pontine e della Unione Nazionale Veterani dello Sport. Nel basket è stato allievo di Asa Nikolic, il più grande allenatore europeo di tutti i tempi. Nel giornalismo sportivo è stato seguito da Aldo Giordani, storico telecronista Rai, fondatore e direttore della rivista Superbasket. Attualmente è presidente della Associazione Basket Latina 1968. Ha collaborato con testate giornalistiche locali e nazionali, pubblicato libri tecnici di basket e di storia, costumi e tradizioni locali Ama profondamente Latina e Ponza, la patria del cuore.