Teatro SI’

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TEATRO SI’
Umberto Orsini e Franco Branciaroli sono due attori di vecchia data e comprovata esperienza, alcune sere fa sul palcoscenico del teatro cittadino in una pièce francese dal titolo “Per un sì per un un no”, uno di quei “duelli” teatrali in cui si cimentano due “spadaccini” di classe che sanno giocare (in altra lingua=recitare) di fioretto. La storia sulle prime effimera di fatto crudele o perversa, un kammerspiel (teatro da camera) dove si discute più o meno del nulla in realtà della gara a primeggiare e contraddirsi a vicenda, una trama che va intessendosi di sottili staffilate per concludersi con la uccisione di uno dei due duellanti a seguito di un banale qui pro quo da cui si evince il peso dell’alienazione, l’incomunicabilità, la carenza di umana disposizione. Potremmo parlare di una condizione dei nostri giorni infarciti di parole o chiacchiere che ci rintronano da ogni dove quindi della “insostenibile leggerezza dell’essere” ovvero di una overdose di disumana ignoranza mista ad arroganza spesso causa di diatribe aggressive dovute a un sì o un no ossia a una apparente disponibilità se non a un rifiuto a continuare a crederci, ad andare avanti incapaci di avvertire quella “leggerezza” dell’essere che non significa levità bensì un paradossale avvertimento del “contrario” sempre in agguato che insidia il nostro quieto vivere: spesso si può toppare per un sì o per un no, per una apparente banalità o una conclamata serietà. Insomma, “attenti a quei due” dicasi Orsini e Branciaroli calorosamente applauditi da un pubblico partecipe e mediamente numeroso, un segnale da non sottovalutare per incentivare e sostenere la cosa teatrale atteso che “l’illusione teatrale noi sappiamo essere la illusione di tutte le illusioni, la magia per eccellenza ” (Giovanni Berchet, Lettera semiseria al figlio Grisostomo 1816) perciò qualcosa di magico non già di effimero come purtroppo in questi anni è stato in questa città considerate le discutibili sorti e regressive del nostro teatro ovvero il sotto testo al negativo di quelle “magnifiche sorti e progressive” di cui Leopardi (citando Lorenzo Mamiani) da intendersi in senso sottilmente ironico. (gimaul)

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