MONTECASSINO – “La Giornata dell’Europa, che si svolge ogni anno il 9 maggio, intende celebrare la pace e l’unità del Vecchio Continente. La scelta della data rimanda all’anniversario della Dichiarazione con cui, nel 1950, l’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman, proponendo la creazione della CECA (Comunità del Carbone e dell’Acciaio), pose le basi di un nuovo processo di integrazione economica e di collaborazione politica che avrebbe portato alla formazione dell’attuale Unione Europea. L’obiettivo soggiacente era quello di creare condizioni tali da favorire e mantenere relazioni pacifiche tra gli stati europei, allontanando definitivamente lo spettro di nuove guerre. L’iniziativa di Schuman dava voce e speranza a quanti guardavano ad un futuro di pace e fraternità entro i confini europei, e non solo.

Purtroppo nessuno di noi poteva immaginare che nel 2022 avremmo dovuto assistere ad un conflitto armato nel cuore stesso dell’Europa, e non occorrono competenze di carattere geopolitico per convincerci che anche l’attuale guerra in Ucraina – causata dalla barbara aggressione russa – dà ragione all’affermazione della filosofa Hannah Arendt che «la guerra non ristabilisce diritti, ma ridefinisce poteri». Purtroppo, poi, per perseguire questo scopo la guerra – come dice papa Francesco – si nutre «del pervertimento delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della diversità vista come ostacolo». L’inasprimento del conflitto e il ricorso sempre più massiccio all’uso delle armi attesta poi la debolezza, per non dire l’afasia, delle iniziative politiche e diplomatiche messe in campo a vari livelli dagli Stati-nazione, dall’UE e dall’ONU, organizzazione, quest’ultima, che per prima dovrebbe promuovere e garantire il multilateralismo e una governance internazionale che assicuri all’umanità una convivenza pacifica.

Ma come tenere insieme – e qui mutuo le parole di Albert Einstein – da una parte la certezza che «la guerra non si può umanizzare» e dall’altra il sogno che essa «si può solo abolire»? In un libro pubblicato nel 1999 e intitolato “Sogno un’Europa dello spirito”, il Card. Carlo M. Martini, allora Arcivescovo di Milano e una delle espressioni più alte della Chiesa universale, riprendeva quelle che un grande teologo del XX secolo, Romano Guardini, nel volume “La fine dell’epoca moderna”, descriveva come le “virtù fondamentali” di cui l’essere umano deve dotarsi al fine di affrontare le enormi sfide della contemporaneità. Si tratta di virtù che, tradotte in stile di vita, gli consentono di razionalizzare e gestire le potenzialità immani di cui è detentore, ponendole al servizio del bene comune e impedendo che siano utilizzate in maniera selvaggia e distruttiva. Ma vediamole queste virtù fondamentali.

La prima di queste virtù è l’«onestà intellettuale». Guardini la descrive come «la serietà imposta dalla verità», ossia la serietà di chi non si lascia trasportare frettolosamente verso conclusioni pre-confezionate e semplicistiche, dettate dall’emozione del momento o finalizzate ad attrarre il consenso altrui. Le sfide complesse che l’odierna società ci mette davanti ci impongono il dovere di un’onestà intellettuale che si riverberi nella ricerca, nella parola e nella prassi, attraversando e impregnando di sé il tessuto connettivo delle nostre società, a livello culturale, politico, economico e anche religioso. Tali sfide non potrebbero essere comprese correttamente senza la virtù dell’onestà intellettuale. Pensiamo, ad esempio, alle criticità legate all’ambito del lavoro, alla ricerca di uno sviluppo economico che metta al centro la persona e il benessere di tutti, al tema sensibile dell’ecosostenibilità, ma anche, appunto, al problema della guerra e della relativa corsa agli armamenti, da una parte, e alla necessità, dall’altra, di lavorare spassionatamente per la pace e per il disarmo. Diciamocelo. Spesso, sulla spinta dell’emozione, cediamo in maniera acritica a una logica di stampo manicheistico che ci porta, ad esempio, a considerare il pacifismo un lusso da salotto e l’interventismo come l’unico sbocco realistico per risolvere i problemi, senza premurarci di approfondire con onestà intellettuale la situazione emergenziale con la quale si deve fare i conti, mantenendo vivo il desiderio di giungere a soluzioni che salvaguardino la giustizia e la pace per tutti.

La seconda virtù – afferma Guardini – è il «coraggio oltre il limite». Non si tratta di quel coraggio, istintivo e spesso insospettato, che si manifesta, ad esempio, quando ci troviamo di fronte ad una minaccia non prevista. Al contrario, quello di cui parla Guardini è un coraggio puro, forte, fondato sulla consapevolezza che oltre – e dentro – i mali che ci minacciano vi è un male ancora più grande, ossia «il nemico universale: il caos che sale nell’opera stessa dell’uomo» o, altrimenti detto, il caos morale che serpeggia nell’universo e che contribuisce ad alimentare i mali che ci minacciano. Senza questa consapevolezza – che dovrebbe trasformarsi in impegno condiviso a contrastare questo male universale – rischiamo di soccombere a quegli stessi mali che vogliamo combattere. Tuttavia – e Guardini ci mette in guardia da ciò – non va dimenticato che «come ogni coraggio veramente grande, esso avrà contro di sé i molti, l’opinione pubblica, la non-verità condensata negli slogan».

La terza virtù, infine, è data dalla «libertà interiore». Libertà da che cosa, innanzitutto? «Dalle catene della violenza, in tutte le sue forme – afferma il grande teologo –, dal potere suggestionante della propaganda, (…) dalla sete del potere, dalla sua ebbrezza e dal suo carattere demoniaco, che agisce fin nell’intimo dello spirito. Questa libertà può essere raggiunta solo attraverso una vera educazione, interiore ed esteriore». È dunque attraverso una vera e propria ascesi, interiore ed esteriore, che ci sarà possibile intercettare e cristallizzare le varie schiavitù dalle quali il nostro animo è sedotto, da quelle più quotidiane e domestiche a quelle più drammatiche e di più ampio respiro. È un compito non facile, e tuttavia necessario, se non vogliamo cedere il passo ad un irrazionale imbarbarimento della convivenza civile, dettato da logiche di contrapposizione, di paura, di diffidenza, di sospetto, di discredito, dove la serietà della verità è subissata dalle fake news assurte a sistema; dove il riconoscimento delle malvagità di cui l’uomo è capace si ferma all’aspetto esteriore senza preoccuparsi di rintracciarne le cause profonde nel caos che alberga nel suo cuore e all’interno delle sue relazioni; dove l’ebbrezza demoniaca del potere, non controllata dal dominio di sé e dalla centralità accordata al rispetto di ogni persona e della sua dignità, finisce col portare agli orrori di Bucha e di Mariupol!

E tuttavia non dobbiamo spegnere il sogno che tanti europeisti convinti coltivano: quello di riuscire ad edificare un’Europa più bella e responsabile, «un’Europa – e qui faccio mie le parole del Card. Martini – riconciliata e capace di riconciliare; un’Europa dello spirito, edificata su solidi principi morali e, per questo, in grado di offrire a tutti e a ciascuno spazi autentici di libertà, di solidarietà, di giustizia e di pace; un’Europa che viva gioiosamente (non noiosamente) e generosamente la sua missione. E qui – prosegue il porporato –, nel mio sogno lo sguardo va oltre e si allarga al mondo intero: vorrei tanto che esso, grazie anche alla responsabilità di noi europei, fosse più umano e abitabile, più in sintonia con il progetto di Dio».

Già. Più in sintonia con il progetto di Dio! Me la si consenta questa ripetizione, e non solo perché, in quanto credente e monaco, mi è del tutto consentanea, ma anche perché credo che si attagli a chiunque abbia a cuore le sorti di un’umanità finalmente pacifica, unita, concorde, fraterna. E questo è il progetto di Dio sulla terra! Sospinto su questa lunghezza d’onda, vorrei, infine, ricordare che a Dio fece esplicita allusione anche Luigi Einaudi, il futuro Presidente della Repubblica Italiana, quando, il 29 luglio 1947, nella sua allocuzione all’Assemblea costituente, parlando dell’insopprimibile anelito alla pace, espresse così il suo “sogno” europeistico: «Noi riusciremo a salvarci dalla terza guerra mondiale solo se noi impugneremo, per la salvezza e l’unificazione dell’Europa, invece della spada di Satana, la spada di Dio; e cioè invece dell’idea della dominazione colla forza bruta, l’idea eterna della volontaria cooperazione per il bene comune. (…) Se noi non sapremo farci portatori di un ideale umano e moderno nell’Europa d’oggi, smarrita e incerta sulla via da percorrere, noi siamo perduti e con noi è perduta l’Europa». Sono parole che, a distanza di molti anni, mantengono viva la loro attualità!

Fortunatamente, nonostante le innumerevoli incertezze e le battute d’arresto sperimentate nei decenni trascorsi dall’ultimo conflitto mondiale, la via per realizzare il sogno di un’Europa dello spirito continua ad essere percorsa e a rimanere percorribile, e sta portando – anche se lentamente – i suoi frutti. Per questo motivo, al di là delle innumerevoli contraddizioni di cui è costellata la storia del nostro Vecchio Continente, nutro la fiducia e la speranza che l’integrazione, anche politica, della nostra Europa possa assumere un volto sempre più concreto, solidale e pacifico, capace di veicolare quell’umanesimo integrale che scaturisce direttamente dalle sue radici cristiane. San Benedetto, Patrono principale d’Europa, Pacis nuntius ed effector unitatis, ispiri in tal senso i nostri pensieri e le nostre azioni.


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Laurea triennale in "Scienze della comunicazione e dell'informazione" presso Università degli Studi Roma TRE. Laurea Specialistica in "Media, Comunicazione digitale e Giornalismo" presso Università La Sapienza di Roma. Aspirante giornalista e addetto stampa presso vari enti locali, scrivo di cronaca, politica, società e sport.