FROSINONE- Guglielmo Mollicone è morto dopo aver lottato per diciannove anni contro tutto e contro tutti per chiedere verità e giustizia per sua figlia Serena, uccisa il 1 giugno 2001 ad Arce, in provincia di Frosinone. A fine novembre era stato colpito da un infarto mentre era nella sua casa e mentre stava combattendo l’ennesima battaglia giudiziaria, aspettando che il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Cassino, Domenico Di Croce, decidesse sulle cinque richieste di rinvii a giudizio fatte dal pm Beatrice Siravo al termine della nuova inchiesta sull’omicidio della 18enne.

Ricoverato all’ospedale “Spaziani” di Frosinone, Guglielmo Mollicone non è mai uscito dal coma e l’11 febbraio è stato trasferito nella Rsa di Veroli. Esplosa la pandemia, nella struttura del gruppo Ini ben 60 pazienti sono stati colpiti dal coronavirus, ma il 72enne di Arce è riuscito a contrastare anche il Covid-19. I tamponi per lui sono risultati sempre negativi. Troppo grave però il quadro clinico per riuscire a riprendersi e a continuare a rappresentare una vigile presenza nelle aule di tribunale. “Serena adesso è con il suo papà”, ha scritto oggi, dopo il decesso di Guglielmo, il cognato su Facebook.
“Finisce la vita di Guglielmo ma non la sua istanza di giustizia”, ha aggiunto il suo legale, l’avvocato Dario De Santis. Giustizia attesa dall’udienza preliminare fissata per il prossimo 30 giugno. Serena Mollicone sparì da Arce il 1 giugno 2001 e venne trovata dopo due giorni in un boschetto ad Anitrella, una frazione del vicino Monte San Giovanni Campano, senza vita, con le mani e i piedi legati e la testa stretta in un sacchetto di plastica. Nel 2003, con le accuse di omicidio e occultamento di cadavere, venne arrestato Carmine Belli, un carrozziere di Rocca d’Arce, poi assolto dopo aver trascorso da innocente quasi un anno e mezzo in carcere. Le indagini hanno quindi ripreso vigore nel 2008 quando, prima di essere interrogato di nuovo, il brigadiere Santino Tuzi si tolse la vita, secondo gli inquirenti perché terrorizzato dal dover parlare e confermare quanto aveva riferito su quel che era realmente accaduto nella caserma dell’Arma di Arce sette anni prima. Alla luce dei nuovi accertamenti compiuti dai carabinieri di Frosinone, dai loro colleghi del Ris e dai consulenti medico-legali, il pm Maria Beatrice Siravo, facendosi largo in una selva di depistaggi, si è quindi convinta che la diciottenne il giorno della sua scomparsa si fosse recata presso la caserma dei carabinieri, che avesse avuto una discussione con Marco Mottola, il figlio dell’allora comandante della locale stazione dell’Arma, e che lì, in un alloggio in disuso di cui avevano disponibilità i Mottola, la giovane fosse stata aggredita.

La studentessa avrebbe battuto con violenza la testa contro una porta e, credendola morta, i Mottola l’avrebbero portata nel boschetto. Vedendo in quel momento che respirava ancora, l’avrebbero soffocata e sarebbero iniziati i depistaggi appunto. Una ricostruzione dei fatti che ha portato il magistrato a chiedere il rinvio a giudizio dell’ex comandante Franco Mottola, del figlio Marco e della moglie Anna Maria, con le accuse di omicidio aggravato e occultamento di cadavere, dell’appuntato scelto Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento personale in omicidio volontario, e del luogotenente Vincenzo Quatrale, accusato di concorso in omicidio volontario e istigazione al suicidio del collega brigadiere Tuzi. Deciderà il giudice Di Croce


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