Ecce Moro

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La locandina è già tutto un programma: un inquietante biglietto di presentazione, il simbolo della DC con una croce di spine sicuramente emblematico su cui si staglia il titolo ”Esterno notte”, in controluce il ritratto di una “famiglia” in esterni (la DC) parafrasando il tipo di un film di Visconti (Ritratto di famiglia in un interno, altra storia). Bellocchio ha creato un film potente, inquietante e minaccioso nel senso che quel periodo buio del ‘78 tra Brigate rosse, terrorismo, naufragio politico e subdole crisi di coscienza se ha costituito una minaccia o attentato alla istituzioni pubbliche e democratiche ha avuto il merito di avere inciso col bisturi nel corpo malato e infetto della politica nazionale di cui Aldo Moro è stata la vittima sacrificale: odissea, passione e morte di un nuovo Cristo crocifisso in terra di cui,appunto, l’emblematica locandina. Raramente è capitato di riscontrare nella filmografia di Marco Bellocchio il senso del tragico proprio dei greci (la tragedia) come in questo straordinario film non fabula ma tragedia compresa la compagnia malvagia e scempia degli Atridi (la DC), nel film riscontrabili sia pure con largo beneficio d’inventario da un lato nei brigatisti dall’altro nei politici infidi e maligni che oscuramente, inconsciamente o no ne sono stati i complici. L’analisi è perfetta sia per il valore documentario sia per quello della valenza storica risultando il film una illuminante e rigorosa pagina della storia d’Italia non già risorgimentale bensì infernale dove il pubblico e il privato si interfacciano dialetticamente. L’esposizione e trattazione della vicenda, infatti, si dipana su due piani paralleli tra ragione di stato e ragione dei sentimenti, senso laico delle cose e senso profondamente religioso della vita, soprattutto umano, una humanitas che tocca il cuore fino alla commozione. La figura di Moro si staglia sullo schermo come una statua monumentale,un monito terribile a chi c’era e a quanti sono seguiti: non consideratemi un eroe più semplicemente uno strumento incautamente o subdolamente strumentalizzato da una compagine politica a dir poco scellerata. Il suo rigore morale, la nobiltà d’animo, l’eccellenza di un’anima bella e buona risaltano a tutto tondo anche in virtù dell’eccellente interpretazione di Fabrizio Gifuni cui fa da controcanto l’altrettanto eccellente Toni Servillo nelle vesti di papa Paolo VI che illuminò di luce propria il problematico rapporto con la Sente Sede indubbiamente molto più trasparente e leale del partito subdolo, infido, assai disumano. Nonostante la durezza, l’impietosa cioè rigorosamente realistica ricostruzione della vicenda Bellocchio non manca di mettere a nudo le corde dei sentimenti più profondi da quelle paterni, filiali o coniugali a quelli della specchiata onestà dell’uomo e del politico. Essenziale addirittura aspra la “scrittura” registica riguardo alla travagliata trattativa con i brigatisti a metà tra il cosiddetto cinema verità e il documentario, il racconto e l’esposizione cronachistica senza mai indulgere ad effetti spettacolari né tampoco sensazionali. Di fatto una incomparabile lezione di storia non solo per gli italiani specie quelli che hanno dimenticato ma anche per i giovani: un film che dovrebbe essere imposto nella e per la scuola, ridicolmente si direbbe nei programmi scolastici (sì purtroppo ancora si parla di “programmi”,siamo proprio all’”esterno” cioè fuori!). Un film da “leggere” e “studiare” scorrendo la vicenda alla stregua della lettura di un libro da cui i fatti sono esposti concettualmente anziché cronachisticamente. Il film può dirsi anche uno dei contributi più solidi per la conoscenza o rivisitazione del caso Moro proposto nella dimensione più appropriata della analisi a posteriori,ovviamente, costruttiva magari del kantiano“sapere aude” avere il coraggio e la volontà di osare nel conoscere o riconoscere la verità. Di convincersi che non di eroi ha bisogno il paese bensì di “combattenti” leali e criticamente armati dotati cioè di un doppio uso delle armi, le armi critiche e la critica delle armi esattamente quel che ha compiuto finché gli è stato possibile e avrebbe compiuto secondo regola d’arte Aldo Moro se no n fosse stato crocifisso. (gimaul)


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