Foto da "Genova24"

ROMA- Ai domiciliari il ‘re’ degli stampatori Vittorio Farina, Andelko Aleksic e Domenico Romeo. Sequestrati 22 milioni di euro. Al centro dell’inchiesta 5 milioni di FFP2 e 430mila camici forniti nei primi mesi dell’emergenza. Le intercettazioni: “I certificati so’ tutti falsi”. Poi il tentativo di inserirsi nella partita per le scuole: Farina sosteneva di avere “una promessa dal commissario” Domenico Arcuri, che non risulta indagato ed è considerato oggetto del traffico di influenze
Mascherine non conformi, con tanto di certificati falsi, vendute alla Regione Lazio. E il tentativo di inserirsi nelle forniture per le scuole, sostenendo di avere la “promessa” di Domenico Arcuri. Prima ci sono riusciti con 5 milioni di mascherine FFP2 e 430.000 camici piazzati al Lazio nel pieno del lockdown della scorsa primavera, poi hanno provato a piazzare altre partite milionarie, come quella per gli studenti, con la “promessa”, dicevano intercettati, dell’ex commissario all’emergenza che le avrebbe prese da loro “se va in rottura di stock”. Con queste accuse sono finiti ai domiciliari Vittorio Farina, ‘re’ degli stampatori e già arrestato nel 2017 per bancarotta fraudolenta, Andelko Aleksic e Domenico Romeo. Sono indagati, a vario titolo, per frode nelle pubbliche forniture, truffa aggravata e traffico di influenze illecite.

Il gip del tribunale di Roma, Francesca Ciranna, ha anche disposto un sequestro preventivo di quasi 22 milioni di euro a carico dei tre e della società European Network Tlc, una casa editrice, nei cui confronti è stata emessa la misura interdittiva del divieto di contrarre con la Pubblica amministrazione. Farina, in suo altri affari, è stato socio dell’affarista Luigi Bisignani nonché tra i finanziatori della Fondazione Open di Matteo Renzi. L’inchiesta dei finanzieri del Gruppo Tutela Spesa Pubblica del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, è nata sulla base di una segnalazione dell’Agenzia Regionale della Protezione Civile del Lazio alla Procura di Roma e riguarda le vicende relative alla fornitura di 5 milioni di mascherine FFP2 e 430.000 camici alla Regione Lazio da parte della European Network Tlc nella prima fase dell’emergenza sanitaria, tra marzo e aprile 2020, per un prezzo complessivo di circa 22 milioni di euro.

Nell’inchiesta anche il nome dell’ex ministro Saverio Romano: “A lui un bonifico di 58mila euro senza causale”
Nell’ordinanza si legge che gli indagati – “pienamente consapevoli” dei certificati falsi – riferivano di aver parlato con l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, che non risulta indagato ed è ritenuto l’oggetto del traffico di influenze. In almeno 3 occasioni. Il 15 luglio, si legge, “Farina ha chiamato Massimo Cristofori e nel corso della conversazione ha giurato di aver parlato” con l’ex commissario per “inserire” la European Network Tlc “quale fornitore sussidiario a Fiat e Luxottica per l’approvvigionamento di mascherine destinate alla riapertura delle scuole”. Intercettato, l’imprenditore dice: “Quello delle mascherine, stiamo, quello che non fornisce Luxottica e Fiat, sai che gli hanno fatto, che so grandi produttori no? Se non ce la fanno, subentriamo noi, adesso sappiamo tra qualche giorno… sono stato ieri giuro”.

Il 3 settembre Farina, scrive ancora il giudice per le indagini preliminari, “è riuscito ad incontrare” Arcuri “come sembra emergere” da quello che riferisce ad Aleksic: “Domenico mi ha promesso che se gli arriva le lettera, autorizza quell’acquisto (…) la dovrebbe fare oggi, oggi la deve fare e oggi pomeriggio ci deve fare l’ordine”, si legge nelle intercettazioni. E conclude: “C’ho anche un settanta possibilità che ti faccio pure il Lazio… sopra ste cose (…) sto facendo un buon lavoro (…) avanti indietro avanti indietro avanti indietro”. Lo stesso giorno, in un’altra telefonata, sempre Farina sostiene di avere “una promessa dal commissario unico, dal commissario straordinario, che se va in rottura di shock con i due fornitori principali che so Fiat e Luxottica e, le prende da me”.

I finanzieri hanno ricostruito che a fronte dei contratti sottoscritti, che prevedevano la consegna di dispositivi di protezione individuale marcati e certificati CE, rientranti nella categoria merceologica di prodotti ad uso medicale, l’impresa milanese facente capo ad Aleksic, che fino al mese di marzo 2020 era attiva soltanto nel settore dell’editoria ha, secondo gli inquirenti, “dapprima fornito documenti rilasciati da enti non rientranti tra gli organismi deputati per rilasciare la specifica attestazione” e, successivamente, “per superare le criticità emerse durante le procedure di sdoganamento della merce proveniente dalla Cina, ha prodotto falsi certificati” di conformità forniti da Romeo “anche tramite una società inglese a lui riconducibile, ovvero non riferibili ai beni in realtà venduti”. E ne erano pienamente consapevoli: “Tanto so’ tutti falsi ‘sti certificati”, diceva Aleksic intercettato.


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