Sorella morte: La dignità del vivere e del morire

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La vita ha un valore sempre, anche quando è debole. E confrontarsi con la morte fa maturare la consapevolezza del proprio limite 

Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio, affronta nel volume, Sorella morte. La dignità del vivere e del morire (edizioni Piemme) il tema delicato della morte, la fase terminale della vita umana, “la buona morte”, soprattutto nell’orizzonte di un deciso contrasto a ogni forma di eutanasia. Un libro denso di riflessioni e raffinato dal punto di vista letterario per il suo appassionante linguaggio da costituire un’ arduo e importante lettura

L’autore ricostruisce con impegno e scrupolo, fin dalle prime pagine del saggio, il dibattito di idee che si è sviluppato, nel corso degli ultimi anni, sull’argomento dell’eutanasia, soffermandosi sulle varie definizioni finora date da scienziati e medici, da associazioni e singoli studiosi del problema. Nell’odierna società di fronte alla sofferenza, che fa paura più della morte, la ricerca è impegnata ad abbattere il dolore con cure palliative per aiutare a non soffrire e garantire così il diritto ad essere curati, a essere accompagnati perché la vita sia sempre degna di affermare il diritto alla morte assistita.

Su questo complesso tema, “questione ultima”, è necessaria una riflessione più ponderata e profonda sul senso della morte ineliminabile e misteriosa che suscita, da sempre, spavento e laceranti interrogativi nel profondo di ogni essere umano e della società.

La morte, che ha sempre interessato per i suoi valori religiosi, metafisici e simbolici, filosofi, storici, religiosi e medici, è un enigma misterioso che ha portato l’uomo di oggi ad occultarla perché incapace di sopportarne il pensiero e il peso. La cultura contemporanea tenta di rimuovere la morte dalla vita pubblica, si accanisce per “decostruire la mortalità”, prosciugando, per usare le parole del presidente francese François Mitterand, «una fonte essenziale del gusto di vivere».

La questione della morte, come “chiusura dell’esistenza”, divide i credenti dai non credenti spingendoli ad andare oltre e a non arrendersi davanti all’inevitabile mistero del morire. Per i credenti cristiani la morte, chiamata sorella da san Francesco, è il segno più evidente della caducità e debolezza, della fragilità e vulnerabilità della vita e tuttavia non costituisce l’ultima parola, nonostante la paura, perché la fede assicura che il Risorto non abbandonerà mai l’uomo e che la vita non finisce con la morte.

Il discorso cristiano sulla morte ha inizio dalla “morte in croce” di Gesù e dalla sua risurrezione, intesa come culmine della sua vita, come vittoria sulla morte e l’inizio di una “vita nuova”, “risorta”, eterna. Gesù crocifisso trasforma “la morte patita” in atto d’amore per la vita dell’altro, del prossimo e il credente, di fronte alla sofferenza e alla morte, non è più solo.

Nell’odierna società, che oscura la morte, si assiste alla solitudine del morente (che avrebbe bisogno di sostegno, di compagnia, di amore) perché la morte, rimossa, è nascosta e diventa una “cosa medica”. Nella gestione della morte l’irrompere della tecnica pone nuove e serie domande inerenti il “diritto” e il “dovere” di morire. Il suicidio è un gesto tragico, segnato dal dolore insopportabile e dalla disperazione, che fa parte della “cultura di morte” che mette in luce la necessità del bisogno umano di più amore, compassione, comprensione e coinvolgimento. Il togliersi la vita per l’autore non può essere un diritto, una scelta di libertà.

L’autore si sofferma ad analizzare e a riflettere sul nuovo individualismo esasperato che caratterizza  l’odierna società e si chiede se ci si trova di fronte alla fine della vita solidale e quindi al dominio incontrastato di una concezione individualistica che esalta il feticismo del corpo, l’idolatria dell’Io. In realtà l’uomo è un essere relazionale, che vive insieme ad altri, perché l’Io e l’Altro sono radicalmente complementari.

La fragilità umana, che viene sperimentata con la vecchiaia, le malattie, la povertà, l’isolamento sociale, richiede l’aiuto degli altri che possono assistere con generosità, proteggere con attenzione, curare con delicatezza e soddisfare con affetto i bisogni primari perché la vita dipende dalla relazione con gli altri. La fragilità è un dato connesso in maniera inestricabile alla vita, è un destino comune ad ogni uomo.

Occorre accettare la morte, come evento naturale, tenendo conto che l’ostinazione terapeutica nel tentare tutto, non ha nulla da vedere con  l’accanimento terapeutico che consiste nel prolungare la vita con ogni mezzo, e che è condannato anche dal codice di deontologia medica. È necessario accompagnare il morente prendendosi cura della sua persona, attuando cure palliative per accudirlo e sospendendo ogni trattamento giudicato inutile o sproporzionato, perché come afferma la bioeticista australiana, Helga Kuhse, «ogni vita umana, a prescindere dalla sua qualità o tipo, è inviolabile e di eguale valore» e irriducibile.

L’autore con decisione chiarisce l’idea che una cosa è aiutare il paziente a morire, facendogli compagnia nell’angoscia, dando aiuto al suo dolore, portandogli conforto, un’altra cosa è farlo morire anticipando la morte, facendo leva sul diritto di morire con dignità (con l’eutanasia volontaria e il suicidio assistito). Ma il tema della dignità non può essere disgiunto dalla indispensabile relazionalità della persona umana che negli ultimi istanti della sua vita ha bisogno, oltre che di terapie, cure e sollievo dal dolore, anche di carezze, di vicinanza, di contatto fisico, di essere accudito, ascoltato e rispettato.

Nel libro viene affrontato anche il problema del “testamento biologico” (inteso come anticipazione della volontà) basato sul principio di autodeterminazione, sulla libertà di scelta, di disporre di sé, che chiama in causa il medico che ha il compito di tutelare la vita, di curare il paziente e non assumere un atteggiamento paternalistico. È necessaria un nuova alleanza “terapeutica” tra medico e paziente, basata sulla fiducia del malato e sulla coscienza e competenza professionale dell’operatore sanitario che dovrà assumere atteggiamenti di empatia, comprensione, disponibilità, dialogo, amore, attenzione, benevolenza verso il malato.

Pertanto in questa prospettiva assumono rilievo le cure palliative che rendono più sopportabile la fase finale della malattia che dovrà caratterizzarsi da un adeguato accompagnamento umano fatto con affetto e cura, superando così il timore di una sofferenza insopportabile. L’approccio palliativo verso il malato inguaribile e verso il morente, per aiutarlo ad affrontare la fine della sua vita, non è finalizzato né ad affrettare né a ritardare la morte, né ad allungare né ad abbreviare la vita.

Altro tema che Vincenzo Paglia affronta con coraggio, lucidità e incisività, evocando pagine evangeliche, è l’indebolimento della predicazione del Vangelo della “morte, risurrezione e vita eterna”, delle realtà più significative e ultime dell’esistenza umana. La morte, passaggio decisivo e drammatico, spesso legata alla malattia, alla paura della sofferenza, ricorda all’uomo la debolezza e caducità del suo esistere terreno.

La Chiesa, nonostante l’occultamento della morte, ha sempre accompagnato le persone a prepararsi all’evento finale dell’esistenza umana pensando al giudizio finale di Dio sulla vita di ciascuno. È necessario accompagnare e stare accanto a chi si avvia verso la morte, a non essere indifferenti di fronte ai morenti che non vanno lasciati soli, e questo richiede attenzione, comprensione, amicizia, fedeltà, amore perché la morte è parte dell’esistenza umana. L’accompagnamento nel morire, nella prospettiva di una cultura del convivere, dimostra quanto sia importante che ciascuno abbia bisogno dell’altro soprattutto nel momento più difficile e più alto della vita.

Il libro, Sorella morte. La dignità del vivere e del morire, mette in evidenza, attraverso riflessioni attente e audaci di natura culturale e spirituale, la necessità, per la società contemporanea, di costruire, di fronte alle problematiche relative al fine vita, un nuovo umanesimo, basato sui valori dell’amore, della solidarietà, della vicinanza al prossimo, dell’apertura all’altro, sulla gratuità, che  pone al centro la persona umana, la sua esistenza, la sua dignità e la sua libertà. Un umanesimo che ridia dignità di vivere e morire ad ogni individuo nel contesto di una società solidale.

 


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