Black Lives Matter”, le vite dei neri contano. La scritta gialla, a lettere giganti, è stata verniciata a terra sulla strada che porta alla Casa Bianca, la stessa dove Donald Trump si era fatto fotografare qualche giorno fa con la bibbia in mano di fronte alla chiesa di Saint John, suscitando l’ira della sua vescova.  Washington ha accolto così i manifestanti suddivisi tra più sigle e con diversi itinerari, confluiti per la grande marcia contro il razzismo. Gruppi di dimostranti si sono radunati in diversi punti della città con cartelli e cori che chiedono giustizia per George Floyd e per tutti gli afroamericani morti per le violenze della polizia. La manifestazione è imponente anche se non paragonabile alla Women’s March su Washington all’indomani del primo Inauguration Day di Trump nel gennaio 2017, dove scesero in piazza un milione di dimostranti. Nessuna grande organizzazione nazionale, compresa BlackLivesMatter, ha promosso questo appuntamento. Al Sharpton ne ha lanciato un altro: ad agosto nella ricorrenza della marcia di Martin Luther King a Washington. Ovunque, grandi metropoli e piccole città, va in scena il rito di inginocchiarsi per 8 minuti e 46 secondi, esattamente il tempo durante il quale un poliziotto di Minneapolis ha tenuto il suo ginocchio premuto sul collo di George Floyd uccidendolo.

La marcia più attesa quella di Washington, dove la protesta più che in ogni altra città viene sentita anche come una sfida al presidente Donald Trump. Il numero dei manifestanti cresce di ora in ora e le proteste andranno avanti per tutto il pomeriggio e la serata. In migliaia anche per le strade di New York, dove un corteo ha attraversato il ponte di Brooklyn per dirigersi a Manhattan verso City Hall, la sede del comune dove si trovano gli uffici del sindaco Bill de Blasio.
Una folla enorme anche a Chicago, Philadelphia, Atlanta, Miami, Los Angeles, Seattle, Denver, Minneapolis. In migliaia in strada a Buffalo e Tacoma, le due città teatro degli ultimi due video shock delle violenze da parte della polizia.

REUTERS
Washington

“Non inginocchiatevi!” ha twittato Donald Trump contro quello che è diventato il simbolo delle proteste razziali (non solo in America ma in tutto il mondo). Il presidente non nasconde ancora una volta non nasconde la sua avversione per quell’inchino per lui “offensivo e irrispettoso”. E’ nato infatti sui campi di football, quando nel 2016 il quarterback Colin Kaepernick si inginocchiò per la prima volta per protesta durante l’inno nazionale e davanti alla bandiera americana, seguito poi da tanti altri campioni. Un fatto intollerabile per il tycoon, che ora vede ripetere quella mossa ovunque, persino da parte di quei poliziotti che solidarizzano con i manifestanti. Anche il premier canadese Justin Trudeau è stato immortalato mentre, camicia bianca e mascherina nera, si è inginocchiato partecipando a sorpresa ad Ottawa ad una manifestazione del movimento ‘Black Live Matter’.

 


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