IL  BELL’ANTONIO

E’ un mese da che Antonio Pennacchi se n’è andato per sempre eppure la sua voce, la sua corposa e solida presenza mai ingombrante, sempre altisonante come una batteria composta da vari strumenti continueranno ad accompagnarci. Certamente ci sono i suoi libri ma lui è “oltre” essi, la conferma che c’è un oltre in tutte le cose, qualcosa di imprevedibile e inesprimibile. In arte si dice “originalità”, istinto creativo,attrazione per l’impossibile cioè Antonio:  irruento, immediato, iperbolico eppure incredibilmente “su misura”, la misura dell’inventiva di per sé smisurata, l’incontenibile leggerezza dello strepitoso! Ricordo quando, tanti anni fa, tenni un corso di preparazione ai concorsi promosso dai sindacati (costi popolari!), tra i frequentanti  c’era lui, cominciò a contestare Petrarca e Croce asserendo che era una perdita di tempo solo a nominarli,inutili! Sì, un provocatore,“satirico” alla stregua di un Persio o un Giovenale caustici e irriverenti. Nietzsche lo avrebbe ascritto alla congrega degli “umani-troppo umani”, più pedestremente noi lo classificheremmo un umanista sui generis, antiletterario ossia assolutamente alieno da ogni retorica così nel comportamento come nel pensiero e nell’animo. Umanista nel senso “interiore” del termine cioè dotato di una rara umanità: l’humanitas intesa come solidarietà umana prima che intellettuale, come dialogo costante e al tempo stesso intermittente per una conversazione continuamente interrotta, mai  preclusa né conclusa. Immediato, diretto, sincero, generoso. Signore della parolaccia(!):il suo “vaffanculo”, con licenza e riverenza parlando, suonava quasi come il contrappunto del “Cristo regni” che noi ragazzotti eravamo tenuti a profferire all’oratorio! La parolaccia intesa “poeticamente” come nel e per il poeta meneghino Carlo Porta di fatto una forma di protesta o di ribellione e non un vezzo né un banale intercalare. Il grande critico Francesco De Sanctis riteneva che lo stile è l’uomo, Pennacchi prima che uno scrittore è stato un uomo, sempre in  piedi mai in ginocchio. Uno spirito libero ai limiti dell’anarchia, ideologicamente “indipendente”, difficilmente classificabile benché nitidamente identificabile. Un  “uomo nuovo”, disancorato dai lacci della banale “buona educazione” spesso sinonimo di buonismo. I suoi romanzi riflettono l’inquietudine e la passione  individuale e sociale, in tal senso possono definirsi “storici” pur se diversamente dai modelli esemplari (Manzoni, Tolstoj). Nel senso di un preciso spaccato ambientale ed epocale, di una scrittura nervosa e al tempo stesso “ritmica”, mai eufonica piuttosto dodecafonica, contrappuntata da “fughe” e “urlati”. Una tecnica narrativa apparentemente semplice o “distratta”, di fatto concertata in funzione dei personaggi, degli ambienti e situazioni. Ironico e autoironico, critico e sarcastico ma anche oculato. La sua è un’eredità destinata a fruttare negli anni a conferma che il passato se tu lo lasci stare non rimane passato: Littoria confluisce e rifluisce in Latina. Ci si conceda il paragone irriverente: il suo “Canale Mussolini” può ben essere un “Colosseo”, un punto obbligato di riferimento per i colti e la gente comune; un punto di osservazione  temporalmente “circolare” in cui il passato (Littoria) e il presente (Latina) si confondono e amalgamano nello a priori e a posteriori. Non cesserò di essergli grato per il cameo con cui ha voluto onorare il mio libro, assolutamente godibile e incisivo, sagace e felicemente umoristico.  .

“Quando in illo tempore  Giorgio Maulucci portava ogni anno con la forza a metà stagione i suoi studenti a Milano, pare che a Strehler –Giorgio pure lui- non appena lo vedeva, sbirciando dal sipario, seduto con loro in platea tra le prime file, pare che li pigliasse un colpo: “Porca puttana, ancora questo”? Non che non lo stimasse o non gli volesse bene. Erano amici. Ma regolarmente Giorgio Maulucci -dopo lo spettacolo- andava sempre in camerino e ti saluto Strehler: “Sì vabbé, ma io al tuo posto, caro Maestro, avrei fatto così e cosà. Nel primo atto avrei cambiato questo e nel secondo e terzo quest’altro”.  “Vegni ti alora,Maulù, e vaffallippa”. (Antonio Pennacchi).

 


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