LATINA -La dittatura che sopprime le coscienze, l’indifferenza della gente comune, il calcio usato come oppio dei popoli, i desaparecidos, le Madres e le Abuelas de plaza de Mayo, questi i temi affrontati da Gian Luca Campagna, giornalista e scrittore di Latina, nel suo romanzo ‘Il profumo dell’ultimo tango’ (Historica, 350 pp, euro 18).

Un tema che oggi è tornato alla ribalta, sia perché siamo a 40 anni tondi da quel Mondiale di Argentina 78 dove tutto l’Occidente si inginocchiò davanti al potere sanguinario dei generali e soprattutto perché una settimana fa le Abuelas de plaza de Mayo, cioè le Nonne, sono state candidate al premio Nobel per la pace.

“Questo sta a testimoniare che gli scrittori per essere tali devono mantenere intatto il concetto dell’essere visionari, devono saper anticipare il futuro, altrimenti resterebbero cronisti, legati al quotidiano, seppure sempre volti alla ricerca ontologica. Tutto questo oggi mi fa sorridere, perché fino a qualche mese fa alcuni direttori editoriali mi prendevano per impertinente nell’aver affrontato questo tema, poi a distanza di qualche mese ecco invece le vendite lusinghiere in Italia, i riconoscimenti della critica, l’attenzione dei mass media nazionali, la trasformazione in pièce teatrale, la richiesta di traduzione del romanzo in Argentina e ora le Nonne candidate al Nobel, che poi nel mio romanzo sono le protagoniste di questa trama, credo, sufficientemente originale”.

Cosa ti ha spinto a scrivere questo romanzo?

“Il fine è che la memoria è l’antidoto all’indifferenza e all’oblio, ma lo spunto sono stati i mondiali di calcio del 1978, quella gioia contagiosa in realtà nascondeva l’orrore delle torture da parte del governo argentino. Ero un bambino ma mi alzavo di notte per vedere le partite degli azzurri di Bearzot. Poi a distanza di anni hai la percezione che il grande inganno ordito si è tramutato in tragica realtà: le Ford Falcon che ringhiano sull’asfalto, l’arroganza delle patotas, i bambini sottratti alle famiglie, le torture imposte dal governo, i desaparecidos, i girotondi strazianti delle Madres e delle Abuelas attorno all’Obelisco di plaza de Mayo, i voli della morte… sono diventati nel tempo dei frammenti che si sono accavallati fino a creare un film completo. Tu credi che tutto appartenga al passato, invece no. Perché quando i conflitti sono irrisolti sono sempre attuali, li covi dentro. Si muovono dentro finchè, almeno nella fiction, cerchi la pace”.

E la pace l’hai trovata?

“Uno scrittore non smette mai di placare il suo senso dell’inquietudine, o il suo stato del desiderio. Cesserebbe di esistere. Affinchè sia mantenuto questo livello di alterazione della sensibilità è necessario che le ferite dell’anima non siano mai chiuse, ma che gettino sempre pus, come se fossero pustole pronte ad essere aperte. È necessario però essere pronti a convivere col dolore, altrimenti è inutile. E in questo la tragedia greca rappresenta la sublimazione, mi fanno sorridere quegli autori che dicono che sono ispirati da tizio o caio quando invece la produzione classica resta il riferimento della tradizione letteraria mondiale. Pensa ad Albert Camus, uno dei miei preferiti: si è ubriacato di classici”.

Siamo a Buenos Aires, durante la farsa dei Mondiali di Argentina 78, poi veniamo catapultati nel 2018: passato e presente si alternano e si accavallano. Se durante la feroce dittatura militare di Videla scomparivano gli oppositori ecco che a distanza di 40 anni a sparire sono i nipoti appena adolescenti degli appartenenti a quel regime.  Il richiamo alla legge del contrappasso è immediata.

“Già. Quando oggi parli con le Madres e le Abuelas di plaza de Mayo resti sorpreso dal sorriso ma anche dalla determinazione: per gli aguzzini dei loro figli non provano né odio né perdono, sono animate da un’instancabile ricerca della verità, il sapere che fine hanno fatto i loro figli che 40 anni fa sono desaparecidos in nome di uno Stato che divorava i suoi stessi figli anteponendo Dio, patria e famiglia. Con la complicità del mondo occidentale. A distanza di 40 anni a sparire stavolta sono i figli degli aguzzini, in un lento e tragico capovolgimento dei ruoli tra vittime e carnefici, ma come insegna la vita alla fine nulla è scontato e tutti sono colpevoli e nessuno mai del tutto innocente”.

Ecco, questa è una regola d’oro del noir: il ruolo intercambiabile tra vittima e carnefice e dove non esiste netta la divisione tra Bene e Male.

“Derek Raymond diceva che il noir ha una grande funzione sociale: si veste da brava massaia per svelare la merda che lo Stato nasconde sotto il tappeto. Poi, contrapporre cavalieri bianchi e cavalieri neri è riduttivo, ci sono metastasi di bontà e di cattiveria in ognuno di noi, credo che da una visione aristotelica ormai siamo passati a una visione hegeliana della vita, dall’antitesti si deve passare a una sintesi, anche se la soluzione finale non sempre ci piacerà”.

Cosa deve trovare oggi nella narrativa un lettore?

“Magari potessi parlare delle regole universali della letteratura, non immagino esistano, credo che esistano delle regole d’oro per ogni singolo autore. Papà Manzoni dice che un’opera deve essere utile, vera e interessante. Attualizzando i concetti, penso che lo scrittore debba narrare fotografando la realtà, deve agire con parole di denuncia per smuovere e sensibilizzare le coscienze ma non deve dimenticare il suo ruolo di intrattenitore: in un romanzo –che racconta qualcosa di verosimile- l’evasione deve essere incisiva quanto le altre voci. Lo scrittore deve condurre su un sidecar a folle velocità e senza cintura di sicurezza il lettore, senza svelargli la meta finale: è lì in quell’altrove che si stringe il patto sacro tra autore e lettore”.

I personaggi sono originali, respirano e vivono come fossero protagonisti reali, questa è la sensazione che se ne ricava. Poi, il protagonista, il detective Josè Cavalcanti è decisamente sopra le righe…

“Sono tutti eroi disillusi e disincantati, ma hanno una grande gioia di vivere, sono affamati di vita e di verità. Sono quelli che suscitano più tenerezza, li vorresti come amici per bere un drink nei peggiori locali del mondo, perché di loro sai che ti più fidare. I miei protagonisti non hanno nulla di omologato, vivono fuori dagli schemi e dalle gabbie mentali, se poi mi ostino a ficcarceli dentro loro le scardinano, perché sono naturalmente contro gli stereotipi. Josè Cavalcanti è così, non sopporta la falsità e l’ipocrisia. E in questo, inevitabilmente, mi somiglia molto, anche perché ha il pallino della ricerca della verità”.

Cosa non sopporti?

“L’ipocrisia, la vigliaccheria e la falsità. Oppure chi vende il proprio corpo e la propria sensibilità per arrivare a raggiungere degli obiettivi, è come provare a vincere una partita barando, corrompendo l’arbitro, comportandosi slealmente infrangendo le regole: nutro grande compassione per chi oltre a comportarsi in questo modo si batte poi a favore delle regole, sublimando la finzione d’animo. Queste persone non hanno un’anima, e provo una sincera pena per loro. L’ipocrisia è un chiaro segnale dei nostri tempi, diventa difficile digerirla quando proviene da chi ti sta accanto, è come se all’improvviso crollassero le tue difese immunitarie, vacilla la tua autostima e ti domandi in cosa hai sbagliato in un amore, in un’amicizia o in genere in una relazione. È qui che intraprendi un viaggio nelle stanze segrete del tuo io, alla ricerca di più risposte, che non sempre arrivano puntuali”.

Il prossimo lavoro?

“C’è un romanzo in lavorazione, tra l’altro con degli stralci pubblicati sul mio profilo Facebook. Una storia che scorre su due binari temporali paralleli, dove protagonista è uno scrittore in crisi davanti al foglio bianco e in corso di separazione dalla moglie, che da idealizzata scoprirà una donna egotista e priva di scrupoli. In quel momento di profonda crisi cercherà di scoprire che fine ha fatto venticinque anni prima un suo amico adolescente, scomparso misteriosamente durante una gita sul monte Circeo. Sarà il momento giusto per fare i conti col passato, con gli amici di sempre, con gli amori di una volta e col padre. Ma inevitabilmente il protagonista farà i conti anche col presente e, soprattutto, con se stesso”.

Un finale tragico senza speranza?

“Ma no, l’amore trionfa sempre (ride). E i cattivi fanno la fine che meritano”.


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