Ha il potere di fermare il tempo, immortalando l’attimo, di vederci come eravamo, di vedere ancora le persone che non ci sono più: è un incantesimo che si chiama fotografia. Questa “scrittura di luce” -il significato del termine greco – non è un solo lavoro di copiatura del mondo, ma di interpretazione di esso da parte dell’artista, che dipinge la sua “tela” con luci e ombre.

Ci ricordiamo oggi di un qualcosa di cui si è forse persa la straordinarietà, essendo entrata nel quotidiano di ognuno, ma è bene tenere a mente cosa questa conquista recente ci abbia regalato: l’immortalità dell’attimo. Non a caso per lo scatto di una fotografia si usa il termine “immortalare”.

La giornata mondiale della fotografia
Il “World Photography Day” è stato istituito nel 2010 dal fotografo australiano Korske Ara, che ha creato una galleria di fotografie globale online, a cui ognuno può dare il suo contributo. Questa data è stata scelta non a caso: è infatti il medesimo giorno in cui nel 1839 il fisico François Arago presentò all’Accademia delle Scienze e della Arti Visive a Parigi il dagherrotipo, il primo procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini. Messo a punto dal francese Louis Jaques Mandé Daguerre, forniva un’unica copia positiva, non riproducibile, su supporto in argento o rame argentato sensibilizzato, in camera oscura, attraverso l’esposizione a vapori di iodio.

Prima di Daguerre
La prima fotografia che si conosce -che fu chiamata “eliografia” è però datata 1826 e fu realizzata da Niépce: si tratta di un’immagine del paesaggio fuori dal suo studio impressionata su una lastra di peltro sensibilizzata con bitume di Giudea. Il tempo di esposizione era però di oltre 8 ore!
La scoperta del nuovo processo ad opera di Daguerre permise di ridurre tale tempo a circa 15 minuti.
«Chi avrebbe creduto pochi mesi fa che la luce, essere penetrabile, intangibile, imponderabile, privo insomma di tutte le proprietà della materia, avrebbe assunto l’incarico del pittore disegnando propriamente di per se stessa, e colla più squisita maestria quelle eteree immagini ch’ella dianzi dipingeva sfuggevoli nella camera oscura e che l’arte si sforzava invano di arrestare? Eppure questo miracolo si è compiutamente operato fra le mani del nostro Dagherre» (Macedonio Melloni, fisico, 1839)


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