Corte d’Appello di Roma : La lunga agonia di Serena, poteva essere salvata

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Serena poteva essere salvata e quando è stata trasportata nel bosco dell’Anitrella era già morta. A ribadirlo ieri in aula è stata la professoressa Cristina Cattaneo – medico legale del Labanof di Milano – davanti alla Corte di assise d’appello di Roma, che ha riaperto il dibattimento del processo Mollicone lo scorso 26 ottobre. «La morte di Serena non è stata immediata, la sua agonia è durata da una a dieci ore e quindi poteva essere salvata» sottolinea rispondendo alle domande dei procuratori generali Landolfi, Piantoni e Siravo. I segni riscontrati su alcuni organi, come aveva già spiegato in primo grado, possono far pensare a «un’asfissia» riferisce il medico legale del Labanof, dove Serena è stata trasferita dopo l’estumulazione del 2016.

Il trauma cranico per i consulenti non era idoneo a provocare un decesso immediato, come dimostrato dalla prima autopsia (quella eseguita dalla professoressa Conticelli). «Aveva un edema cerebrale ma senza sanguinamento. Non è la tipica emorragia, quindi forse si è trattato di una morte lenta – ha aggiunto – Non è morta sul colpo e su questo siamo tutti d’accordo». Poi parla di una possibile asfissia, provocata dall’occlusione delle vie aeree. Questo il binario ripercorso dalla professoressa Cattaneo che però, esattamente come avvenuto nel processo di primo grado, non parla mai di certezze.

Ma di compatibilità. «Non è possibile escludere l’urto tra la porta e la testa» afferma. E poi aggiunge: «Ritengo maggiore la compatibilità con il cranio di Serena e non con un pugno» riferendosi al foro riscontrato sulla porta dell’alloggio a trattativa privata. Considerata dall’accusa l’arma del delitto. I pg conducono l’udienza: «Impossibile provare che l’omicidio sia avvenuto in un luogo differente da dove è stato trovato il corpo? «No, sono certa che l’omicidio sia avvenuto in un luogo chiuso, diverso da quello del rinvenimento – risponde la professoressa – Non è successo nel bosco perché lì – inoltre – non ci sono porte. Ed è accaduto in un luogo chiuso». E la foglia trovata sotto al calzino della vittima? «Una poteva stare anche in un luogo chiuso».

La tensione e il giallo del calco
La sua escussione va avanti per oltre cinque ore, con tantissime parti presenti – in primis la sorella di Serena, Consuelo, lo zio Antonio, Maria Tuzi – insieme ai consulenti, alle difese, ai giornalisti tenuti fuori dall’aula, sulla porta. Ed è chiaro che ora si è entrati nel vivo. «Un risultato importante, perché riascoltando i consulenti di parte la Corte potrà avere attraverso un esame diretto una convinzione ancora più puntuale» afferma l’avvocato Salera (che rappresenta Consuelo) fuori dall’aula. Anche l’ex maresciallo Franco Mottola e Marco, oltre a Francesco Suprano sono dentro. Mancano la moglie di Franco, Anna Maria, e Vincenzo Quatrale.

Tutti – lo ricordiamo – assolti con formula piena in primo grado. Presenti ancora il generale Garofano, la criminologa Bruzzone e il criminologo Lavorino, il dottor Delli Compagni e molti altri consulenti. Una battaglia squisitamente scientifica. E in alcuni momenti le domande infiammano l’aula. In prima linea i pg, con la dottoressa Siravo, a guidare le ricostruzioni. Le difese di parte civile compatte, con gli avvocati Salera, De Santis, Iafrate, Castellucci, Nardoni, Greco e Radice. Dall’altra parte i legali degli imputati: gli avvocati Germani, Meta, Di Giuseppe, Mancini, Candido, D’Arpino e Marsella. Proprio Marsella, poi, pone una domanda sul calco della mano di Marco Mottola, eseguito per studiare la compatibilità con il foro sulla porta. La professoressa Cattaneo avrebbe spiegato che «sarebbe stato trovato in tribunale solo uno di questi calchi». Quindi uno dei due sarebbe andato perso.

L’altezza e la porta
«L’altezza di Serena è uno dei punti che vogliamo approfondire nel corso dell’istruttoria. I pugni sono molto meno compatibili» a parlare ancora una volta è il pg. Le domande sono serrate: sulla compatibilità dell’altezza della studentessa con un gesto violento che l’avrebbe scaraventata contro la porta; sul sangue, fuoriuscito nell’impatto, che non è mai stato trovato né in caserma né sugli abiti della ragazza. Sulla colluttazione descritta in primo grado, prima della morte: «questione meno accesa, quella legata ai segni di una colluttazione». «Lesioni molto piccole non grandi come quelle alla testa: sul collo, sulle mani, sul gluteo che per me possono essere segno di strattonamento – continua la professoressa Cattaneo – Conticelli lo esclude, ma in casi come questo io credo non sia possibile farlo».

Poi aggiunge: «Se non ci fosse stata la colluttazione, comunque, non sarebbe cambiato molto».
Fu il professor Ernesto D’Aloja, riascoltato a lungo ieri dopo la professoressa Cattaneo – e chiamato in primo grado a riferire sui reperti “scomparsi” e sulla autopsia – a chiedere di riesumare il cadavere già nel 2001 per valutare possibili lesioni su Serena. «L’analisi della “frattura composta e tripartita” dell’arcata zigomatica di Serena mi ha consentito di dire che a monte c’era un impatto contro una superficie piatta e sufficientemente ampia» afferma D’Aloja. Anche la lesione lacero contusa sul sopracciglio è compatibile con l’impatto contro una superficie ampia, continua.

Sottolineando che prima ancora che si parlasse della porta come possibile arma del delitto, la conclusione a cui era giunto era proprio quella di una superficie «ampia e piatta». L’ingegnere Remo Sala, che invece venne incaricato di eseguire le analisi sulla porta “incriminata”, ha poi riferito di una «coerenza tra la frattura cranica e la rottura della porta». Forti le contestazioni delle difese degli imputati, che sostengono invece la compatibilità con un pugno sferrato con forza. Si torna in aula il 7 dicembre per ascoltare il Ris sull’impronta rilevata sullo scotch che avvolgeva i polsi e le gambe di Serena. E altri consulenti chiamati a riferire sulle valutazioni merceologiche e chimiche sul legno e sui nastri.

( Fonte Ciociaria Oggi )


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