[…] “Ma Brecht, testardo chiedeva perché/ il ricco vuol tutto avere per sé/ e ora va in esilio./ […] E presto tutti han visto chiaro/ che certe smanie costan caro: / riducono la gente a mal partito,/ sicché beato chi non ha!” (Canzone di re Salomone ovvero La ballata degli alti papaveri” in Poesie dalle opere teatrali).
PARASITE del regista coreano Bong Joon Ho non è semplicemente un film ma IL film. Istruttivo per chiunque,oggi, depreca e combatte la dilagante povertà e indigenza individuale e social. Prescrittivo per chi assiste inerte al dramma della disuguaglianza, della precarietà economica,della disoccupazione-occupazione. Nel segno di un’amara, paradossale ironia coniugata con una commedia degli equivoci ai limiti dell’inverosimile,il film ci conduce nell’infermo di un oggi agghiacciante e allucinante, sconfinando nell’insostenibile pesantezza del tragico. D’accordo,la tragedia greca non c’entra ma il Fato e la Yubris
(=violenza,prepotenza,sopraffazione.oltraggio, sic in greco),in certo qual modo sì,questa consumata a danno della povera gente.quello identificabile con l’ingiustizia della Storia (politica,economica). Quel “popolo di sotto” cantato dal Porta (e non la Manzoni) che smadonna e bestemmia contro i potenti sempre più ricchi, costretto ad arrangiarsi per sopravvivere, schiacciato e privato fin nei suoi diritti più elementari. Compatito dal Verga i cui “vinti”, attenzione, non sono tali per colpa di un oscuro e inevitabile fato ma,più credibilmente,perché vinti cioè oppressi e fatti fuori da una inflessibile legge economica. Per tale motivo,comprensibilmente, i poveracci non sono gentili o educati come possono esserlo i ricchi ai quali “non costa niente essere gentili” (una battuta del film). Il film è un viaggio doloroso e lacerante nell’inferno di un paese della Corea del Sud, un inferno che potrebbe essere anche il nostro se gli elettori di una destra assai mal-destra (idem in Europa) non si accorgono o rimuovono vigliaccamente quanto sta accadendo, economicamente e non (vedi il vergognoso sfregio del caso Segre,annessi e connessi). La famiglia del film (padre,madre,due figli,maschio e femmina), con uno stratagemma geniale benché diabolico, riesce ad allogarsi stabilmente presso una famiglia molto ricca,in una casa lussuosissima facendo fuori gli “inservienti” precedenti. Al punto da poter dire con sollievo (il padre) che “finalmente abbiamo un posto fisso”! Come in ogni racconto, in teatro, al cinema i nodi vengono al pettine, si scoprono le magagne e i truffatori, le cose si complicano: la casa,a poco a poco,si rivela una casa degli orrori con un sotterraneo-bunker in cui vive, segregato da anni, un uomo (marito della defenestrata governante originaria),ovviamente,all’insaputa dei signori. Questi sarà il castigamatti, l’ “angelo sterminatore” dei ricchi il cui posto verrà rimpiazzato dal padre dei “parassiti” usurpatori. La metafora è chiara: il bunker è l’altra faccia dell’inferno di superficie,il luogo in cui sono condannati a vivere i reietti, coloro che mai fur vivi essendo stata negata loro la vita, una vita possibile e umana in cui non si è costretti a rinunciare alla propria identità. Contrappunto catastrofico dell’inferno sotterraneo l’allagamento di una zona periferica della città, una bidonville sommersa da un diluvio universale le cui immagini e sequenze sono terrificanti: una potente,tragica metafora di una condizione sociale travolta dalla inondazione della “crudeltà mentale” della politica e degli uomini di pessima volontà. Essa suggerisce qualcosa di estremamente drammatico: siamo tutti in un mare di merda.Film potente,eloquente e graffiante come non è neanche il superlativo “Joker”, che parla dell’oggi e della violenza dilagante e distruttiva,certo, ma si ferma là. In “Parasite” la violenza e la perversione di una società deviata e corrotta -dal Male o Fato- la vivi rabbrividendo fino alle midolla.(gmaul)


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