Baseball, un libro di Pio Trippa e Camillo Palma dedicato al grande campione nettunese Bruno Laurenzi

488

di Carlo Eufemi
Dirigente Scolastico
BRUNO, UN CAMPIONE, UN AMICO.
Andavamo a giocare all’Ina casa, dal nome dell’assicurazione che le aveva costruite. Una strada cieca, che finiva dove iniziavano i prati incolti del quartiere, allora avamposto dei sentieri, tra olmi e rovi di more, che conducevano verso la macchia di Foglino. Dicevamo di abitare a Cretarossa. In realtà il toponimo indica più propriamente il villaggio di case basse vicino al mare, che, a quel tempo, non era stato ancora violentato dall’avanzare del cemento. In quella strada, sotto casa di Bruno e protetti dallo sguardo discreto e vigile di sua mamma Michelina, e dalle altre donne del quartiere, facevamo i nostri tanti giochi, palla impero, zompacavallo, guardie e ladri, le sfide con le biglie e con le ” birrette” (i tappi delle bottiglie). E mazzapicchio, il baseball rudimentale giocato con attrezzi ricavati dai manici di scopa.
I più bravi, poi, costruivano dei picchi (trottole di legno), che grazie ad uno spago abilmente impiegato si lanciavano a terra facendoli
roteare a velocità impensabile. Per le gare che impegnavano tutti insieme i ragazzini del quartiere c’era invece “la rena”, un grande
spazio sabbioso, adiacente alla prima piccola Chiesa di S.Anna, che si estendeva tra il campanile realizzato su impalcature metalliche e la quercia, unico grande albero e per questo apparentemente maestoso sul ciglio della strada provinciale, di fianco al negozio di zio Gino. Alla “rena” si giocavano epiche partite di calcio, le più partecipate quelle tra scapoli e ammogliati (si marcava ancora la differenza..), ma il campo era anche il luogo delle sfide infinite a “guerra francese” dove si fronteggiavano due squadre composte da un numero indefinito di giocatori che si rincorrevano con incursioni nel campo avversario con l’obiettivo di liberare i compagni o di imprigionare gli avversari. E poi si giocava a baseball, con pochi guantoni di cuoio e tanti di cartone, una o due mazze di legno (guai se si rompevano) e qualche palla con le cuciture consunte, recuperata dai fuoricampo dei campioni allo stadio del baseball. Il baseball era nel sangue, bastava una piazzetta, un piccolo prato, la spiaggia, un cortile, per esercitarsi nei fondamentali di lanci e battute. Questo strano sport, frutto della contaminazione americana, aveva cominciato ad attecchire a Nettuno in tempi recenti, nel 1946, dopo lo sbarco, con una squadra costituita alla scuola di Polizia, per merito di uomini appassionati che diedero vita all’epopea sportiva amata da tutti noi. Ed era esploso con una velocità incredibile che coinvolse tutta la popolazione che accorreva sempre in massa a seguire le imprese dei propri beniamini. In America si giocava il baseball da prima della metà del diciannovesimo secolo ereditato da giochi rudimentali affinati nel tempo, che possiamo far risalire addirittura a duemila anni prima dell’avvento di Cristo.
Il baseball, tra tutti gli sport, è il meno istintivo, il più complesso e creativo, corale e individuale allo stesso tempo. È un esercizio educativo completo, una scuola di lealtà, che esalta il singolo e affina tattica e strategia, può essere giocato da atleti potenti ma non sfigurano i meno dotati nel fisico ma ricchi di intelligenza esplosiva, di furbizia, capaci di decisioni rapide e vincenti. E perciò, non a caso, nel periodo di ricostruzione di un Paese dilaniato dalla guerra e dalla povertà ben
si confaceva alla costruzione di mentalità vincenti e ricche di speranza per un futuro immaginato e tutto da concretizzare. Gli anni d’oro del baseball nettunese non potevano non coincidere con il periodo grandioso della rinascita di Nettuno nei primi anni ’50 con giocatori mitici i cui nomi sono impressi nella memoria collettiva di un popolo, con dirigenti sportivi che spesso coincidevano con gli uomini che rivestivano le massime cariche cittadine, con campioni indimenticabili che da oltreoceano venivano ad osservare lo sviluppo
del fenomeno sportivo e sociale del baseball nettunese.
Ho avuto la fortuna di ritrovarmi tra le mani i ritagli ingialliti, ritrovati a suo tempo nel retrobottega del negozio di famiglia, scritti da mio padre che in quegli anni era corrispondente del “Momento Sera”. Sono cronache emozionanti di imprese sportive di atleti uniti e forti che vincevano campionati nazionali a raffica superando le formazioni delle grandi città del nord e della capitale, riempiendo di spettatori, negli incontri casalinghi, il primo stadio italiano costruito solo per il baseball, nel 1951, quello mitico di Villa Borghese. Era nata così quella straordinaria avventura sportiva che ha contagiato fino ad oggi tutte le generazioni dei giovani nettunesi e che ha generato fucine di campioni, tra i quali il fenomenale Bruno Laurenzi, per rimanere all’omaggio che rappresenta questo bel lavoro di Pio Trippa e di Camillo Palma.
Con Bruno sono cresciuto, tra le strade e i campi, adattati a spazi sportivi, che abbiamo praticato da bambini e adolescenti. Giocare a
baseball con lui era un atto di coraggio. Lo ricordo come una specie di iniziazione per imparare a superare difficoltà e pericoli. Infilavo il guantone, andavo sulla strada sotto casa sua, distante poche decine di metri dalla mia, e mi immolavo a ricevere i suoi potenti e terribili lanci un pò “sottomano” con una tecnica unica che lo caratterizzò poi nel suo ruolo di catcher del Nettuno e della Nazionale. Devo dire, con orgoglio postumo, che li prendevo tutti, i lanci di Bruno, ma, se ci ripenso, ancora oggi mi brucia il palmo della mano sinistra. E soffrivo in silenzio, antesignano del più famoso Fantozzi. Con Bruno, poi, abbiamo spesso incrociato le nostre vite, in comitiva, nell’impegno civile e pubblico, nelle cene alla “come eravamo”, nelle cerimonie sportive in ruoli diversi ma complementari, negli incontri con i ragazzi della mia scuola. E in uno splendido viaggio lampo a Sala Baganza, Città che ha saputo tributare onori meritati ad un uomo che è orgoglio della nostra terra natia. Ed è rimasta immutata nel tempo l’amicizia e la stima. Non poteva essere altrimenti con un uomo così semplice e genuino, altruista e appassionato, amico e campione con cui ho avuto
la fortuna di crescere.
Sono grato, perciò a Pio e Camillo, cui mi legano stima ed amicizia, per avermi dato l’onore di presentare il loro affascinante viaggio
intorno ai successi di Bruno Laurenzi e del baseball Nettunese.


News-24.it è una testata giornalistica indipendente che non riceve alcun finanziamento pubblico. Se ti piace il nostro lavoro e vuoi aiutarci nella nostra missione puoi offrici un caffè facendo una donazione, te ne saremo estremamente grati.



Articolo precedenteIl Sindaco di Sabaudia esprime gratitudine e riconoscimento alla bagnina Noemi Marangon per il suo coraggio e impegno
Articolo successivoCS Cinzia Leone a Priverno
Paolo Iannuccelli è nato a Correggio, provincia di Reggio Emilia, il 2 ottobre 1953, risiede a Nettuno, dopo aver vissuto per oltre cinquant'anni a Latina. Attualmente si occupa di editoria, comunicazione e sport. Una parte fondamentale e importante della sua vita è dedicata allo sport, nelle vesti di atleta, allenatore, dirigente, giornalista, organizzatore, promoter, consulente, nella pallacanestro. In carriera ha vinto sette campionati da coach, sette da presidente. Ha svolto attività di volontariato in strutture ospitanti persone in difficoltà, cercando di aiutare sempre deboli e oppressi. É membro del Panathlon Club International, del Lions Club Terre Pontine e della Unione Nazionale Veterani dello Sport. Nel basket è stato allievo di Asa Nikolic, il più grande allenatore europeo di tutti i tempi. Nel giornalismo sportivo è stato seguito da Aldo Giordani, storico telecronista Rai, fondatore e direttore della rivista Superbasket. Attualmente è presidente della Associazione Basket Latina 1968. Ha collaborato con testate giornalistiche locali e nazionali, pubblicato libri tecnici di basket e di storia, costumi e tradizioni locali Ama profondamente Latina e Ponza, la patria del cuore.