Emergenza Covid-19, un giorno con i volontari del maresciallo Cestra

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L’appuntamento è la mattina al campo di volo alle porte di Sabaudia. Come ci insegnano le tecniche di guerra è sempre la periferia che soccorre il centro. E sì, sgomberiamo il campo da equivoci, quando le libertà personali sono ristrette, ci sono code ai supermercati, volano alla borsa nera beni come mascherine e disinfettanti, e, soprattutto, si deve stare tappati in casa, il termine guerra non è proprio stonato. E in prima linea, nella lotta a questo nemico invisibile e subdolo chiamato Covid-19, non ci sono soltanto medici e infermieri, ma anche volontari che, relegati ai margini della produttività imposta dal governo Conte, si sbattono per aiutare il prossimo, quello che è invischiato in casa, impossibilitato a muoversi per diverse ragioni. Enzo Cestra, maresciallo dell’Arma in pensione dal 2003, catechizza in questa mattina primaverile i volontari della giornata: è il briefing a debita distanza, poche parole ma dirette, come ordine militare comanda. I volontari sono distanti ma uniti, un po’ come recita lo spot che cadenza da giorni le nostre vite, provengono da diversi centri della provincia pontina per servire un fazzoletto che abbraccia Sabaudia, San Felice Circeo e Pontinia. Il maresciallo Cestra, coordinatore del Nucleo volontari e Protezione civile dell’Associazione nazionale carabinieri di Sabaudia 147, illustra la giornata, in stretto  contatto con la sede operativa del Comune di Sabaudia e con quella della Protezione civile regionale. Gianni da Norma, Luana da Latina e Daniele da Sabaudia ascoltano, non sono novellini ma la soglia dell’attenzione è alta, dettata da un momento che disorienta. Non ci sono all’orizzonte trombe d’aria che sconvolgono il quadro scenico dei territori, non ci sono incendi che scuriscono le gobbe dei versanti collinari, non ci sono lamiere distorte di auto accartocciate dopo sinistri stradali. Ma è sempre la solidarietà la molla che spinge i volontari a muoversi sul pick up, a strappare tempo agli affetti e alle riflessioni personali, e a confortare gli altri in un momento storico che disorienta chiunque.

La fettuccia d’asfalto che spacca il bosco del Parco nazionale del Circeo è deserta, eppure il sole in questo cielo morbido che richiama al mito invita a passeggiare ma le direttive all’interno dei decreti governativi non concedono sconti. Gli accessi a Sabaudia e lungo le vie principali sono pattugliati dalla polizia municipale mentre i carabinieri vagano per le vie cittadine a catechizzare e cazziare cittadini menefreghisti della propria e altrui salute. L’emergenza in questa terra baciata dagli dèi è lontana, anche se Fondi è a uno sbadiglio, si agisce per prevenire piuttosto che per curare. “Nei giorni scorsi siamo intervenuti nella zona della Zeffiro a Sabaudia – racconta Cestra -, per prevenire l’emergenza idrica di questo momento abbiamo portato 8 autobotti d’acqua al giorno per un totale di 5 giorni, per servire le 40 famiglie che vivono stabilmente in quel residence”. Il numero per chiedere aiuto è diretto, anche se qualche telefonata viene smistata tra i diversi centralini operativi, si ascoltano tra le richieste più bizzarre e fughe filosofiche (“marescià, secondo me l’ultimo decreto del governo è fatto male. Come faccio io a dichiarà nell’autocertificazione che non c’ho il coronavirus se nessuno m’ha fatto il tampone?” chiede una signora da Roma) fino alla routine. In un agglomerato di villette, le tante spuntate su strade sconnesse tra San Felice, Sabaudia e Terracina, una donna chiama, poi invia su WhatsApp un elenco dettagliato per la spesa, ha un bimbo con handicap e non può muoversi da casa, chiede un aiuto: la wishlist è basica, 15 casse d’acqua, carne e detersivi a go go più le immancabili crocchette per un elemento che ormai fa parte stabile della famiglia.

 

Il cielo del lungomare non è sporcato nemmeno dai gabbiani, i ristoranti sono chiusi e non ci sono resti da beccare, anche il lago si apre a una rappresentazione malinconica, con le sue sei corsie disegnate a pelo d’acqua per il campo gara di una Coppa del mondo di canottaggio che è stata annullata, schiaffeggiano le onde minuscole i remi di due canoe dietro le correzioni tecniche nemmeno tanto convinte lanciate da un motoscafo. Non c’è vita, è tutto sospeso, ogni cosa è rimandata chissà a quando. Ecco, solo una coppia clandestina che s’è data una punta sul belvedere, perché i telefonini per queste cose non bastano. La fila ai supermercati è blanda mentre agli uffici postali la coda è lunga, qualcuno sul marciapiede si lascia trascinare dal cane per ossigenarsi, i carabinieri fronteggiano due maghrebini che con sufficienza giustificano la loro presenza in strada. Non è la descrizione di un paesaggio distopico di una ghost town, la vita in una piccola cittadina di provincia è blanda, anzi, sembra uguale a tante altre giornate, con la pigrizia in cima ai vizi capitali. Sciocchezze per un nucleo che conta tra i suoi interventi anche l’operatività nei terremoti de L’Aquila, l’Emilia e Amatrice. Si è in trincea, armati di mascherina sulla faccia, in attesa che il nemico invisibile sbarchi anche qui.


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