Le arti nella civiltà romana

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Augustus von Prima Porta (20-17 v. Chr.), aus der Villa Livia in Prima Porta, 1863

L’arte romana come espressione originale ebbe inizio nel sec. II a.C. In precedenza i romani avevano accolto apporti massicci da parte degli etruschi, e poiché l’arte etrusca era già ampiamente ellenizzata attraverso il contatto con l’area magno-greca, essi mutuarono canoni e forme del mondo artistico greco ancor prima di venire a contatto con l’Oriente ellenistico. Meno rilevanti, anche se non trascurabili, furono i contributi degli altri centri italici e in particolare laziali.
Sullo scorcio del II sec. a.C., dopo la presa di Siracusa, e via via durante il secolo successivo con le conquiste dell’Oriente, le opere d’arte elleniche affluirono a Roma in gran numero, s’intensificarono i contatti con le civiltà più evolute e si trasformarono profondamente i più semplici e tradizionali costumi dell’età regia e dei primi secoli della repubblica.
Nonostante la crescente ammirazione per le raffinate produzioni artistiche importate, nell’ambito di un processo graduale di ellenizzazione, perdurò tuttavia (almeno “ufficialmente”) un certo disprezzo per l’esercizio della pittura e della scultura, considerate arti manuali, indegne di un cittadino romano, mentre di maggiore considerazione godette l’architettura, per le sue funzioni di pubblica utilità e di rappresentanza.

LA SCULTURA
Nella prima età repubblicana Roma non ebbe una produzione propria, ma si valse di artisti forestieri, sopratutto etruschi, ma anche greci, per la statuaria destinata alle esigenze cultuali e celebrative. La larga diffusione della ritrattistica onoraria (statue iconiche) attesta fin dalle origini l’interesse romano per il ritratto; e proprio in questo campo si ebbero in epoca siliana, le prime testimonianze della scultura (l’Arringatore del Trasimeno). In essi prevale, a differenza dei ritratti tardoellenistici, una resa estremamente differenziata dei tratti fisionomici.
Ai tempi di Cesare, artisti greci trapiantarono a Roma la tradizione ellenica, influenzando tra l’altro la ritrattistica che, pur senza rinunciare al verismo, si fece più raffinata e più colta, talvolta riproponendo la vivacità e varietà di espressione propria del “patetico” e del “pittorico” della scultura ellenistica.
Nei resti del fregio della Basilica Emilia (55-54 a.C.) è già presente quella fusione di elementi romani e greci che porterà, in epoca augustea, alla ben più matura realizzazione dell’Ara Pacis (dedicata nel 9 a.C.), in cui, come nei ritratti di Augusto, la concezione storica e simbolica è romana, ma espressa con un linguaggio grecizzante, in una ripresa virtuosistica della perfezione formale classica. Essa rappresenta quel filone della documentazione artistica con valore propagandistico e ufficiale che è stato definito “arte colta”.
L’indirizzo classicheggiante proseguì nel periodo giulio-claudio, mentre aspetti più popolari continuarono a manifestarsi nella ritrattistica non ufficiale, in particolare nei rilievi funerari.
Sul finire del I sec. d.C. i rilievi dell’arco di Tito, che inaugura un linguaggio figurativo con formulari tipologici fissi rivelano un nuovo illusionismo spaziale e un senso coloristico che è tipico dell’arte flavia.
La tradizione greca e quella romana del rilievo storico si fuse in uno splendido equilibrio nella complessa successione figurativa della Colonna Traiana, istoriata con gli eventi delle guerre daciche: pur nella puntuale documentazione storica, esse esprime una forte carica epica, non più rintracciabile con la stessa coerenza nella scultura delle età successive. Il classicismo infatti ricevette nuovi impulsi a opera di alcuni imperatori filo-elleni come Adriano (celebri i ritratti di Antinoo), ma un certo disorientamento espressivo non tardo a rivelarsi anche in opere come la statua equestre di Marco Aurelio, proprio per l’abuso dei modelli greci evidente nell’esasperata ricerca formalistica.
Dalla fine del II sec. In poi s’accentuarono le tendenze a un esasperato espressionismo, a una disorganicità che era innata qualità italica e che riceveva un nuovo impulso, specialmente in certe regioni, dagli apporti barbarici. Manifestazioni autonome furono sempre più frequenti nelle province: dalla scultura decorativa, dalla scultura e dai rilievi della Scuola di Afrodisia (i cui artisti lavorarono in tutto il mediterraneo e sopratutto a Roma) a quella funeraria di Palmira (stele palmirene si trovano al museo di Damasco ma anche in altre collezioni).
Durante la tetrarchia si affermarono le sculture massicce, stereometriche ( gruppi in porfido dei Tetrarchi a Venezia e in Vaticano), mentre con Costantino si tentò un recupero della classicità, ricercando una maggiore organicità di struttura e un modellato più morbido.
Sempre più evidente fu nel sec IV il frazionamento dei centri artistici e culturali favorito da quello politico, anche se si imposero due correnti fondamentali; la occidentale, più disorganica, dura, espressionistica; l’orientale, più vicina alla tradizione ellenistica ma incline a modi ieratici che confluirà nell’arte bizantina.

LA PITTURA
Le fonti letterarie attestano il fiorire, dal sec. III a.C. della pittura trionfale, con valore narrativo e storico con cui si illustravano al popolo le guerre vittoriose.
Nel sec. I a.C. la pittura romana si staccò dalla tradizione etrusco-italica e si accostò alle fonti greche. Le testimonianze pittoriche a noi giunte provengono in massima parte dalle decorazioni parietali di Pompei e di Ercolano, convenzionalmente suddivise in quattro stili.
Anche Roma ci ha trasmesso numerose documentazioni, tra cui le cosiddette Nozze Aldobrandine (fine del I sec. a.C) che ripetono un modello ellenistico come sempre nei soggetti mitologici.
Dell’età augustea e anche il celebre fregio della villa dei misteri presso Pompei, ben conservato, probabilmente raffigurante un rito d’iniziazione al culto dionisiaco o un rituale legato alle nozze.
Caratteristico del periodo claudio-neroniano fu il gusto naturalistico e illusionistico, testimoniato, oltre che a pompei a ercolano, dalla raffigurazione di un giardino della villa di Livia a Prima Porta. Nella Domus Aurea dove operò Fabullo, uno dei pochi pittori di cui sia giunto il nome, la decorazione comprendeva quegli elementi fantastici, bizzarri, presenti anche nel 4 stile pompeiano, che furono condannati da Vitruvio come espressione di stravaganza e di cattivo gusto, e che dopo la scoperta archeologica del ‘500 furono denominati “grottesche”.
Contemporaneamente alla decorazione parietale si sviluppò anche quella musiva dei pavimenti, che continuò a essere coltivata con risultati pregevoli quando la pittura era in crisi. L’arte del mosaico, anch’essa di origine ellenistica, fiorì in tutte le province; esempi di elevata qualità furono rinvenuti ad Antiochia, a Piazza Armerina in Sicilia, nell’Africa Settentrionale etc. Interessanti manifestazioni pittoriche, con l’innesto di apporti romani sulla tradizione locale, si ebbero in Egitto con la serie dei ritratti del Fayyum, che consentono di seguire l’evoluzione degli stili romani dell’iniziale verismo all’astrattismo del tardo impero, e nelle decorazioni parietali di Dura Europos, centro carovaniero ai margini del mondo classico dove gli elementi semitici ed ellenistici si fondono con quelli romani.
Con l’affermarsi della religione cristiana, infine, si diffuse ampiamente la pittura catacombale, dalla pennellata rapida, sommaria, spesso con una forte impronta di carattere popolare.
Guglielmo Guidi
Storico d’arte.


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