piazza San Pietro

ROMA – Roma città apertissima. Ai tempi del coronavirus la città eterna è una metropoli desolata, baciata dal sole, preda dei gabbiani che sfuggono alle maglie, strettissime, delle forze dell’ordine. Una giornata a Roma per chi ha il passepartout del giornalista è obbligatoria, confezioni un reportage da tramandare ai posteri, come se fossi testimone di un set distopico, solo che qui non esiste una produzione di celluloide, c’è una realtà che fa a cazzotti con l’anima di chi ne è testimone.

piazza dei Cinquecento

Già la stazione Termini è un non luogo, la stazione ferroviaria più caotica d’Italia è catapultata in un altrove temporale, è vuota, pigra, frastornata. Accarezzi l’idea letteraria che la storia rievoca i fondali di ordinaria latinoamericanità, con tutti quei blindati e soldati piazzati ai varchi del centro, con gazzelle e pantere che sgommano sui sampietrini baciati dal sole, con i pizzardoni a rimpiangere il traffico aC (ante coronavirus). Sfrecciano le biciclette, le assolute padrone della quiete di una Roma immobile, coi veri padroni rappresentati dai clochard, dagli artisti e dai venditori ambulanti che non hanno un tetto e che sfanga(va)no la giornata catturando i turisti. E già, il turista. Lo ritrovi nell’accento siciliano dei giovani bersaglieri col fez che presidiano piazza del Popolo, ma questi sorridono, al pari dei poliziotti che usano le lame d’asfalto come se stessero testando il circuito cittadino per una ventiquattrore capitale.

via del Corso

Ecco, la grande differenza tra i mezzi camouflage piazzati nei punti nevralgici coi ricordi delle dittature militari sudamericane è che le forze dell’ordine sono gentili, hanno l’anima del popolo, pur stando all’aria aperta forse soffrono come i comuni mortali che sono costretti a rintanarsi negli appartamenti. Per la prima volta scorgi nudo il rettilineo che unisce piazza Venezia con piazza del Popolo, ti verrebbe voglia di correre, coprire quella distanza, ideare una gara podistica quando si tornerà alla normalità. Il cielo è limpido, quasi porcellanato, piccioni e gabbiani si contendono i pochi avanzi gettati nei cestini svolazzanti, Roma non è mai stata così pulita. A via della Frezza rimpallano tra le mura le note di True Faith dei New Order, sono sparate in modo pacato, si posano sui terrazzi che farebbero invidia alle orangerie, ma non s’affaccia nessuno e nessuno canticchia. Sembra di essere catapultati nella Roma di Ferragosto negli anni ’70, quando le città italiane si svuotavano solo un mese, quando le ferie erano contingentate in un periodo preordinato, oppure sono istantanee che ti rimandano a un periodo interlocutorio, tipo la fine degli anni ’40, quando il diktat era ricostruire e circolavano poche auto.

piazza di Spagna

La scalinata di piazza di Spagna ha assorbito ogni suono, ma non lo riecheggia, lo tiene per sé, lo vomiterà di nuovo chissà quando. Ecco cosa manca a questa città, manca l’anima. E non la recuperi nemmeno sui ponti del Lungotevere, con quel traffico delle quattroruote ridotto al minimo sindacale e con le chiatte che sembrano incollate alle acque del fiume, finché sbuchi in via della Conciliazione e lo scenario da fine del mondo ti si para davanti agli occhi. I lati che portano alla casa del Dio cristiano conoscono la presenza di quell’umana varietà che resiste dai tempi de In nome del Papa Re, ci rinunciano anche le forze dell’ordine a scacciarli per far rispettare i decreti ministeriali, quelli non saprebbero dove sbattere le loro ossa e continuano a vivacchiare in attesa che tutto torni alla sua straordinaria ordinarietà.

piazza San Pietro

I ritrattisti, senza mascherina e guanti ma armati di matita e foglio bianco, osservano in ispirazione beckettiana l’Obelisco vaticano, ingolfato di militari assortiti, ma spoglio di fedeli e turisti in una piazza San Pietro assolatissima. Anche Dio è al ribasso in un momento come questo, anche i suoi rappresentanti hanno abdicato nei confronti di una scienza che però non incassa la fiducia del popolino. Il silenzio è ovattato, irreale, non ci sono i clacson a ricordarci che ci troviamo in una metropoli, non ci sono i coloriti vaffanculo e mortaccitua negli incroci stradali, non ci sono le folate dei motorini che ti sfrecciano accanto, manca il colorato frastuono delle bancarelle e la romanità nei negozi e nei bar. Resistono solo gli operai che si ficcano nelle viscere di Roma, il progresso non aspetta, trapana il sottosuolo per presentare linee rinnovate della metropolitana, quelli sono seguiti dagli sguardi assenti degli edicolanti, le vere sentinelle di una città addormentata che domani si sveglierà con l’anima infeltrita, disorientata da quello che nessuno dice.


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