“Storie di Vita” di Luciano Finocchioli

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Castel Sant’Angelo (o Mole Adrianorum o Castellum Crescentii nel X-XII sec.), detto anche mausoleo di Adriano, è un monumento di Roma, situato sulla sponda destra del Tevere di fronte al pons Aelius (attuale ponte Sant’Angelo), a poca distanza dal Vaticano, tra il rione di Borgo e quello di Prati; è collegato allo Stato del Vaticano attraverso il corridoio fortificato del “passetto”. Il castello è stato radicalmente modificato più volte in epoca medievale e rinascimentale.

E’ qui che ha vissuto Luciano Finocchioli autore del libro di poesie “Storie di Vita”.

Castel Sant’Angelo ha ispirato personalità, registi e cantautori nel corso della storia. La sua terrazza è il punto da cui la Tosca si getta nel terzo atto della celebre opera di Puccini.

Così l’autore si è inspirato per i suoi “canti”.

La poesia di Luciano Finocchioli si presenta subito al mondo (e al lettore) come una sfida, riflettendo l’intemperie culturale di un tempo che è ancora anche il nostro, e facendosi portavoce di una nuova personalità intellettuale cui non importa di compiacere gli altri o cedere a una facile omologazione.
L’autore rivendica il fatto che lui scrive poesie anche se il mondo non ha bisogno delle sue poesie: lui scrive poesie per essere, per esistere.
Il ragionamento, come tutti i ragionamenti logici, va dal generale al particolare seguendo un procedimento ineffabile.

Anche se nel mondo sembra non esserci spazio per la poesia (e per i poeti), la poesia – a dispetto di tutto – esiste e rivendica sé stessa anche in una società dove la superficialità sta prendendo il sopravvento sull’interiorità. Il mondo non ha bisogno di poeti, ma per fortuna i poeti esistono e la poesia è immortale poiché nasce con l’uomo stesso e si sviluppa con il suo desiderio di comprendere, capire e interpretare la realtà. Una cosa ormai è evidente, che si scrive molto di poesia, la si analizza, ad esempio i supplementi libri dei quotidiani cartacei ne scrivono come mai prima d’ora.
Come se ci fossimo accorti che scrivere di poesia è liberatorio; perché i lettori, nonostante tutto, pensano che spendere soldi per dei libri di poesia sia inutile.

In questa raccolta sono presenti tutti i temi più cari allo scrittore ed anche il caleidoscopio di sentimenti che ad essi sapeva accompagnare.

La poesia di Luciano Finocchioli è profonda, malinconica. Leggere i suoi versi è fermare il tempo per meditare sulla condizione di un’umanità verace come ammirare le pitture di un pittore osservando i personaggi che in esse compaiono e scoprirne lo stato d’animo; come stare affacciati a una finestra, spettatori di ciò che succede nelle strade di un quartiere popolare, oppure seduti sul gradino più alto di uno scalone d’ingresso in assorta contemplazione ognuno dei piccoli eventi che si verificano sotto i vostri occhi e tutto ciò che avviene in uno spazio più o meno ristretto in un tempo più o meno breve.

Leggere le poesie di Finocchioli è, ancora, come concentrare l’attenzione su quella grande moltitudine di accadimenti minuti che non di rado passano inosservati, soprattutto su quelli che si muovono dentro quadretti di piatta quotidianità, di cose semplici, di elementare gestualità.

L’autore riesce a stupirci con quel suo confidenziale verseggiare e da confessione accorata che tende alla scrittura in prosa.
La sua è una poesia che sa ‘raccontare’ in modo inequivocabile, diretto, talmente chiaro ed esplicito da suscitare profonde riflessioni, in momenti di malinconica solitudine o di stralunato, pensieroso ragionare.

Il messaggio contenuto nei suoi versi viene filtrato da uno stile letterario scarno ed essenziale: per i più, soprattutto per l’uomo della strada. Chi legge l’opera dello scrittore si avvicina, certo non senza dolorosa riflessione, alla consapevolezza che dietro ogni esistenza umana si trovano molto spesso male di vivere e angoscia, quella stessa che il poeta descrive.

Alessandra Trotta ( Giornalista e Scrittrice )


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