Le Interviste Impossibili

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Le  interviste impossibili

Sergio Salvatori incontra Renato Cartesio, Pietro Consagra, Ugo Mulas

 

L’intervista, confronta tre diverse energie creative e offre al pubblico un punto chiarificatore sul loro pensiero; si svolge a Roma, a Villa Sciarra, nelle vicinanze del Gianicolo, si è scelto questo luogo per dar modo agli intervistati di poter riflettere e rispondere alle domande con calma, immersi nel silenzio della natura.

S: Professor Renato Cartesio, le sta bene che la chiamo Renato?

C: le dico che nella mia lingua il francese, sarebbe René Descartes, è in latino che si dice Renatus Cartesius, ma va bene anche in italiano Renato Cartesio.

S: Professor Renato Cartesio, che ci può dire di più di quello che si sa già sul suo pensiero, in altre parole, a noi interessa sapere se esiste la possibilità di un nuovo metodo conoscitivo degli studi scientifici?

C: le posso dire che già prima di me Francesco Bacone, il filosofo, giurista e saggista inglese, aveva rifiutato la tradizione aristotelica e scolastica, e la filosofia rinascimentale aveva messo in risalto la centralità del concetto di natura, per un rinnovamento degli studi scientifici. Ecco, io propongo una completa matematizzazione della natura.

S: lei Cartesio, ci ha già fornito un resoconto poetico, nei suoi frammenti giovanili, di quell’entusiasmo che lo ha colto di fronte alle possibilità che l’applicazione della matematica agli studi naturalistici inaugurava, per una riforma del sapere. Una consolidata tradizione storica Professor Cartesio, la vede come il padre della metafisica moderna; la sua rottura con i metodi scolastici, enunciata nel Discorso sul metodo, assurge a manifesto di una rivoluzione del pensiero?

C: fin dall’Ottocento Friedrich Hegel  ha riconosciuto il merito di aver posto un saldo principio razionale di unità tra “essere e pensiero”, dopo la crisi nella filosofia o nella teologia del Medioevo, incentrata sul principio di “autorità”.

S: cosa ci dice Professor Cartesio del principio primo della filosofia, in grado di sottrarre la verità metafisica al dubbio scettico?

C: le rispondo cosi: “Io penso dunque sono”.

S: ci dica delle passioni dell’anima, amore e odio?

C: amore e odio fanno parte, con l’ammirazione, il desiderio, la gioia e la tristezza, delle sei passioni “semplici e primitive”, dalle quali tutte le altre risultano composte: la collera, per esempio, è una violenta forma d’odio combinato con il desiderio e unito all’amore per se stessi.

S: ultima domanda professor Cartesio, a lei è stata spesso rimproverata (per esempio da Pascal) un’indifferenza in materia religiosa, al di là della ostentata adesione al cattolicesimo, lei ci si riconosce?

C: dirò così, per molti versi mi avvicino a Montaigne, più che altro nella morale, quel misto di moderato scetticismo e di prudente stoicismo, un saluto a lei ed ai suoi lettori; vorrei però porle io una domanda: “Chi sono i propretari di questa stupenda Villa?

S: All’inizio la proprietà era dei Barberini dalla metà del XVII secolo e quindi di Maffeo Sciarra, venne in seguito trasformata (1902) dal nuovo proprietario Giorgio Wurts, (un americano appassionato di giardini) secondo il gusto neobarocco in voga in quel periodo, e consegnata (1930) dagli eredi a Benito Mussolini, ma la moglie Henrietta Wurts dopo la morte del marito pose la condizione che sarebbe stata destinata a Parco Pubblico.  Nel primo decennio del duemila, sono stati effettuati dei restauri che hanno riportato la Villa all’antico splendore. Grazie professor Cartesio che mi ha concesso l’intervista.

S: Maestro Pietro Consagra, per lei è uguale se la intervisto unitamente al fotografo Ugo Mulas?

P- C: sono d’accordo anche perché Ugo Mulas è il mio fotografo, ma siccome anche tu che m’intervisti sei un artista diamoci tutti e tre del tu.

S: va bene, grazie, sei gentile. Pietro, ti chiedo, che rapporto c’è fra te e il tuo fotografo d’arte Ugo Mulas?

P: dobbiamo innanzitutto non lasciarci confondere dall’espressione “fotografo d’arte”.  Perché potrebbe lasciar pensare ad un fotografo che usa il proprio mezzo per trarne effetti estetici autonomi, usando in modo indifferente qualsiasi materiale a propria disposizione; si possono fare foto d’arte usando degli oggetti disposti a casaccio, un ferro arrugginito, e così via.  Qui invece “fotografo d’arte” significa “fotografo che fotografa opere d’arte altrui”.  In ogni modo Mulas, non è un fotografo di opere finite, ma un fotografo di artisti al lavoro.

S: perciò possiamo dire che Mulas, è colui  che invece di raccontare il gesto dell’artista, racconta il gesto di chi vedrà, lo anticipa; in lui esiste una tendenza, una buona disposizione alla “classicità”, che fa intendere il suo lavoro come la ricerca di momenti che creano una situazione di favore.

S: Consagra tu sei scultore e scrittore, sei definito dalla critica internazionale uno dei più importanti esponenti dell’astrattismo, che ci dici in proposito?

P: a dicono così?  Io nel 1944 da Palermo mi sono trasferito a Roma, dove ho aderito all’astrattismo e ho partecipato con il “Gruppo Forma 1” nel 1947, che rivendicava “la libertà di essere ad un tempo marxisti e formalisti”, in altre parole astrattisti; con loro andavo pure all’Osteria dei Fratelli Menghi, noto punto di ritrovo per pittori, registi, sceneggiatori, scrittori e poeti, tra gli anni quaranta e settanta, lo conosci anche tu giusto Sergio?

S: certo la conosco, è chiamata anche l’Osteria dei Pittori, c’incontri pure attori e musicisti e si trova in Via Flaminia 57, dove oggi c’è il caffé dei Pittori, a 300 metri da Piazza del Popolo; in questo luogo Italo Calvino iniziò a scrivere la celebre opera “Il barone rampante”, pure Picasso ha frequentato questo spazio, come pure Emilio Vedova, Antonio Corpora, Anna Magnani, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Roberto Rossellini, Palma Bucarelli, Miriam Mafai, Alberto Moravia, Carla Accardi,  Turcato, Mario Mafai, che usava disegnare o dipingere sui tovaglioli e sulle tovaglie dei Menghi, imitato da altri artisti come Piero Dorazio, Giulio Turcato e tanti altri; inoltre, fino al 25 febbraio di questo periodo 2022, c’è stata una collettiva di arte contemporanea, che ha omaggiato l’osteria dei pittori, si è svolta presso la Galleria “La Nuova Pesa”, da un’idea di Roberto Gramiccia.  Hanno partecipato molti artisti, ne citerò alcuni per una questione di spazio: Calabria, Caterina Ciuffetelli, Ceccobelli, Dessì, Di Stasio, Gandolfi, Levini, Limoni, Modica, Mulas, Mario Nalli, Nunzio, Pulvirenti, Giuseppe Salvatori, Sanna, Solendo, Silvia Stucky.  La rassegna ha preso volutamente a prestito il titolo del libro di Ugo Pirro che ricostruisce le vicende, gli incontri e gli scontri degli artisti di cui stiamo parlando, è come aprire una luce su un periodo unico per Roma e per la storia dell’arte.

S: Mulas parliamo di fotografia, oppure se vuoi anche di scultura.

M: tanto lo so già, iniziamo a parlare di fotografia e poi finiamo a parlare di scultura. Per me è più facile parlare di fotografia, anche se, non è un argomento facile.  Ho iniziato (1962) a Spoleto ad occuparmi di scultura perché lì la mostra Scultura nella città, l’ha ideata e curata Giovanni Carandente, pietra miliare nella storia dell’arte del Novecento.

S: si ebbi notizia, era per il Festival dei Due Mondi, la rassegna ebbe grande risalto e vasta eco sui giornali di tutto il mondo, parteciparono 53 tra i più noti scultori del XX secolo, per un totale di 104 sculture collocate in tutti gli angoli della città; è tuttora considerata una tra le più importanti manifestazioni di scultura internazionale del secolo passato.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

S: Mulas che pensi, che attraverso la fotografia si possa raggiungere un giudizio più approfondito di quello che danno i critici sull’opera?

M: sono cose molto diverse, è chiaro che quello che si può fare con la macchina fotografica, non si può fare con nessun altro strumento.  Dico che forse, neanche con il cinema perché la fotografia ti porta a definire con precisione certi momenti.  Il cinema è più naturalistico, mentre la fotografia perde come la nozione delle cose circostanti per seguire il pensiero. Bisogna cercare di capire cosa si può dire di un artista.  Mi sono accorto che dopo aver lavorato a lungo con Lucio Fontana e aver fatto tante fotografie insignificanti, ho capito che avrei dovuto fotografarlo.

S: le foto per Pomodoro sui gioielli sono molto belle.

M: quello è un altro genere di lavoro.  E’ chiaro che ho cercato di fare delle buone fotografie che facessero capire come sono fatti questi oggetti.

S: Mulas, quando fotografi un pittore, cosa cerchi?

M: cerco una possibilità per uscire fuori di quella che è la foto di cronaca, e cerco anche di evitare il normale ritratto, il bel ritratto, perché quello che mi interessa è dare un’idea del personaggio in rapporto al risultato del suo lavoro, in altre parole, di capire quali dei suoi modi  e atteggiamenti sono decisivi rispetto al risultato finale.

S: cosa hai provato nel fare le tue prime fotografie?

M: ho provato gioia nel vedere le mie prime fotografie riuscite, ho scoperto in quelle immagini cose che non avevo previsto, e che erano entrate proprio in virtù del meccanismo, della macchina, dell’ottica, della chimica.

S: Consagra, come scultore cosa hai provato usando la fiamma ossidrica?

C: all’inizio era emozionante, perché significava la rottura con i sistemi tradizionali del modellare, poi è diventata significativa usata dai pittori.  Per esempio, la fiamma usata da Burri diventa più espressiva.

S: Pietro, cosa ti ha spinto a fare una scultura frontale?

C: ho pensato e voluto liberare la scultura dalla tridimensionalità, dal peso del suo bagaglio storico, per portarla ad un concetto essenziale, la scultura così stabilisce un rapporto più diretto, vicino allo spettatore.

S: Pietro, tu hai analizzato la situazione dell’artista nella società, sei stato chiamato dalla commissione delle Belle Arti sul nuovo disegno di legge per la Biennale di Venezia?

P: Ho analizzato la situazione dell’artista nella società e sono stato chiamato al Senato dalla commissione delle Belle Arti proprio per il nuovo disegno di legge per la Biennale di Venezia e ho spiegato il mio pensiero.  Ho chiesto un Senato di artisti. Sono rimasti sbalorditi, disorientati e facevano un po’ i distratti con me.  Lo Stato paternalista, pensa che gli artisti non siano capaci di amministrare un loro strumento. La Biennale deve essere strutturata in modo diverso, deve riconoscere l’intelligenza dell’artista.

S: Mulas finisco con te.  Cosa conta per fare una fotografia?

M: quello che veramente è importante, non è tanto l’attimo privilegiato, quanto individuare una propria realtà, dopo di che tutti gli attimi si equivalgono.

S: grazie Pietro Consagra, grazie Ugo Mulas, per il tempo che mi avete dedicato, è stato per me un grande onore parlare con Voi.

 

 

Le  interviste impossibili

Sergio Salvatori incontra Renato Cartesio, Pietro Consagra, Ugo Mulas

 

L’intervista, confronta tre diverse energie creative e offre al pubblico un punto chiarificatore sul loro pensiero; si svolge a Roma, a Villa Sciarra, nelle vicinanze del Gianicolo, si è scelto questo luogo per dar modo agli intervistati di poter riflettere e rispondere alle domande con calma, immersi nel silenzio della natura.

S: Professor Renato Cartesio, le sta bene che la chiamo Renato?

C: le dico che nella mia lingua il francese, sarebbe René Descartes, è in latino che si dice Renatus Cartesius, ma va bene anche in italiano Renato Cartesio.

S: Professor Renato Cartesio, che ci può dire di più di quello che si sa già sul suo pensiero, in altre parole, a noi interessa sapere se esiste la possibilità di un nuovo metodo conoscitivo degli studi scientifici?

C: le posso dire che già prima di me Francesco Bacone, il filosofo, giurista e saggista inglese, aveva rifiutato la tradizione aristotelica e scolastica, e la filosofia rinascimentale aveva messo in risalto la centralità del concetto di natura, per un rinnovamento degli studi scientifici. Ecco, io propongo una completa matematizzazione della natura.

S: lei Cartesio, ci ha già fornito un resoconto poetico, nei suoi frammenti giovanili, di quell’entusiasmo che lo ha colto di fronte alle possibilità che l’applicazione della matematica agli studi naturalistici inaugurava, per una riforma del sapere. Una consolidata tradizione storica Professor Cartesio, la vede come il padre della metafisica moderna; la sua rottura con i metodi scolastici, enunciata nel Discorso sul metodo, assurge a manifesto di una rivoluzione del pensiero?

C: fin dall’Ottocento Friedrich Hegel mi ha riconosciuto il merito di aver posto un saldo principio razionale di unità tra “essere e pensiero”, dopo la crisi nella filosofia o nella teologia del Medioevo, incentrata sul principio di “autorità”.

S: cosa ci dice Professor Cartesio del principio primo della filosofia, in grado di sottrarre la verità metafisica al dubbio scettico?

C: le rispondo cosi: “Io penso dunque sono”.

S: ci dica delle passioni dell’anima, amore e odio?

C: amore e odio fanno parte, con l’ammirazione, il desiderio, la gioia e la tristezza, delle sei passioni “semplici e primitive”, dalle quali tutte le altre risultano composte: la collera, per esempio, è una violenta forma d’odio combinato con il desiderio e unito all’amore per se stessi.

S: ultima domanda professor Cartesio, a lei è stata spesso rimproverata (per esempio da Pascal) un’indifferenza in materia religiosa, al di là della ostentata adesione al cattolicesimo, lei ci si riconosce?

C: dirò così, per molti versi mi avvicino a Montaigne, più che altro nella morale, quel misto di moderato scetticismo e di prudente stoicismo, un saluto a lei ed ai suoi lettori; vorrei però porle io una domanda: “Chi sono i propretari di questa stupenda Villa?

S: All’inizio la proprietà era dei Barberini dalla metà del XVII secolo e quindi di Maffeo Sciarra, venne in seguito trasformata (1902) dal nuovo proprietario Giorgio Wurts, (un americano appassionato di giardini) secondo il gusto neobarocco in voga in quel periodo, e consegnata (1930) dagli eredi a Benito Mussolini, ma la moglie Henrietta Wurts dopo la morte del marito pose la condizione che sarebbe stata destinata a Parco Pubblico.  Nel primo decennio del duemila, sono stati effettuati dei restauri che hanno riportato la Villa all’antico splendore. Grazie professor Cartesio che mi ha concesso l’intervista.

S: Maestro Pietro Consagra, per lei è uguale se la intervisto unitamente al fotografo Ugo Mulas?

P- C: sono d’accordo anche perché Ugo Mulas è il mio fotografo, ma siccome anche tu che m’intervisti sei un artista diamoci tutti e tre del tu.

S: va bene, grazie, sei gentile. Pietro, ti chiedo, che rapporto c’è fra te e il tuo fotografo d’arte Ugo Mulas?

P: dobbiamo innanzitutto non lasciarci confondere dall’espressione “fotografo d’arte”.  Perché potrebbe lasciar pensare ad un fotografo che usa il proprio mezzo per trarne effetti estetici autonomi, usando in modo indifferente qualsiasi materiale a propria disposizione; si possono fare foto d’arte usando degli oggetti disposti a casaccio, un ferro arrugginito, e così via.  Qui invece “fotografo d’arte” significa “fotografo che fotografa opere d’arte altrui”.  In ogni modo Mulas, non è un fotografo di opere finite, ma un fotografo di artisti al lavoro.

S: perciò possiamo dire che Mulas, è colui  che invece di raccontare il gesto dell’artista, racconta il gesto di chi vedrà, lo anticipa; in lui esiste una tendenza, una buona disposizione alla “classicità”, che fa intendere il suo lavoro come la ricerca di momenti che creano una situazione di favore.

S: Consagra tu sei scultore e scrittore, sei definito dalla critica internazionale uno dei più importanti esponenti dell’astrattismo, che ci dici in proposito?

P: a dicono così?  Io nel 1944 da Palermo mi sono trasferito a Roma, dove ho aderito all’astrattismo e ho partecipato con il “Gruppo Forma 1” nel 1947, che rivendicava “la libertà di essere ad un tempo marxisti e formalisti”, in altre parole astrattisti; con loro andavo pure all’Osteria dei Fratelli Menghi, noto punto di ritrovo per pittori, registi, sceneggiatori, scrittori e poeti, tra gli anni quaranta e settanta, lo conosci anche tu giusto Sergio?

S: certo la conosco, è chiamata anche l’Osteria dei Pittori, c’incontri pure attori e musicisti e si trova in Via Flaminia 57, dove oggi c’è il caffé dei Pittori, a 300 metri da Piazza del Popolo; in questo luogo Italo Calvino iniziò a scrivere la celebre opera “Il barone rampante”, pure Picasso ha frequentato questo spazio, come pure Emilio Vedova, Antonio Corpora, Anna Magnani, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Roberto Rossellini, Palma Bucarelli, Miriam Mafai, Alberto Moravia, Carla Accardi,  Turcato, Mario Mafai, che usava disegnare o dipingere sui tovaglioli e sulle tovaglie dei Menghi, imitato da altri artisti come Piero Dorazio, Giulio Turcato e tanti altri; inoltre, fino al 25 febbraio di questo periodo 2022, c’è stata una collettiva di arte contemporanea, che ha omaggiato l’osteria dei pittori, si è svolta presso la Galleria “La Nuova Pesa”, da un’idea di Roberto Gramiccia.  Hanno partecipato molti artisti, ne citerò alcuni per una questione di spazio: Calabria, Caterina Ciuffetelli, Ceccobelli, Dessì, Di Stasio, Gandolfi, Levini, Limoni, Modica, Mulas, Mario Nalli, Nunzio, Pulvirenti, Giuseppe Salvatori, Sanna, Solendo, Silvia Stucky.  La rassegna ha preso volutamente a prestito il titolo del libro di Ugo Pirro che ricostruisce le vicende, gli incontri e gli scontri degli artisti di cui stiamo parlando, è come aprire una luce su un periodo unico per Roma e per la storia dell’arte.

S: Mulas parliamo di fotografia, oppure se vuoi anche di scultura.

M: tanto lo so già, iniziamo a parlare di fotografia e poi finiamo a parlare di scultura. Per me è più facile parlare di fotografia, anche se, non è un argomento facile.  Ho iniziato (1962) a Spoleto ad occuparmi di scultura perché lì la mostra Scultura nella città, l’ha ideata e curata Giovanni Carandente, pietra miliare nella storia dell’arte del Novecento.

S: si ebbi notizia, era per il Festival dei Due Mondi, la rassegna ebbe grande risalto e vasta eco sui giornali di tutto il mondo, parteciparono 53 tra i più noti scultori del XX secolo, per un totale di 104 sculture collocate in tutti gli angoli della città; è tuttora considerata una tra le più importanti manifestazioni di scultura internazionale del secolo passato.

S: Mulas che pensi, che attraverso la fotografia si possa raggiungere un giudizio più approfondito di quello che danno i critici sull’opera?

M: sono cose molto diverse, è chiaro che quello che si può fare con la macchina fotografica, non si può fare con nessun altro strumento.  Dico che forse, neanche con il cinema perché la fotografia ti porta a definire con precisione certi momenti.  Il cinema è più naturalistico, mentre la fotografia perde come la nozione delle cose circostanti per seguire il pensiero. Bisogna cercare di capire cosa si può dire di un artista.  Mi sono accorto che dopo aver lavorato a lungo con Lucio Fontana e aver fatto tante fotografie insignificanti, ho capito che avrei dovuto fotografarlo.

S: le foto per Pomodoro sui gioielli sono molto belle.

M: quello è un altro genere di lavoro.  E’ chiaro che ho cercato di fare delle buone fotografie che facessero capire come sono fatti questi oggetti.

S: Mulas, quando fotografi un pittore, cosa cerchi?

M: cerco una possibilità per uscire fuori di quella che è la foto di cronaca, e cerco anche di evitare il normale ritratto, il bel ritratto, perché quello che mi interessa è dare un’idea del personaggio in rapporto al risultato del suo lavoro, in altre parole, di capire quali dei suoi modi  e atteggiamenti sono decisivi rispetto al risultato finale.

S: cosa hai provato nel fare le tue prime fotografie?

M: ho provato gioia nel vedere le mie prime fotografie riuscite, ho scoperto in quelle immagini cose che non avevo previsto, e che erano entrate proprio in virtù del meccanismo, della macchina, dell’ottica, della chimica.

S: Consagra, come scultore cosa hai provato usando la fiamma ossidrica?

C: all’inizio era emozionante, perché significava la rottura con i sistemi tradizionali del modellare, poi è diventata significativa usata dai pittori.  Per esempio, la fiamma usata da Burri diventa più espressiva.

S: Pietro, cosa ti ha spinto a fare una scultura frontale?

C: ho pensato e voluto liberare la scultura dalla tridimensionalità, dal peso del suo bagaglio storico, per portarla ad un concetto essenziale, la scultura così stabilisce un rapporto più diretto, vicino allo spettatore.

S: Pietro, tu hai analizzato la situazione dell’artista nella società, sei stato chiamato dalla commissione delle Belle Arti sul nuovo disegno di legge per la Biennale di Venezia?

P: Ho analizzato la situazione dell’artista nella società e sono stato chiamato al Senato dalla commissione delle Belle Arti proprio per il nuovo disegno di legge per la Biennale di Venezia e ho spiegato il mio pensiero.  Ho chiesto un Senato di artisti. Sono rimasti sbalorditi, disorientati e facevano un po’ i distratti con me.  Lo Stato paternalista, pensa che gli artisti non siano capaci di amministrare un loro strumento. La Biennale deve essere strutturata in modo diverso, deve riconoscere l’intelligenza dell’artista.

S: Mulas finisco con te.  Cosa conta per fare una fotografia?

M: quello che veramente è importante, non è tanto l’attimo privilegiato, quanto individuare una propria realtà, dopo di che tutti gli attimi si equivalgono?

S: grazie Pietro Consagra, grazie Ugo Mulas, per il tempo che mi avete dedicato, è stato per me un grande onore parlare con Voi.

 

 

Le  interviste impossibili

Sergio Salvatori incontra Renato Cartesio, Pietro Consagra, Ugo Mulas

 

L’intervista, confronta tre diverse energie creative e offre al pubblico un punto chiarificatore sul loro pensiero; si svolge a Roma, a Villa Sciarra, nelle vicinanze del Gianicolo, si è scelto questo luogo per dar modo agli intervistati di poter riflettere e rispondere alle domande con calma, immersi nel silenzio della natura.

S: Professor Renato Cartesio, le sta bene che la chiamo Renato?

C: le dico che nella mia lingua il francese, sarebbe René Descartes, è in latino che si dice Renatus Cartesius, ma va bene anche in italiano Renato Cartesio.

S: Professor Renato Cartesio, che ci può dire di più di quello che si sa già sul suo pensiero, in altre parole, a noi interessa sapere se esiste la possibilità di un nuovo metodo conoscitivo degli studi scientifici?

C: le posso dire che già prima di me Francesco Bacone, il filosofo, giurista e saggista inglese, aveva rifiutato la tradizione aristotelica e scolastica, e la filosofia rinascimentale aveva messo in risalto la centralità del concetto di natura, per un rinnovamento degli studi scientifici. Ecco, io propongo una completa matematizzazione della natura.

S: lei Cartesio, ci ha già fornito un resoconto poetico, nei suoi frammenti giovanili, di quell’entusiasmo che lo ha colto di fronte alle possibilità che l’applicazione della matematica agli studi naturalistici inaugurava, per una riforma del sapere. Una consolidata tradizione storica Professor Cartesio, la vede come il padre della metafisica moderna; la sua rottura con i metodi scolastici, enunciata nel Discorso sul metodo, assurge a manifesto di una rivoluzione del pensiero?

C: fin dall’Ottocento Friedrich Hegel mi ha riconosciuto il merito di aver posto un saldo principio razionale di unità tra “essere e pensiero”, dopo la crisi nella filosofia o nella teologia del Medioevo, incentrata sul principio di “autorità”.

S: cosa ci dice Professor Cartesio del principio primo della filosofia, in grado di sottrarre la verità metafisica al dubbio scettico?

C: le rispondo cosi: “Io penso dunque sono”.

S: ci dica delle passioni dell’anima, amore e odio?

C: amore e odio fanno parte, con l’ammirazione, il desiderio, la gioia e la tristezza, delle sei passioni “semplici e primitive”, dalle quali tutte le altre risultano composte: la collera, per esempio, è una violenta forma d’odio combinato con il desiderio e unito all’amore per se stessi.

S: ultima domanda professor Cartesio, a lei è stata spesso rimproverata (per esempio da Pascal) un’indifferenza in materia religiosa, al di là della ostentata adesione al cattolicesimo, lei ci si riconosce?

C: dirò così, per molti versi mi avvicino a Montaigne, più che altro nella morale, quel misto di moderato scetticismo e di prudente stoicismo, un saluto a lei ed ai suoi lettori; vorrei però porle io una domanda: “Chi sono i propretari di questa stupenda Villa?

S: All’inizio la proprietà era dei Barberini dalla metà del XVII secolo e quindi di Maffeo Sciarra, venne in seguito trasformata (1902) dal nuovo proprietario Giorgio Wurts, (un americano appassionato di giardini) secondo il gusto neobarocco in voga in quel periodo, e consegnata (1930) dagli eredi a Benito Mussolini, ma la moglie Henrietta Wurts dopo la morte del marito pose la condizione che sarebbe stata destinata a Parco Pubblico.  Nel primo decennio del duemila, sono stati effettuati dei restauri che hanno riportato la Villa all’antico splendore. Grazie professor Cartesio che mi ha concesso l’intervista.

S: Maestro Pietro Consagra, per lei è uguale se la intervisto unitamente al fotografo Ugo Mulas?

P- C: sono d’accordo anche perché Ugo Mulas è il mio fotografo, ma siccome anche tu che m’intervisti sei un artista diamoci tutti e tre del tu.

S: va bene, grazie, sei gentile. Pietro, ti chiedo, che rapporto c’è fra te e il tuo fotografo d’arte Ugo Mulas?

P: dobbiamo innanzitutto non lasciarci confondere dall’espressione “fotografo d’arte”.  Perché potrebbe lasciar pensare ad un fotografo che usa il proprio mezzo per trarne effetti estetici autonomi, usando in modo indifferente qualsiasi materiale a propria disposizione; si possono fare foto d’arte usando degli oggetti disposti a casaccio, un ferro arrugginito, e così via.  Qui invece “fotografo d’arte” significa “fotografo che fotografa opere d’arte altrui”.  In ogni modo Mulas, non è un fotografo di opere finite, ma un fotografo di artisti al lavoro.

S: perciò possiamo dire che Mulas, è colui  che invece di raccontare il gesto dell’artista, racconta il gesto di chi vedrà, lo anticipa; in lui esiste una tendenza, una buona disposizione alla “classicità”, che fa intendere il suo lavoro come la ricerca di momenti che creano una situazione di favore.

S: Consagra tu sei scultore e scrittore, sei definito dalla critica internazionale uno dei più importanti esponenti dell’astrattismo, che ci dici in proposito?

P: a dicono così?  Io nel 1944 da Palermo mi sono trasferito a Roma, dove ho aderito all’astrattismo e ho partecipato con il “Gruppo Forma 1” nel 1947, che rivendicava “la libertà di essere ad un tempo marxisti e formalisti”, in altre parole astrattisti; con loro andavo pure all’Osteria dei Fratelli Menghi, noto punto di ritrovo per pittori, registi, sceneggiatori, scrittori e poeti, tra gli anni quaranta e settanta, lo conosci anche tu giusto Sergio?

S: certo la conosco, è chiamata anche l’Osteria dei Pittori, c’incontri pure attori e musicisti e si trova in Via Flaminia 57, dove oggi c’è il caffé dei Pittori, a 300 metri da Piazza del Popolo; in questo luogo Italo Calvino iniziò a scrivere la celebre opera “Il barone rampante”, pure Picasso ha frequentato questo spazio, come pure Emilio Vedova, Antonio Corpora, Anna Magnani, Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Roberto Rossellini, Palma Bucarelli, Miriam Mafai, Alberto Moravia, Carla Accardi,  Turcato, Mario Mafai, che usava disegnare o dipingere sui tovaglioli e sulle tovaglie dei Menghi, imitato da altri artisti come Piero Dorazio, Giulio Turcato e tanti altri; inoltre, fino al 25 febbraio di questo periodo 2022, c’è stata una collettiva di arte contemporanea, che ha omaggiato l’osteria dei pittori, si è svolta presso la Galleria “La Nuova Pesa”, da un’idea di Roberto Gramiccia.  Hanno partecipato molti artisti, ne citerò alcuni per una questione di spazio: Calabria, Caterina Ciuffetelli, Ceccobelli, Dessì, Di Stasio, Gandolfi, Levini, Limoni, Modica, Mulas, Mario Nalli, Nunzio, Pulvirenti, Giuseppe Salvatori, Sanna, Solendo, Silvia Stucky.  La rassegna ha preso volutamente a prestito il titolo del libro di Ugo Pirro che ricostruisce le vicende, gli incontri e gli scontri degli artisti di cui stiamo parlando, è come aprire una luce su un periodo unico per Roma e per la storia dell’arte.

S: Mulas parliamo di fotografia, oppure se vuoi anche di scultura.

M: tanto lo so già, iniziamo a parlare di fotografia e poi finiamo a parlare di scultura. Per me è più facile parlare di fotografia, anche se, non è un argomento facile.  Ho iniziato (1962) a Spoleto ad occuparmi di scultura perché lì la mostra Scultura nella città, l’ha ideata e curata Giovanni Carandente, pietra miliare nella storia dell’arte del Novecento.

S: si ebbi notizia, era per il Festival dei Due Mondi, la rassegna ebbe grande risalto e vasta eco sui giornali di tutto il mondo, parteciparono 53 tra i più noti scultori del XX secolo, per un totale di 104 sculture collocate in tutti gli angoli della città; è tuttora considerata una tra le più importanti manifestazioni di scultura internazionale del secolo passato.

S: Mulas che pensi, che attraverso la fotografia si possa raggiungere un giudizio più approfondito di quello che danno i critici sull’opera?

M: sono cose molto diverse, è chiaro che quello che si può fare con la macchina fotografica, non si può fare con nessun altro strumento.  Dico che forse, neanche con il cinema perché la fotografia ti porta a definire con precisione certi momenti.  Il cinema è più naturalistico, mentre la fotografia perde come la nozione delle cose circostanti per seguire il pensiero. Bisogna cercare di capire cosa si può dire di un artista.  Mi sono accorto che dopo aver lavorato a lungo con Lucio Fontana e aver fatto tante fotografie insignificanti, ho capito che avrei dovuto fotografarlo.

S: le foto per Pomodoro sui gioielli sono molto belle.

M: quello è un altro genere di lavoro.  E’ chiaro che ho cercato di fare delle buone fotografie che facessero capire come sono fatti questi oggetti.

S: Mulas, quando fotografi un pittore, cosa cerchi?

M: cerco una possibilità per uscire fuori di quella che è la foto di cronaca, e cerco anche di evitare il normale ritratto, il bel ritratto, perché quello che mi interessa è dare un’idea del personaggio in rapporto al risultato del suo lavoro, in altre parole, di capire quali dei suoi modi  e atteggiamenti sono decisivi rispetto al risultato finale.

S: cosa hai provato nel fare le tue prime fotografie?

M: ho provato gioia nel vedere le mie prime fotografie riuscite, ho scoperto in quelle immagini cose che non avevo previsto, e che erano entrate proprio in virtù del meccanismo, della macchina, dell’ottica, della chimica.

S: Consagra, come scultore cosa hai provato usando la fiamma ossidrica?

C: all’inizio era emozionante, perché significava la rottura con i sistemi tradizionali del modellare, poi è diventata significativa usata dai pittori.  Per esempio, la fiamma usata da Burri diventa più espressiva.

S: Pietro, cosa ti ha spinto a fare una scultura frontale?

C: ho pensato e voluto liberare la scultura dalla tridimensionalità, dal peso del suo bagaglio storico, per portarla ad un concetto essenziale, la scultura così stabilisce un rapporto più diretto, vicino allo spettatore.

S: Pietro, tu hai analizzato la situazione dell’artista nella società, sei stato chiamato dalla commissione delle Belle Arti sul nuovo disegno di legge per la Biennale di Venezia?

P: Ho analizzato la situazione dell’artista nella società e sono stato chiamato al Senato dalla commissione delle Belle Arti proprio per il nuovo disegno di legge per la Biennale di Venezia e ho spiegato il mio pensiero.  Ho chiesto un Senato di artisti. Sono rimasti sbalorditi, disorientati e facevano un po’ i distratti con me.  Lo Stato paternalista, pensa che gli artisti non siano capaci di amministrare un loro strumento. La Biennale deve essere strutturata in modo diverso, deve riconoscere l’intelligenza dell’artista.

S: Mulas finisco con te.  Cosa conta per fare una fotografia?

M: quello che veramente è importante, non è tanto l’attimo privilegiato, quanto individuare una propria realtà, dopo di che tutti gli attimi si equivalgono?

S: grazie Pietro Consagra, grazie Ugo Mulas, per il tempo che mi avete dedicato, è stato per me un grande onore parlare con Voi.

 

 


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